Seconda specie di unioni non buone: cercare protettori

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA

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CAPO XIX. Seconda specie di unioni non buone: cercare protettori.

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1. Non cercare protettori nella religione.
2. Perché dannoso alla comunità.
3. Cerchiamo solo il profitto spirituale: esempio di Salomone.
4. E non l'appoggio degli uomini.

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1. Vi è una seconda specie di amicizie particolari, differenti dalle passate, perché hanno altro fine differente, e che non sono meno pregiudiziali alla comunità e all'unione e carità fraterna, anzi più. Queste sono quando uno, desideroso di salire, di farsi valere e di essere riputato e stimato, si unisce e aderisce a quelli che gli pare che lo potranno aiutare. Cassiano dice (CASSIAN. Coll. 7 ab. Theo) che, come le infermità grandi del corpo si vanno generando a poco a poco, così le infermità spirituali e i mali grandi dell'anima si vanno anch'essi a poco a poco generando. Dichiariamo ora in che modo si vada generando nell'anima questa infermità, e insieme andremo dicendo della via ordinaria per la quale viene a guastarsi e a rovinarsi uno studente religioso.

Esce uno dal noviziato con buon profitto, per grazia del Signore, con grande stima delle cose spirituali e con molta affezione ad esse, come la ragion vuole che ne esca. Va ai collegi; ed ivi col fervore degli studi comincia ad allentare negli esercizi spirituali, o lasciandoli in parte, o facendoli per usanza o per complimento, senza cavar frutto da essi; che viene ad esser lo stesso. Passa innanzi, e come già per una parte gli vanno mancando le armi spirituali, perché non fa più i suoi esercizi come deve, e per l'altra la scienza gonfia e cagiona vanità; va a poco a poco apprezzando e stimando quel che tocca ingegno e talenti, e scemando di apprezzamento e di stima per quello che tocca virtù o umiltà. Questa è la porta per la quale entra e comincia ordinariamente tutto lo sconcerto, disordine e detrimento degli studenti; onde si dee avere grande avvertenza per ben premunirvisi. Va diminuendo in essi il pregio e la stima della virtù, dell'umiltà, della mortificazione e di tutto quello che concerne le cose spirituali, spettanti il loro profitto; e a proporzione va crescendo il pregio e la stima delle lettere e delle abilità, parendo loro che quella abbia da esser la via per cui hanno ad avanzarsi, a distinguersi e a condursi ad esser riputati e stimati. E così cominciano a drizzar la mira a questo bersaglio, e desiderano esser tenuti per persone di buon ingegno e di buoni talenti; e per questo fine ambiscono che riesca loro bene l'argomentazione e la conclusione. Così si gonfiano di vento e cercano tutte le occasioni per spiccare e far mostra di sé, e forse per oscurare gli altri, acciocché non vadano loro innanzi. Quindi passano più oltre e cominciano a procurare di cattivarsi il maestro e il consultore e tutti quelli che pensano che li potranno aiutare e mettere in grazia dei Superiori; e stringono con essi amicizia. Tutto in ordine al fine di avanzarsi, di farsi valere, di essere riputati e stimati e per avere questi Padri più gravi favorevoli nelle cose loro.

2. Questa è una della più pregiudiziali e più perniciose cose che possano essere nella religione, e delle più contrarie all'unione e carità. Perché qual peggior male può entrar nella religione che l'ambizione e le pretensioni? E qual peste maggiore potrebbe entrare tra noi nella Compagnia che l'andarvisi seminando questo linguaggio: cioè che sia necessario che ciascuno procuri per sé e che si valga dell'aiuto d'altri; perché altrimenti se ne resterà dimenticato e in un cantone e non si terrà conto di lui; e che però qui anche tra noi oramai le cose camminano in questa maniera? Dio ci liberi da così pestilenziale linguaggio, e molto più dal trovarsi chi cominci a seminare questo veleno nel cuore di quell'innocente, che tanto lontano ne stava, e in sì detestabile modo aprir loro gli occhi per camminare verso la loro rovina.

In questo particolare sono molto differenti le massime che professa la Compagnia. Dice il nostro S. Padre nella decima parte delle Costituzioni: (Const. p. 10, § 2; Summ. 16; Epit. 847, § 2) «Tutti quelli, che si sono dedicati al divino servizio nella Compagnia, si diano all'acquisto delle sode e perfette virtù e delle cose spirituali; e stimino essere ciò di maggior momento, che non la dottrina o altri doni naturali ed umani». Questo è quello che stima ed apprezza la Compagnia. Perciò non v'inganni l'antico serpente colla sua astuzia e veleno persuadendovi che col trasgredire i comandamenti dei vostri maggiori e col mangiare di quel che è vietato «sarete come dèi» (Gen, 3, 5). Avvertite che non v'induca a credere che per questa via vi avanzerete e sarete onorati e stimati; perché egli mentisce, come è suo proprio; che anzi sarete quindi disprezzati e derisi. Se invece camminerete per quest'altra strada della virtù, facendo sempre più capitale delle cose spirituali e di quel che concerne il vostro profitto, in questa maniera farete gran progresso e il Signore vi esalterà nell'una cosa e nell'altra; vi concederà la virtù che desiderate, e poi anche onore e riputazione, se sarà più espediente per voi. Sarete riputati e stimati dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.

3. Abbiamo in conferma di questo un racconto molto a proposito nel terzo libro dei Re. Narra la sacra Scrittura che Dio disse a Salomone, che chiedesse quel che voleva, che gliel'avrebbe dato. Ed avendo Salomone sopra ogni cosa adocchiata la sapienza, chiese questa a Dio; e dice la Scrittura che si compiacque tanto Dio dell'aver Salomone posti gli occhi nella sapienza, che gli disse: perché m'hai dimandata questa, e non lunga vita, né ricchezze, né vittoria, né vendetta dei tuoi nemici; io ti do la sapienza, e talmente te la do, che sarai chiamato il Savio per eccellenza; perciocché né prima di te vi è stato, né dopo te vi sarà un altro simile (III Reg. 3, 10-12).

E di più (ch'è quello che fa' al proposito nostro) fu tanto il compiacimento di Dio, che Salomone avesse accertato, così bene nell'elezione e dimanda fattagli, che non contento di dargli la sapienza che gli domandò, e di dargliela in quel modo sì liberale con cui gliela diede, gli aggiunse inoltre quel tant'altro di più che non gli chiese, cioè ricchezze e gloria. perché hai saputo chiedere così bene, gli disse, io ti darò ancora quel che non mi hai richiesto, cioè ricchezze e gloria; e ciò tanto abbondantemente, che giammai non sia stato fra i re un altro simile a te (Ibid. 13). Or così farà Dio anche a voi. Se procurate di elegger,e e metter gli occhi nella vera sapienza, cioè nelle vere e sode virtù, vi darà la virtù che desiderate e nella quale avrete posto gli occhi, perché questo piace a Dio grandemente; e vi darà anche l'onore e la riputazione, alla quale voi non pensaste; l'una e l'altra cosa vi darà Iddio.

E così vediamo per esperienza che questi sono riputati e stimati dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini: perché è parola di Dio quella che dice, che colui che si umilierà sarà esaltato (Luc. 14, 11; 18, 14). E quanto più vi umilierete e vi darete alla virtù, tanto più esaltati e stimati sarete; e quanto più fuggirete l'onore e la riputazione, tanto più vi verrà dietro, come va l'ombra dietro a colui che la fugge. E codesti ambiziosi invece, che a guisa di camaleonti si vanno pascendo d'aria per gonfiarsi e per parer grandi, quanto più lo pretenderanno, tanto più fuggirà da essi l'onore; essendo che per quella medesima strada, per la quale si pensano d'ascendere, discendono; e per quella per la quale si credono ché saranno riputati e stimati, sono disprezzati; perché vengono ad esser tenuti per superbi, inquieti e perturbatori della religione. E così non vi manca altro che cacciarli fuori di essa, come membri infetti e putridi, acciocché non infettino altri.

4. Ora, ritornando al nostro punto, dico che, come nella Compagnia abbiamo da stare molto lontani da ambizioni e da pretensioni; così ancora abbiamo da star lontani dallo stringerei in queste amicizie, che si ordinano a questo fine col maestro, o col consultore, o con altra persona autorevole tra di noi. Non abbiamo da essere aderenti a veruno, né vi ha da esser qui quello: «Io sono di Paolo, e io di Apollo, e io di Cefa» (I Cor. 1, 12). Io non sono di questo né di quello, se non del mio Superiore: con esso ho da star unito e con nessun altro poi in particolare. Non abbiamo bisogno nella Compagnia di protettori né di sostegni ed appoggi, né d'andare ossequiando né cattivandosi alcuno; poiché non siamo pretendenti, né siamo venuti qua a pretendere avanzamenti, ma a procurare di salvarci. Sii tu buon religioso e attendi davvero a quella cosa per la quale sei venuto alla religione; e non avrai bisogno d'altro che di Dio. Questo tale è quegli che ha la pace e quiete nella religione; e gli altri non ce l'avranno mai, come essi medesimi lo provano e lo confessano.

Si dovrebbe vergognare ed avere per affronto un religioso di esser tenuto per uomo che vada cercando queste protezioni, e procacciando si l'altrui favore, e talvolta forse anche ossequiando questo e quello, acciocché l'aiutino e gli facciano puntello; perché questa cosa arguisce grande imperfezione e gran debolezza. La casa che ha bisogno d'appoggi e di puntelli è molto debole e sta per cadere. L'albero che ha bisogno di sostegni è assai tenero e poco fermo e ha poca radice. Così se tu vai cercando sostegni ed appoggi, sei assai tenero e hai gettato poca radice nella virtù e anche nella religione. Onde il nostro Padre Generale Claudio Aquaviva (In Instruct. Scholast. § 3) avverte di ciò molto particolarmente gli studenti, dicendo che in nessun modo s'ha da permettere che s'appoggino ai Padri provetti, né elle li tengano per loro protettori. Ed avverte ancora gli stessi Padri provetti, che si guardino da simili patrocini; e molto più dal volere, che altri aderiscano a loro e si valgano di essi; e dall'offrirsi loro per aiutarli in tutto quello che avranno di bisogno. E molto più ancora si guardino dall'esservi tra loro alcuno che si pregi, o l'abbia per un riconoscimento della sua autorità, il vedere che i più giovani ricorrono a lui; e si risenta se non lo fanno, parendogli che questo sia un non stimarlo e fare poco conto di lui; e venga talvolta per questo a notare taluno e a tacciarlo per molto duro e per persona che troppo voglia stare su la sua. Chi si diporterà conforme a tali avvertimenti mostrerà di essere in ciò molto religioso, perché questa veramente è religiosità, e quell'altra no, ma cosa molto mondana e secolaresca. E se alcuno si lamenterà di te per questo, sarà un lamentarsi dell'essere te virtuoso e dello stare, come buon religioso, molto lontano da questa pratica tanto mondana e tanto contraria alla religione. Piaccia a Dio che di noi altri non vi sia mai altra querela.