Orazione: è facile, eccellente e necessaria

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

 

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

 

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CAPO III. Siamo grandemente debitori a Dio per aver resa facile una cosa che da una parte è tanto eccellente e dall'altra tanto necessaria.

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1. Possiamo sempre pregare.
2. Il Signore dà sempre udienza.
3. Non s'infastidisce che gli si chieda
4. Profittiamone

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1. Sarà cosa ragionevole che consideriamo e ponderiamo qui la grande e singolare grazia fattaci dal Signore, mentre essendo da un canto l'orazione una cosa di sua natura tanto alta ed eccellente, e dall'altro essendo a noi tanto necessaria, ce l'ha fatta a tutti tanto facile, che sempre è in mano nostra il farla, e in ogni luogo e tempo la possiamo fare. Mi sta accanto l'orazione, perché ad ogni ora che voglia la possa fare a Dio, che mi dà la vita, dice il Profeta David (Ps. 41, 8). Mai non si serrano quelle porte della misericordia di Dio, ma a tutti sono sempre aperte; sempre lo troveremo disoccupato e desideroso di farei del bene; anzi egli stesso ci sta sollecitando perché gli domandiamo.

2. È molto buona quella considerazione che si suole apportare a questo proposito. Se Dio desse licenza che una sola volta al mese tutti quelli che volessero potessero entrare a parlargli, protestandosi che egli molto volentieri darebbe loro udienza e farebbe loro delle grazie, sarebbe questa una cosa da stimarsi grandemente; poiché si stimerebbe ancora se la facesse un re temporale. Or quanto più è ragionevole che stimiamo l'offrirei Dio questo favore e l'invitarci ora non solo una volta al mese, ma ogni giorno e molte volte il giorno? Dice il profeta David, abbracciando tutti i tempi: La sera, la mattina, il mezzo giorno esporrò e rappresenterò al mio Dio i miei travagli e le miserie, e ho gran fiducia che tutte le volte e in qualsisia tempo che io ricorrerò a lui mi esaudirà e mi favorirà (Ps. 54, 18).

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Libro in dono per la Festa della B. Vergine del Soccorso

Il 27 giugno la Chiesa festeggia la Madonna del Perpetuo Soccorso. Per impetrare la protezione di Maria sull'Italia in questo mese di giugno, dedicato al Sacro Cuore di Suo Figlio, , totustuus.it offre in dono agli utenti registrati di totustuus.it il libro:

Vita di San Claudio della Colombiere
 

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Presentazione: Ascende alla gloria degli Altari, fra l'esultanza di tutti i Cristiani, ma specialmente dei devoti del S. Cuore di Gesù, San Claudio de la Colombière. All'indomani della sua morte, pubblicate le sue opere, si levò intorno a lui un coro di ammirazione, perché una grande anima si palesava al mondo attraverso quegli scritti: anima di Sacerdote e di Apostolo, dalle pure e classiche linee evangeliche, dalla valida intelligenza e dalla pietà tenerissima. Lo stesso Divino Salvatore s'era però compiaciuto di tracciare le linee di questa grandezza chiamando S. Claudio «suo fedele Servo e perfetto Amico» e scegliendolo, come tale, a direttore della sua confidente, S. Margherita Alacoque, e a primo Apostolo della devozione al suo S. Cuore. Lo sappiamo da S. Margherita.
Questa del P. de la Colombière è la fisionomia morale rimasta nella mente dei suoi devoti, i quali hanno avuto solo qualche notizia di lui; poiché il meglio che di lui si è detto, fu tratto dal diario dei suoi Esercizi spirituali e dagli scritti di S. Margherita Maria, specialmente dalla corrispondenza di questa col P. Croiset, i quali scritti vennero alla luce molto più tardi delle Opere oratorie del P. de la Colombière.
Bisogna però confessare che nel campo storico la figura di quest'uomo di Dio è rimasta sempre un po' sbiadita, sebbene alcuni tratti vigorosi ne abbiano lasciato intravedere le proporzioni ammirabili, accendendo la brama di rivedere in luce il molto bello che sotto i veli doveva essere nascosto.
Per ridare pertanto a quelle linee la loro integrità e a tutta la figura la pienezza delle tinte e l'armonia delle luci, non c'è di meglio che trasfondere sui pochi cenni della storia tutta l'esuberante spiritualità, che emana dagli scritti del Servo di Dio: si rivelano allora le sue bellezze interiori, che sono poi le sole che formino il santo. 

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Della necessità che abbiamo dell’orazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

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CAPO II. Della necessità che abbiamo dell'orazione.

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1. Si deduce dai nostri bisogni.
2. E mezzo ordinario della grazia.
3. Mezzo per ben regolare la vita.
4. Specchio in cui contemplare se stesso.
5. E come il calore vitale.
6. Rimedio di tutto

 

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1. Quanto necessaria ci sia l'orazione ne abbiamo una troppo grande esperienza: piacesse al Signore che non ne avessimo tanta! Perché siccome l'uomo ha tanta necessità del favore di Dio, per essere soggetto a tante cadute, assediato da tanti e sì gravi nemici e tanto bisognoso di molte cose spettanti sì all'anima come al corpo; non ha altro rimedio che il ricorrere sempre a Dio, chiedendogli con tutto il cuore che lo favorisca e lo aiuti in tutti i suoi pericoli e necessità, conforme a quello che disse il re Giosafat, vedendosi circondato dai nemici: «Non sapendo noi che dobbiamo fare, questo solo ci rimane, di rivolgere a te i nostri occhi» (II Paral. 20, 12). Essendo noi tanto deboli, e trovandoci tanto poveri e bisognosi né sapendo quel che dobbiamo fare; non abbiamo altro rimedio che alzar gli occhi a Dio e chiedergli coll'orazione quelle cose delle quali siamo bisognosi. E così Celestino Papa, in una sua Epistola decretale, per insegnare l'importanza di questa orazione, dice: lo non so cosa migliore da potervi dire, che quello che disse Zosimo mio predecessore: «Che tempo v'è nel quale non abbiamo necessità dell'aiuto di Dio? Nessuno. Dunque in ogni tempo, in tutte le cose e in tutti i negozi abbiamo da ricorrere a lui con l'orazione per chiedergli favore. perché è gran superbia che un uomo debole e miserabile presuma qualche cosa di sé» (COELESTIN. I PAP. Ep.21, c. 9).

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Del valore e dell’eccellenza dell’orazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO I. Del valore e dell'eccellenza dell'orazione

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1. Gli angeli presentano a Dio le nostre orazioni.
2. Eccellenza dell'orazione.
3. L'orazione è conversazione con Dio.

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1. Il glorioso Apostolo ed Evangelista S. Giovanni nella sua Apocalisse (Apoc. c. 8, 3-4) dichiara bene il valore e l'eccellenza dell'orazione. Dice egli che stava l'angelo dinanzi all'altare, e teneva in mano un incensiere d'oro, e gli fu data una gran quantità d'incenso, che erano le orazioni dei Santi, acciocché le offrisse nell'altare d'oro che stava dinanzi al trono di Dio; e che il fumo dell'incenso dalla mano dell'angelo salì in alto verso la maestà del medesimo Dio. S. Giovanni Crisostomo (S. CHRYS. Opus imperf. in Matth. hom. 13), trattando di questa visione, dice: In questa vedrete quanto alta e preziosa cosa sia l'orazione; poiché essa sola nella divina Scrittura viene comparata al timiama, che era una composizione d'incenso e di altri fragrantissimi odori. Perché, come l’odore del timiama ben composto diletta grandemente, così l'orazione fatta come si deve è molto soave e grata a Dio, e rallegra e ricrea gli angeli e tutti quei cittadini del cielo. Di maniera tale che S. Giovanni dice, che tendono nelle loro mani certi vasetti d'oro pieni di meravigliosi odori, che sono le orazioni dei Santi, ai quali vanno del continuo appressando il purissimo loro odorato (così spiegandosi in quel modo col quale di qua ci possiamo noi spiegare) per godere di questo soavissimo odore. «Avendo ognuno di loro nappi d'oro pieni di materie odorifere, che sono le Orazioni dei Santi» (Apoc. 5, 8).

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Terza specie di unioni non buone

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA

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CAPO XX. Terza specie di unioni non buone: per alterare l'Istituto.

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1. Gran male del collegarsi per alterare l'Istituto.
2. Costoro devono essere cacciati dalla religione.
3. Dio ispira i fondatori delle religioni.
4. Esempio di S. Francesco d'Assisi.
5. Eresiarchi e innovatori.
6. La Compagnia di Gesù confermata dal Concilio di Trento.
7. Stima in che l'ebbe Cardo Cervino.
8. Bolle dei Papi Gregorio XIII e XIV.

 

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1. La terza specie di adunanze e di amicizie particolari è peggiore e più contraria all'unione è carità fraterna che le precedenti; ed è quando alcuni particolari s'uniscono e s'adunano fra di loro per alterare l'Istituto della religione e le cose statuite in essa santamente. S. Bernardo dichiara molto bene a questo proposito quel passo dei Cantici: «I figli della madre mia hanno preso a combattere contro di me» (Cant.1, 5); nel quale la Sposa si lamenta, in nome della Chiesa, di quel che ha patito dai suoi figliuoli. Non è, dice il Santo (S. BERN. Serm. 29, n. 2), perché non si ricordi quanto ha patito dai Gentili, dai Giudei e dai tiranni; ma piange più particolarmente quel che le penetra più dentro all'anima, che è la guerra che le fanno i nemici domestici e intrinseci, la quale è molto peggiore e più pregiudiziale di quelle che le possono fare quanti nemici sono di fuori.

Questo medesimo possiamo applicare alla religione, la quale è un membro principale della Chiesa e cammina coi passi medesimi coi quali ella ha camminato. I miei propri figliuoli, essa dice, hanno prese le armi contro di me. Io li ho allevati, li ho fatti ammaestrare negli studi e li ho addottrinati con tanta mia spesa, travaglio e fatica; e queste armi, che ho date loro acciocché combattessero con esse contro il mondo e convertissero anime a Dio, le hanno rivoltate contro di me, e con esse fanno guerra alla loro stessa madre. Considerate se questo è dolore da sentirsi!

Ma sebbene è cosa da sentirsi grandemente, non abbiamo da meravigliarci di simile persecuzione; poiché lo stesso S. Francesco in vita sua l'ebbe nella sua religione. E la Chiesa cattolica, anche mentre vivevano i Santi Apostoli, patì questa persecuzione dai suoi propri figliuoli, i quali se le ribellavano con errori ed eresie che inventavano. Vanno i membri seguendo il loro capo, che è Cristo, il quale camminò per questa strada dei travagli e delle persecuzioni; perché con esse si purificano meglio gli eletti, come l'oro nel crogiuolo. E così l'Apostolo S. Paolo disse: «Fa di mestieri che vi siano anche delle eresie, affinché si palesino quelli che fra voi sono di buona lega» (I Cor 11, 19). E Cristo nostro Redentore, come si legge in S. Matteo, dice: «Necessaria cosa è che vi siano degli scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale viene lo scandalo» (Matth 18, 7), Vi hanno da essere scandali nella Chiesa, scandali vi hanno da essere nella religione: questo non si può evitare, perché siamo uomini; ma guai a colui che sarà cagione di tali scandali: sarebbe meglio per lui ch'egli non fosse nato.

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Seconda specie di unioni non buone: cercare protettori

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA

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CAPO XIX. Seconda specie di unioni non buone: cercare protettori.

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1. Non cercare protettori nella religione.
2. Perché dannoso alla comunità.
3. Cerchiamo solo il profitto spirituale: esempio di Salomone.
4. E non l'appoggio degli uomini.

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1. Vi è una seconda specie di amicizie particolari, differenti dalle passate, perché hanno altro fine differente, e che non sono meno pregiudiziali alla comunità e all'unione e carità fraterna, anzi più. Queste sono quando uno, desideroso di salire, di farsi valere e di essere riputato e stimato, si unisce e aderisce a quelli che gli pare che lo potranno aiutare. Cassiano dice (CASSIAN. Coll. 7 ab. Theo) che, come le infermità grandi del corpo si vanno generando a poco a poco, così le infermità spirituali e i mali grandi dell'anima si vanno anch'essi a poco a poco generando. Dichiariamo ora in che modo si vada generando nell'anima questa infermità, e insieme andremo dicendo della via ordinaria per la quale viene a guastarsi e a rovinarsi uno studente religioso.

Esce uno dal noviziato con buon profitto, per grazia del Signore, con grande stima delle cose spirituali e con molta affezione ad esse, come la ragion vuole che ne esca. Va ai collegi; ed ivi col fervore degli studi comincia ad allentare negli esercizi spirituali, o lasciandoli in parte, o facendoli per usanza o per complimento, senza cavar frutto da essi; che viene ad esser lo stesso. Passa innanzi, e come già per una parte gli vanno mancando le armi spirituali, perché non fa più i suoi esercizi come deve, e per l'altra la scienza gonfia e cagiona vanità; va a poco a poco apprezzando e stimando quel che tocca ingegno e talenti, e scemando di apprezzamento e di stima per quello che tocca virtù o umiltà. Questa è la porta per la quale entra e comincia ordinariamente tutto lo sconcerto, disordine e detrimento degli studenti; onde si dee avere grande avvertenza per ben premunirvisi. Va diminuendo in essi il pregio e la stima della virtù, dell'umiltà, della mortificazione e di tutto quello che concerne le cose spirituali, spettanti il loro profitto; e a proporzione va crescendo il pregio e la stima delle lettere e delle abilità, parendo loro che quella abbia da esser la via per cui hanno ad avanzarsi, a distinguersi e a condursi ad esser riputati e stimati. E così cominciano a drizzar la mira a questo bersaglio, e desiderano esser tenuti per persone di buon ingegno e di buoni talenti; e per questo fine ambiscono che riesca loro bene l'argomentazione e la conclusione. Così si gonfiano di vento e cercano tutte le occasioni per spiccare e far mostra di sé, e forse per oscurare gli altri, acciocché non vadano loro innanzi. Quindi passano più oltre e cominciano a procurare di cattivarsi il maestro e il consultore e tutti quelli che pensano che li potranno aiutare e mettere in grazia dei Superiori; e stringono con essi amicizia. Tutto in ordine al fine di avanzarsi, di farsi valere, di essere riputati e stimati e per avere questi Padri più gravi favorevoli nelle cose loro.

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Prima specie di unioni non buone: amicizie particolari

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA

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CAPO XVIII. Prima specie di unioni non buone: amicizie particolari.

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1. Amicizie particolari dannose alla comunità.
2. Sono da aborrirsi.
3. Esempio.

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   1. Abbiamo finora trattato de1l’unione ed amor buono e spirituale; ora andremo trattando di tre specie che si trovano d’amore non buono né spirituale, ma cattivo e pregiudiziale.
   Il beato S. Basilio nelle Costituzioni monastiche (S. BAS. const. monast. c. 29) dice che i religiosi devono avere grande unione e carità fra di loro; ma in maniera tale, che non vi siano amicizie né affezioni particolari, per queste facendo lega insieme due, o tre: perché questa non sarebbe carità, ma divisione e sedizione, ancor che simili amicizie paiano buone e sante. E nel primo sermone ascetico discendendo circa questa materia più al particolare, dice: «Se si troverà che alcuno porti maggiore affezione ad un religioso che ad un altro, benché sia per esser suo fratello carnale, o per qualsivoglia altro rispetto; sia questo tale castigato, come chi fa ingiuria alla carità comune». E del come si faccia questa ingiuria alla comunità ne rende ivi la ragione, che più espressamente ancora poi replica nel sermone seguente (ID. l. cit. col. 886), dicendo: perché colui che ama uno più che un altro, dà chiari indizi di non amar gli altri perfettamente; perché non li ama tanto quanto quell’altro; e così con questo offende gli altri e fa ingiuria a tutta la comunità. E se l’offendere uno solo è cosa tanto grave, che il Signore dice che è toccar lui nella pupilla degli occhi suoi (Zach. 2, 8), che cosa sarà l’offendere tutta una comunità, e comunità tale? Onde ingiunge colà S. Basilio molto caldamente ai religiosi, che in nessuna maniera amino più particolarmente uno che un altro, né pratichino singolarmente più con questo che con quello; acciocché non facciano torto, né diano a persona occasione d’offendersi: «non dando noi ad alcuno occasione d’inciampo», come dice l’Apostolo (II Cor. 6, 3) ma, abbiamo un amore e una carità comune e generale verso di tutti, imitando in questo la bontà e carità di Dio, il quale distribuisce il suo sole e la sua pioggia sopra di tutti ugualmente. «Il quale fa che si levi il suo sole sopra i buoni e sopra i cattivi, e manda la pioggia per i giusti e per gl’iniqui» (Matth. 5, 45).
   E dice il Santo che queste amicizie particolari sono nella religione un gran semenzaio d’invidie e di Sospetti, e ancora di odi e di inimicizie, ed inoltre sono cagioni che vi siano divisioni, circoli e partiti, che sono la peste della religione. Perché ivi uno palesa le sue tentazioni; un altro i suoi giudizi; questi le sue querele; quegli altre cose segrete che dovrebbero esser taciute; ivi sono mormorazioni e qualificazioni di questo e di quello, e alle volte ancora del Superiore. Ivi si attaccano i difetti dell’uno all’altro, di maniera che ciascuno in pochi giorni fa vedere in se stesso quelli che gli ha attaccati il compagno. E finalmente sono cagione queste amicizie della trasgressione. di molte regole, e del far uno molte cose che non deve, per corrispondere al suo amico, come lo provano quelli che hanno simili amicizie.

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Esempi di giudizi temerari

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA

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CAPO XVII. Si conferma quel che si è detto con alcuni esempi di giudizi temerari.

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1. Dell’abate Isacco.
2. Di Totila, re dei Goti.
3. D’un monaco.
4. Di Fra Leone.
5. Di S. Francesco d’Assisi.
6. D’un altro monaco.
7. Dell’abate Machete.
8. D’un altro monaco.

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   1. Nelle Vite dei Padri si racconta dell’abate Isacco, che venendo egli un giorno dalla solitudine, nella quale viveva, ad una congregazione di monaci, giudicò male d’uno, tenendolo per degno di pena, perché vide in esso alcuni indizi di poca virtù. Ritornandosene poi verso la sua cella, trovò su la porta di essa un angelo in piedi, il quale gl’impediva l’entrata. Di che dimandandogli il santo abate la cagione, rispose l’angelo, che il Signore l’aveva mandato per dirgli ove voleva o comandava che gettasse quel monaco, ch’egli già aveva giudicato e condannato. Allora l’abate, conoscendo la sua colpa, dimandò perdono al Signore; e l’angelo gli disse, che il Signore gli perdonava per allora; ma che per l’avvenire si guardasse bene di farsi giudice e di dar sentenza contro alcuno, prima che il Signore, il quale era il giudice universale, lo giudicasse (De vitis Patr. l. 3. n. 137; l. 5, lib. 9, n. 3).

   2. Narra S. Gregorio di Cassio, vescovo di Narni, gran servo di Dio, che era naturalmente molto rubicondo e acceso di faccia; e che vedendolo Totila, re dei Goti, giudicò che quella cosa procedesse dal bere assai. Ma il Signore ebbe cura di pigliar subito la difesa dell’onore del suo servo, permettendo che il demonio entrasse repentinamente in un ufficiale del re, che portava il suo stocco, e che lo tormentasse lilla presenza del re e di tutto l’esercito. Condussero perciò l’indemoniato al santo uomo, il quale facendo sopra di lui orazione e il segno della croce, lo liberò subito dal demonio. Per il quale successo il re mutò il suo giudizio e da lì innanzi fece di lui grande stima (S. GREG. Dial. c. 6).

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Le radici da cui procedono i giudizi temerari

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA

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CAPO XVI. Delle cagioni e radici dalle quali procedono i giudizi temerari e dei loro rimedi

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1. La superbia.
2. La propria malizia.
3. Che fare se si vedesse cosa apertamente cattiva?
4. L’interna avversione.
5. Dio non si sdegna, e ci sdegneremo noi?
6. perché Dio permette dei difetti anche nei Santi. Le imperfezioni dei Santi.

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   1. La prima radice, dalla quale sogliono nascere i giudizi temerari, è quella stessa che è ancora radice di tutti gli altri mali e peccati, cioè la superbia; ma in particolar modo è radice di questo. S. Bonaventura (S. BONAV. Stim. amor. p. 3, c. 4) nota qui una cosa degna di considerazione, e dice che le persone che si tengono per spirituali, sogliono esser più tentate in questa materia di giudicare e di qualificar altri; onde pare che vogliano metter in esecuzione quello che l’Apostolo S. Paolo disse in altro senso: «L’uomo spirituale giudica di tutte le cose» (I Cor 2. 15). Pare a costoro di veder in sé doni speciali di Dio; e mentre dovrébbero essere con ciò più umili, a volte se ne pavoneggiano e si pensano di essere qualche cosa; e in confronto di loro fanno poco conto degli altri, quando li vedano andare meno ritirati, o più affaccendati e distratti in cose esteriori. E quindi viene in essi un certo spirito riformativo dell’altrui modo di vivere, dimenticandosi di se medesimi.

   Dicono i Santi che la semplicità è figliuola dell’umiltà perché il vero umile tiene gli occhi aperti solo per vedere i difetti e mancamenti propri, e li tiene serrati per non veder quelli del suo prossimo; e trova sempre tanto che guardar in sé e tanta materia da piangere, che non se gli alzano gli occhi né il pensiero ai difetti e mancamenti altrui: onde se uno è vero umile, è molto lontano da questi giudizi. E così i Santi danno per molto importante rimedio, tanto contro questo vizio, quanto contro molte altre cose, che teniamo gli occhi aperti solamente per vedere i difetti nostri, e serrati per non vedere i difetti dei nostri prossimi, acciocché non siamo come gl’ipocriti, che nel Vangelo leggiamo da Cristo spesse volte ripresi perché facevano tutto il rovescio. «È perché osservi tu una pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, e non fai riflessione alla trave che hai nell’occhio tuo?»  (Matth. 7, 3).

   Il tener sempre gli occhi volti ai nostri propri difetti reca seco grandi beni e utilità: reca umiltà e confusione; reca timor di Dio e raccoglimento di cuore; reca gran pace e quiete: ma l’andar osservando i difetti altrui reca seco grandi mali e inconvenienti, come sono superbia, giudizi temerari, sdegno contro il fratello e vilipendio di esso, inquietudini di coscienza, zeli indiscreti e altre cose che turbano il cuore. E se talvolta vedrai qualche difetto nel tuo prossimo, ciò sia, dicono i Santi, per cavarne frutto. S. Bonaventura (S. BONAV. in Reg. Novit. c. 13) insegna un buon modo di far questo, dicendo: Quando vedrai nel tuo fratello qualche cosa che ti dispiaccia, prima di giudicarlo entra cogli occhi della mente dentro te stesso e guarda se è in te qualche cosa degna di reprensione; e se vi è, ritorci la sentenza contro te stesso e condannati in quella cosa, nella quale volevi condannar l’altro, e di’ col Profeta: «Io sono quegli che ho peccato, io quegli che ho operato iniquamente» (II Reg. 24, 17). Io sono lo scellerato e perverso, che non merito di baciare la terra che l’altro calca, e ho ardire di giudicarlo? Che ha che fare quel che io vedo nel mio fratello con quel ch’io so di me stesso? S. Bernardo (S. BERN. Varia et brev. Docum.) insegna un altro modo molto buono che possiamo usare in questo. «Se vedrai, egli dice, in un altro qualche cosa che ti dispiaccia, rivolgi subito gli occhi a te medesimo, e guarda se quella cosa è in te; e trovandovela, troncala subito. E quando vedi nel tuo fratello qualche cosa che ti piace, rivolgi similmente gli occhi a te stesso, e guarda se quella è in te; ed essendovi, procura di conservarla; non essendovi, procura d’acquistarla». In questa maniera da ogni cosa caveremo frutto e utilità.

 

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Dei giudizi temerari

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA

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CAPO XV. Dei giudizi temerari; e si dichiara in che consista la malizia e gravezza di essi

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1. I giudizi temerari sono contrari alla carità.
2. perché si infama il prossimo nel nostro cuore.
3. Altro averli, altro ammetterli.
4. E un usurpare la giurisdizione di Dio.
5. Specie se si giudica l’interno altrui.

 

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   1. «E tu, dice l’Apostolo S. Paolo, perché giudichi il tuo fratello, o perché disprezzi il tuo fratello?» (Rom. 14, 10). Fra le altre tentazioni colle quali il demonio, nemico del nostro bene, ci suole far guerra, una, e molto principale, è il metterci nella mente giudizi o sospetti contro i nostri fratelli, acciocché, levando da noi la buona opinione che di essi abbiamo, ne levi insieme l’amore e la carità, o almeno ci faccia raffreddare in essa. Per la medesima ragione abbiamo noi altri da procurare di resistere con molta diligenza a questa tentazione, tenendola per molto grave; poiché tocca un tasto tanto principale e delicato, quanto è la carità. Così ce ne avverte S. Agostino (S. Aug. De amicit. l. 2, c. 24): Se ti vuoi conservare in amore e carità coi tuoi fratelli, egli dice, prima d’ogni altra cosa bisogna che ti guardi molto dai sinistri giudizi e sospetti; perché questi sono il veleno della carità. E S. Bonaventura (S. BONAV. Stim. amor. p. 3, c. 8) dice: – Una peste sono questi giudizi, occulta e segreta, ma gravissima, la quale scaccia lontano da sé Dio e distrugge la carità dei fratelli.

   2. La malizia e gravezza di questo vizio consiste nell’infamare una persona il suo prossimo entro se stessa, disprezzandolo e stimandolo meno, e dandogli un basso e disonorevole luogo entro il suo cuore, per indizi leggieri e a ciò fare non bastevoli. Nel che fa torto ed ingiuria al suo fratello; e tanto sarà maggiore la colpa in questo, quanto la cosa della quale uno giudica il suo fratello sarà più grave e gl’indizi meno sufficienti.

   Si potrà ben comprendere la gravezza di questa colpa da un’altra simile. Se tu lacerassi la fama del tuo fratello presso d’un altro, facendo che quel tale perdesse il buon concetto e la buona opinione che prima aveva di lui, e così presso d’un tale venissi ad infamarlo, ben si vede che sarebbe questo un grave peccato. Or questo medesimo torto ed ingiuria gli fai col torgli presso di te, senza cagione e senza bastanti indizi, quel buon concetto e quella buona opinione che avevi tu di lui; perché tanto stima il tuo fratello l’essere in buona riputazione presso di te, quanto l’essere nella medesima presso qualunque altro. E in causa propria potrà ben ciascuno conoscere qual grave torto ed ingiuria fa egli in questo al suo prossimo. Non t’aggraveresti tu, che uno ti tenesse per tale, senza che n’avessi dato motivo bastante? Or così viene aggravato da te quell’altro col giudicarlo tu per tale. Misuralo da te stesso; ché questa è la misura della carità col nostro prossimo e della giustizia ancora.

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