Quale ha da essere l’unione che abbiamo avere coi nostri fratelli

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO IV. Quale ha da essere l’unione che abbiamo avere coi nostri fratelli.
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1. Deve assomigliare all’unione delle membra in un corpo.
2. Rallegrarsi con chi si rallegra e piangere con chi piange.
3. La diversità di gradi non deve pregiudicare l’amore scambievole.
4. Dobbiamo aiutarci e servirci l’un l’altro.


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   1. I gloriosi Santi e dottori della Chiesa Basilio e Agostino ci dichiarano molto bene qual esser debba l’unione che dobbiamo avere coi nostri fratelli, con quella similitudine e allegoria che apporta il glorioso Apostolo S. Paolo del corpo umano e dell’unione e conformità che le membra hanno fra di loro. Guarda, dicono, l’unione e conformità che è fra le membra del nostro corpo, e come si aiutano e si servono l’un l’altro; l’occhio il piede; il piede la mano; come la mano difende il capo; e quando ti viene pesto il piede, la lingua dice, guarda che mi pesti il piede; come corrono tutti a favorire e soccorrere la parte offesa: il che si vede bene quando riporti qualche ferita, o soffri qualche altra necessità. Ciascun membro piglia per sé quel che gli bisogna dell’alimento, e dà all’altro quello che gli avanza: ed è pur da notarsi quella simpatia, così chiamata dai medici, per cui se ti duole lo stomaco, si risente il capo, e quando guarisce un membro, tutto il corpo se ne rallegra e ricrea (I Cor 12, 12 segg.).
   S. Agostino (S. AUG. Serm. 105, n. 1) va molto bene ponderando questa cosa. Qual cosa è in tutto il corpo che sia più lontana dagli occhi che il piede? eppure subito che il piede urta in una spina, e questa se gli ficca dentro, gli occhi cercano la spina, subito il corpo si china, e la lingua domanda, ove è? e la mano s’adopera in cavarla fuori. «Sono sani gli occhi, la mano, il corpo, il capo, la lingua, e ancora il piede in tutto il rimanente è sano; solamente duole in quello, poco più che un punto, dove è la spina». Eppure il compatiscono tutti i membri, e corrono ad aiutarlo con ogni sollecitudine; e quando guarisce, tutti se ne ricreano. Or in questa maniera abbiamo da portarci noi altri coi nostri fratelli, tenendo cura l’uno dell’altro e compatendoli nel loro travaglio come se fosse nostro proprio.
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Ragioni che ci obbligano alla carità ed unione coi fratelli

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO III. Di alcune ragioni cavate dalla sacra Scrittura le quali ci obbligano alla carità ed unione coi nostri fratelli.
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1. Dio ci ha amato e noi dobbiamo amarci l’un l’altro.
2. Quanto eccellente la carità fraterna.
3. Vanno insieme amar di Dio e del prossimo.
4. E con amare il prossimo dimostri coi fatti d’amar Dio.
5. Quanto fai al prossimo, lo fai a Gesti Cristo.


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   1. Dopo aver dichiarato il glorioso Apostolo ed Evangelista S. Giovanni l’amor grande che Dio ci portò e ci mostrò in darci il suo unigenito Figliuolo, viene a inferire e a concludere che: «Se Dio ci ha amati in tal guisa; noi pure dobbiamo amarci l’un l’altro» (1 Io. 4, 11). Potrebbe qui alcuno dubitare e domandare, e con ragione, come dall’aver Dio amato tanto noi altri ne inferisce e conclude l’Apostolo l’amore del prossimo; perché pare che piuttosto ne dovrebbe inferire e concludere che amassimo dunque Dio, poiché egli ha amato tanto noi. A questa dimanda vi sono molte buone risposte. (altro…)

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Necessità dell’union fraterna

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TTRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO II. Della necessità che abbiamo di questa unione e carità e di alcuni mezzi per conservarci in essa.

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1. La carità conserva le comunità.
2. Forma la religione e la rende un paradiso.
3. E particolarmente necessaria alla Compagnia.
4. Esempi di Davide e dei Maccabei.
5. Danni della discordia intestina.
6. Siamo uniti; non ci nuocerà la persecuzione esterna.
7. Esempio dei Romani.
8. Perché tanto necessaria la carità alla Compagnia.
9. Necessità perciò dell’interna mortificazione e dell’ubbidienza.
10. Dalla carità dipende tutto il bene della religione.

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   1. «Ma al di sopra di tutto questo abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione» (Coloss. 3, 14), L’Apostolo S. Paolo; scrivendo ai Colossesi, va insegnando e raccomandando loro molte virtù; ma sopra tutte le altre inculca loro la carità, la quale tiene fra loro legate le altre e dà vita a tutte. Lo stesso fa l’Apostolo S. Pietro nella sua prima Epistola canonica dicendo: «Innanzi a tutto avendo tra voi una continua carità» (I Petr. 4, 8). Dal che possiamo raccorre di quanta importanza sia questa carità ed unione; poiché questi Santi Apostoli e Principi della Chiesa ce la raccomandano tanto, che dicono, che questa cosa ha da essere prima di tutte e sopra tutte le cose. Sicché di questa facciamo sempre più conto che di tutto il resto.
   E primieramente ben si vede la necessità generale di questa cosa, poiché qual religione vi può mai essere senza unione e conformità dell’uno con l’altro? Né dico solamente religione, ma né anche congregazione o comunità alcuna vi può essere senza qualche maniera d’unione e d’ordine. Togli via da una moltitudine qualsiasi connessione ed unione, e vedrai che resterà una babilonia ed una confusione. Ove è moltitudine, ivi è confusione, dice il proverbio; ma ciò s’intende quando la moltitudine sta senza ordine ed unione: perciò ordinata ed unita non è più confusione, ma gerarchia. E così tutte le riunioni e tutti gli stati, quanto si vogliono barbari, procurano sempre qualche unione ed ordine, dipendendo tutti da un capo, o da molti, i quali rappresentano un capo solo e un solo governo. E questo vediamo sino negli animali; né solamente nelle api, nelle quali è meraviglioso l’istinto naturale in questa parte; ma, più o meno, anche in tutti gli altri. Cercando essi la propria conservazione, per questo procurano qualche unione fra loro.
   E sino tra gli stessi demoni, con tutto che siano spiriti di divisione e seminatori di zizzania, dice Cristo medesimo che non si ha da credere, che tra di loro stiano in divisione, per questa ragione medesima. «Che se anche Satana è in discordia seco stesso, come sussisterà il suo regno?» E a questo medesimo proposito apporta ivi quel principio tanto certo e tanto esperimentato in materia politica: Qualunque regno in contrari partiti diviso andrà in perdizione, e una casa divisa in frazioni andrà in rovina (Luc. 11. 18 et 17). Il regno che tra se medesimo è diviso, non ha bisogno di nemici per esser distrutto e desolato; perché i membri di esso da se medesimi si andranno consumando e desolando; ed una casa verrà a cadere sopra l’altra casa. Onde Platone ebbe a dire, che nello stato non vi è cosa più perniciosa che la discordia e la disunione, né cosa più giovevole ed utile che la pace ed unione dell’uno coll’altro.

   2. S. Girolamo dice della religione questo medesimo, e con maggior forza (S. HIERON. In Reg. monach. c. 1). «Questa unione e carità fa che i religiosi siano religiosi: senza questa il monastero è un inferno e gli abitanti in esso demoni». Perché qual maggiore interno che, avendo da star sempre insieme col corpo e avendo da trattar l’uno coll’altro, esser differenti fra se stessi di volontà e di pareri? «Ma se v’è unione e carità, la religione sarà un paradiso in terra, e, continua il Santo, quei che vivono in essa saranno angeli»; perché di qua cominceranno a godere quella pace e quiete che di là godono gli angeli. Il che viene confermato da S. Basilio: «Quelli che vivono nella religione, con questa pace e con questa carità ed unione sono, dice egli, simili agli angeli, fra i quali non regnano liti, né contese, né dissensioni di sorta alcuna» (S. BASIL. In Const. Mon. c. 18, n. 2). Il glorioso S. Lorenzo Giustiniani dice che non è qui in terra cosa che tanto al vivo rappresenti la compagnia di quei beati spiriti nel cielo, e l’unione di quella celeste Gerusalemme, quanto l’adunanza in terra dei religiosi uniti in amore e carità. Questa è vita d’angeli, vita celeste. «Veramente il Signore è in questo luogo… Non è qui altra cosa, se non la casa di Dio e la porta del cielo». (S. LAUR. IUSTIN. De discipl. et prof. monast. convers. c. 7). (altro…)

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Del valore e dell’eccellenza della carità ed unione fraterna

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TTRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO I. Del valore e dell’eccellenza della carità ed unione fraterna.

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1. La carità fraterna è dolce cosa.
2. Anzi prodigiosa.
3. E il secondo comandamento di Dio.
4. Simile a quello dell’amor di Dio.
5. In che senso è precetto nuovo.
6. E raccomandato dalla Scrittura e nel Sermone dell’ultima Cena.
7. Argomento della verità di nostra fede.
8. E’ segno dell’amore che Dio ci porta.

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   1. «Oh quanto buona e dolce cosa è, dice il profeta Davide, che i fratelli siano insieme uniti!» (Ps. 132, 1) Quanto par buona l’unione e la conformità tra i fratelli! Il glorioso San Girolamo dice, che questo salmo conviene propriamente ai religiosi, che convivono insieme nella religione. Veramente è cosa buona e di grande allegrezza e gusto, dice egli (S. HIER. in Ps. 132), che per un fratello che abbiamo lasciato colà nel mondo, ne abbiamo trovati qui molti nella religione, i quali ci amano e ci vogliono più bene che i nostri fratelli carnali. Il mio fratello carnale, dice il Santo, non ama tanto me, quanto la mia roba; cosa che non raramente avviene tra parenti. Non è amor vero quello, ma interesse proprio; mentre i nostri fratelli spirituali, che hanno abbandonate e sprezzate tutte le cose loro, non vengono qua a cercare le cose altrui; non amano la roba nostra, ma la nostra anima: e questo è vero amore. E così S. Ambrogio dice che è assai più stretta la fratellanza spirituale che la carnale; perché la fratellanza della carne e del sangue ci fa simili nei corpi; ma la spirituale fa che abbiamo tutti un’anima ed un cuore; come si dice negli Atti Apostolici della moltitudine dei credenti (S. AMBR. Serm. 100, n. 1).

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   2. S. Basilio va ponderando molto bene questa sì rara unione dei religiosi. Qual cosa, dice egli, più piacevole, qual cosa più felice e più beata, qual cosa più ammirabile e più meravigliosa si può immaginare? Vedere uomini di tante diverse nazioni e paesi, tanto conformi e simili nei costumi e nel modo di procedere, che non paiono se non un’anima in molti corpi, e che molti corpi siano strumenti di una sola anima (S. BASIL. Const. monach. c. 18, n. 2). Questo è quello che nella vita del nostro Santo P. Ignazio (RIBAD. l. 2, c. 13; l. 3, c. 1; BARTOLI, l. 3, c. 27) si nota per una cosa molto meravigliosa, e come per miracolo operato da Dio nella Compagnia; il vedere unione e conformità tanto grande e tanto stretta fra uomini di tante diverse nazioni, e tanto differenti e disuguali, o per natura, o per stato, o per inclinazione, genio e condizione di ciascuno; che. sebbene differiscono nelle cose naturali, nondimeno la grazia, le virtù e i doni soprannaturali li fanno conformi ed una stessa cosa. «È Dio che fa abitare nella sua casa uomini di un sol modo di procedere» (Ps. 67, 7). È questo che vuoI dire il Profeta: Ed è tanto grande la grazia che il Signore per sua bontà e misericordia ci fa in questo, che non solo lo godiamo noi altri che stiamo qui dentro, ma l’odore di questo stesso si sparge e si stende ancora a quei di fuori, con grande edificazione e profitto loro e con gran gloria di Dio Signor Nostro. Onde vediamo che molti di quelli che entrano nella Compagnia, domandati che cosa li ha mossi e tirati ad essa, dicono che è stata questa unione e fratellanza che vi vedono. Ed è questo molto conforme a quello che dice S. Agostino sopra queste medesime parole: «Oh quanta buona e dolce cosa è che i fratelli siano insieme uniti!». Con questo sì dolce suono, dice egli, e con questa voce tanto soave si eccitarono gli uomini a lasciar i loro parenti e le loro facoltà, e col bel vincolo di carità ad unirsi insieme nella religione (S. AUG. Enarr. in Ps. 132, n. 2). Questo è quel suono di tromba che li convocò e radunò da diverse parti del mondo, parendo loro che fosse vita celeste questa unione e carità degli uni cogli altri. Questo è ciò che ha formato i monasteri e ha riempito di fratelli le religioni, questa è la calamita che tira a sé i cuori. E così di tre cose, che il Savio dice che piacciono grandemente a Dio, la prima è la concordia e unione tra i fratelli (Eccli. 25, 1-2).


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Tre gradi di perfezione, per salire a gran purità d’intenzione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO III. DELLA RETTITUDINE E PURITÀ D’INTENZIONE CHE DOBBIAMO AVERE NELLE OPERE NOSTRE
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CAPO XIV. Di tre gradi di perfezione, per i quali possiamo salire a gran purità d’intenzione e a grande e perfetto amor di Dio.

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1. Non guardar ad altro che a dar gusto a Dio.
2. Ecco la solitudine in mezzo al mondo!
3. Rinunziare anche all’affetto per se stesso.
4. Piacere a Dio senza nemmeno riflettere al compiacimento che ha Dio di noi.
5. Con questo l’anima si trasforma in Dio.

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   1. Dalla dottrina dei Santi, e specialmente da quella del glorioso S. Bernardo, possiamo raccogliere tre gradi di perfezione, per i quali può uno salire a grande purità d’intenzione e ad un grande e perfettissimo amor di Dio.
Il primo è, quando uno intende e cerca solamente la gloria di Dio; di maniera che nelle cose che fa tutta la sua contentezza e gusto è in Dio, e nell’adempiere e fare la sua divina volontà, dimentico di tutte le altre cose del mondo.
Dice S. Bernardo: Vuoi tu un buon contrassegno per conoscere se ami assai Dio e se vai crescendo in quest’amore, nel modo però che di qua si può conoscere? Guarda se v’è qualche cosa fuori di Dio che ti possa consolare e dar gusto, e per questa via conoscerai quanto profitto hai fatto e quanto sei cresciuto nell’amore di Dio. Fintanto che v’è qualche cosa creata, egli dice (S. BERN. Tract. de inter. domo, c. 40, n. 83) che mi dà consolazione e gusto, veramente non ardisco dire che l’amor di Dio è in me molto ardente e infervorato.
Questo è quello che dice ancora S. Agostino (S. AUG. Confes. l. 10, c. 29): «Ti ama meno, Signore, colui che insieme con te ama qualche altra cosa, la quale non ama per te». Non sarà quest’amore molto singolare, né molto eccellente, come era l’amore di quella santa regina, la quale nel mezzo delle sue pompe e del suo fasto reale diceva: Signore, tu sai bene che non mi ha dato gusto né la corona, né la maestà, né lo strascico reale: neppure nei banchetti del re Assuero né in altra cosa alcuna ho avuta consolazione sino al giorno d’oggi, ma solo in te, Signore Dio d’Abramo (Esth. 14, 18).
Questo è perfetto e singolare amore.

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Come dobbiamo andar crescendo nella purità d’intenzione.

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO III. DELLA RETTITUDINE E PURITÀ D’INTENZIONE CHE DOBBIAMO AVERE NELLE OPERE NOSTRE
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CAPO XIII. Come abbiamo da andare crescendo e perfezionandoci nella rettitudine e purità d’intenzione.

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1. Servir Dio per timore del castigo.
2. Per speranza del premio.
3. Per puro amar di Dio.
4. Il servire dello schiavo del servo, del figliuolo.
5. Dar gusto a Dio, ecco il premio nostro migliore.
6. Amore di amicizia e di concupiscenza.
7. Servir Dio come la sposa serve lo sposo.
8. Che gran merito!

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   1. Il nostro S. P. Ignazio ci dichiara più in particolare come abbiamo da andar crescendo in questa rettitudine e purità d’intenzione. «Tutti, dice egli, si sforzino di avere l’intenzione retta non solo nello stato della propria vita, ma anche in tutte le cose particolari, intendendo sinceramente di servire sempre e piacere in quelle alla Divina Bontà per se stessa, e per la carità e benefici tanto singolari con i quali ci ha prevenuto, piuttosto che per timore di pene o speranza di premi, benché di ciò debbono pure aiutarsi» (Const. p. 3, c. l, § 26; Summ. 17; Epit. 175, § 1).
   Vi sono molti modi di cercare e servir Dio. Servir Dio per timore delle pene, è cercar Dio, ed è cosa buona; perché il timore servile è buono ed è dono di Dio; e così il Profeta lo chiedeva a Dio: «Inchioda col tuo timore la mia carne» (Ps. 118, 120). Il timore servile, in quanto è puramente servile, dicono i teologi che è cattivo, cioè quando uno dicesse, o avesse questa volontà e desiderio: Se non vi fosse inferno, ovvero se io non temessi il castigo, offenderei Dio. Questo è peccato, perché già la persona mostra in ciò la sua mala volontà. Ma il valerci del timore delle pene e del timore della morte e del giudizio per servir Dio e per non peccare, è cosa buona, e a questo fine la sacra Scrittura ci propone molte volte queste cose e ci minaccia con esse.
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Segni per capire se si fan le cose solo per Dio

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO III. DELLA RETTITUDINE E PURITÀ D’INTENZIONE CHE DOBBIAMO AVERE NELLE OPERE NOSTRE
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CAPO XII. Di alcuni contrassegni, dai quali si può conoscere se uno fa le cose puramente per Dio, oppure se cerca in esse se stesso.

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1. Se si gode che altri faccia del bene. Esempio del B. Giovanni d’Avila.
2. Se si gode dell’interno profitto altrui.

3. Se si è indifferenti a qualunque opera.

4. Se non si cercano lodi dai Superiori.

5. Esempio.

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1. S. Gregorio (S. GREG. Moral. l. 22, c. 22, n. 53; c. 23, n. 54) apporta un buon contrassegno per conoscere, se nei ministeri che uno esercita coi prossimi cerca puramente la gloria di Dio, oppure cerca se stesso. Considera, dice egli, se quando un altro predica molto bene e tira dietro a sé la gente e fa gran frutto nelle anime, tu te ne rallegri, come quando tu fai lo stesso. Perché se non te ne rallegri, anzi più tosto pare che ne abbi un certo dispiacere e una certa specie d’invidia, questo, dice S. Gregorio, è chiaro segno che tu non cerchi puramente la gloria di Dio. E apporta a questo proposito quello che dice l’Apostolo S. Giacomo: «Che se avete uno zelo amaro e delle dissensioni nei vostri cuori… non è questa una sapienza che discenda dall’alto; ma terrena, animalesca e diabolica» (Jacob, 3, 14-15). Cotesto non è zelo della gloria di Dio, ma zelo di voi stessi: e zelo di essere tu onorato e stimato come quell’altro. perché se tu desiderassi la gloria di Dio, e non la tua, ti rallegreresti che vi fossero molti di questi tali, e che quello che tu non puoi o non sai fare, lo facessero altri. Come dice la Scrittura di Mosè, che volendo Giosuè opporsi a certi che profetizzavano, esso gli disse come adirato: «Per qual motivo ti prendi tu gelosia per amor mio? Chi mi darà che profeti tutto il popolo, e che il Signore dia a lui il suo spirito?» (Num. 11, 20). Che zeli indiscreti sono codesti? Piacesse a Dio che tutti fossero profeti. Così ha da dire il servo di Dio: Piacesse a Dio che tutti fossero grandi predicatori, e che desse loro il Signore grande spirito, acciocché così si dilatasse maggiormente l’onore e la gloria sua e fosse conosciuto e santificato il suo santo Nome in tutto il mondo

Del B. Giovanni d’Avila abbiamo di ciò un buon esempio. Si dice di lui che quando seppe che Dio Nostro Signore aveva messa al mondo la Compagnia di Gesù per mezzo del nostro Santo Padre Ignazio, ed intese qual era n fine e l’istituto di essa, disse che questa appunto era la cosa, dietro alla quale egli era andato pensando per tanti anni, con tanto desiderio; ma che, non aveva saputo trovarci il verso. E che era accaduto a lui quello che suole accadere ad un fanciullo, che si trova alle falde d’un monte, e desidera e procura con ogni suo sforzo di portar alla cima di esso qualche cosa molto pesante, e non può, per le sue poche forze. Viene poi un gigante, e dato di mano a quel grave peso che il fanciullo non può portare, con molta facilità lo porta e posa ove vuole; considerando se stesso con questa comparazione, per sua umiltà; come fanciullo, e n nostro gran Padre Ignazio come gigante. Ma quel che fa al nostro proposito è questo, che egli ne rimase tanto contento ed allegro, quanto se per mezzo suo si fosse istituita la Compagnia: perché egli non desiderava in tal cosa se non la gloria di Dio e la salute delle anime.
Questi sono buoni e fedeli ministri di Dio, «i quali non cercano se stessi, ma Gesù Cristo», come dice San Paolo (Philip. 2, 21; 4, 17). Il vero servo di Dio ha da desiderare sì puramente l’onore e la gloria di Dio, e il frutto e la salute delle anime, che quando Dio vorrà che questo si faccia per mezzo. di un altro, egli ne resti tanto contento ed allegro, quanto se si facesse per mezzo suo. Onde è molto ben fatto quel che costumano alcuni servi di Dio molto zelanti del frutto e della conversione delle anime, che è chiedere a Dio e dire: Signore, convertasi colui, guadagnisi quell’anima a voi: facciasi del frutto e del bene, sia poi questo per quello qual si sia mezzo che a voi più piace, ché io non voglio si attribuisca a me cosa alcuna. Questo è camminare con verità e purità, desiderando, non l’onore e la riputazione nostra, ma n maggior onore e gloria di Dio.


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Si spiega meglio cos’è la purezza d’intenzione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO III. DELLA RETTITUDINE E PURITÀ D’INTENZIONE CHE DOBBIAMO AVERE NELLE OPERE NOSTRE
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CAPO XI. Si dichiara meglio la rettitudine e purità d’intenzione che ha da essere nelle opere nostre.

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1. Nei ministeri non mirare al successo, ma alla volontà di Dio.

2. Così fanno gli Angeli Custodi riguardo a noi.
3. Dio premia, non secondo il frutto, ma secondo la perfezione dell’azione.

4. I due e cinque talenti.

5. Applicazione.

6. La dottrina è convalidata.

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   1. Si suole dare un avvertimento molto buono a quei che trattano coi prossimi, intorno a quello a cui hanno a mirare nelle opere e nei ministeri loro; con che altresì si dichiara assai bene quanto pura ha da essere la nostra intenzione nelle opere, e quanto schiettamente e semplicemente abbiamo da cercar Dio in esse. Ed è dottrina questa dei gloriosi Padri e Dottori della Chiesa Girolamo, Gregorio e Crisostomo, come vedremo. Ci dicono essi: Quando metti mano a qualche opera, affine che da essa ne provenga un qualche generale o particolare profitto dei prossimi, mm guardare principalmente al frutto e al buon successo dell’opera stessa, ma a fare in essa la volontà di Dio. Di maniera che, quando udiamo confessioni, quando predichiamo, quando insegniamo non abbiamo principalmente da guardare se si convertono, se si emendano e se fanno profitto le persone colle quali trattiamo, o quelle che confessiamo, o a cui predichiamo; ma a far in quell’opera la volontà di Dio, e farla quanto meglio possiamo, facendo quanto è dal canto nostro per piacere a Dio. Il successo poi della tal opera, cioè che l’altro realmente si èmendi e cavi frutto dall’opera nostra, non dipende questo da noi, ma da Dio. «Io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma Dio è quegli che ha dato il crescere» (I Cor. 3, 6). Il piantare e l’innaffiare, dice l’Apostolo, è quello che possiamo fare noi altri, come appunto fa l’ortolano; ma il crescere delle piante, il produrre gli alberi frutto, non è cosa che faccia l’ortolano, ma la fa Dio. Il frutto delle anime, che escano dal peccato, che si convertano e crescano in virtù e perfezione, questo sta in mano di Dio. Il valore e la perfezione dell’opera nostra non dipendono da questo.

   Ora questa purità d’intenzione abbiamo noi da procurare che sia nelle opere nostre; e a questo modo la nostra intenzione sarà molto pura e noi godremo gran pace; poiché chi si porta in questa maniera non si turba nelle opere sue quando per qualche via gli viene impedito e reso impossibile il successo che si proponeva dell’opera buona: perché egli non metteva in questo il suo fine e il suo gusto, ma nel fare in essa la volontà di Dio, e nel farla quanto meglio poteva per piacere a Dio. Ma se tu quando predichi, odi le confessioni, o tratti negozi stai coll’animo molto attaccato all’esito e al fruttò di codesta tua opera buona, e metti in questo il tuo principale fine, allora, se per qualche via ti verrà impedito l’effetto del tuo desiderio; ti turberai e verrai così a perdere alcune volte, non solo la pace del cuore, ma anche la pazienza, e forse passerai più oltre.

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Il guadagno grande che è fare le opere alla presenza di Dio

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composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO III. DELLA RETTITUDINE E PURITÀ D’INTENZIONE CHE DOBBIAMO AVERE NELLE OPERE NOSTRE
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CAPO X.  Del bene e guadagno grande che è nel fare le opere alla presenza di Dio.

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1. Vivere giorni pieni.
2. Avremo altrimenti vita lunga e merito corto.
3. Esempi.
4. Gli anni di religione si contano, non dal tempo, ma dal profitto.

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   1. Le opere fatte alla presenza di Dio si chiamano opere piene; e quei che le fanno in. questa maniera, secondo S. Girolamo e S. Gregorio (S. HIER. Comm. in Is. 38, 10, l. 11; S. GREG. Moral. c. 20, n. 47: Loc. cit. v. 76, col. 778) si dicono nella sacra Scrittura vivere giorni pieni ed essere pieni di giorni, ancorché siano vissuti poco tempo e morti di poca età, giusta quel detto del Savio: «Perfezionatosi in breve tempo, compì una lunga carriera» (Sap. 4, 13).
   Come può essere che in poco tempo uno viva molto e compisca molti anni? Sai come? facendo opere piene e vivendo giorni pieni. Dalla mattina sino alla sera e dalla sera sino alla mattina vive il buon religioso e il servo di Dio un giorno pieno di ventiquattro ore; perché l’impiega tutto in fare la volontà di Dio. Lo stesso mangiare, quel riposare, quel pigliar il sonno necessario, non sono opere vuote per esso, ma tutte le indirizza e riferisce al maggior onore e gloria di Dio, e le sta facendo perché è volontà di Dio che le faccia. Non mangia per gusto, come le bestie; né cerca la soddisfazione e ricreazione sua in queste cose; anzi egli vorrebbe poter fare senza di esse, quando cosi piacesse al Signore. Oh Dio, chi potesse passare la vita senza mangiare, senza dormire e senza queste ricreazioni e trattenimenti! Oh Signore, chi potesse star sempre impiegato in amarvi e non avesse necessità di soddisfare a queste miserie del corpo! Liberatemi, Signore, da queste necessità e miserie, acciocché sempre io vi stia amando e stia occupato in Voi.
   Vedo io bene che questo non è stato della vita presente; ma il non poter di qua giungere a questo stato, il giusto lo tollera con pazienza, benché non senza dolore. Ci dicano un poco il santo Giobbe e il regio profeta Davide come se la passavano essi in questa necessità in cui trovavansi di soddisfare ai bisogni del proprio corpo? «Sospiro prima di prender cibo» (Iob, 3, 24) diceva il primo; e l’altro: «La mia bevanda mescolai colle lagrime. Laverò tutte le notti il mio letto col pianto; il luogo del mio riposo irrigherò colle mie lagrime» (Ps. 101, 10; 6, 6). Così dovremmo fare ancora noi altri, spargendo lagrime dagli occhi nostri quando andiamo a dormire e dicendo: Ah Signore! ho io da star qui tanto tempo senza ricordarmi di voi? «Misero me, il mio pellegrinaggio è prolungato!» (Ps. 119, 5). Ohimè! quanto ha da durar quest’esilio? quando mi libererete da questa cattività? quando mi leverete da questa servitù? «Traggi dal carcere l’anima mia» (Ps. 141, 40). Quando mi caverete, o Signore, dal carcere di questo corpo, acciocché io mi possa dare totalmente a Voi? quando sarà questo? Oh quanto tarda a venire quest’ora! Queste sono opere piene e giorni pieni: in questa maniera il giusto in poco tempo vive lungamente, e pochi giorni di vita sono molti anni di merito. (altro…)

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La causa delle distrazioni non sono le occupazioni

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO III. DELLA RETTITUDINE E PURITÀ D’INTENZIONE CHE DOBBIAMO AVERE NELLE OPERE NOSTRE
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CAPO IX. Che la cagione del ritrovarsi alcune volte distratti e male approfittati, non sono le occupazioni esteriori, ma il non farle come si dovrebbe.

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1. Esposizione di questa verità.
2. L’orazione aiuta l’azione e viceversa.
3. Esempi.

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1. Da quello, che si è detto si potrà comprendere, che la cagione del ritrovarci noi alle volte distratti e scapitati per le occupazioni esteriori, non sta nelle occupazioni, ma in noi stessi, che non sappiamo cavare frutto da esse, né farle come dovremmo: e così non sia chi incolpi le occupazioni che ha, ma se medesimo, che non se ne sa approfittare. Rompi la noce, poiché non si mangia quel che è di fuori, ma quel che è di dentro. Se tu ti fermi nell’esteriore dell’opera e nella scorza di essa, questo ti farà nocumento al corpo e ti disseccherà lo spirito; quel che è dentro, cioè la midolla, che è la volontà di Dio, ha da essere il tuo cibo. Rompi dunque coi denti della considerazione codesta scorza esteriore, e lasciala stare, e vattene alla midolla, come quell’aquila grande di Ezechiele (Ezech, 17, 3) la quale penetrò e cavò la midolla dal cedro, senza fermarsi nella scorza. «Ti offrirò pingui olocausti» (Ps. 65, 4). In questo ti hai da fermare e questo hai da offrire a Dio; e in questo modo crescerà e migliorerà l’anima tua. Marta e Maddalena sono sorelle, l’una non disturba né impedisce l’altra, anzi si aiutano fra loro.


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