Esempi di giudizi temerari

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA

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CAPO XVII. Si conferma quel che si è detto con alcuni esempi di giudizi temerari.

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1. Dell’abate Isacco.
2. Di Totila, re dei Goti.
3. D’un monaco.
4. Di Fra Leone.
5. Di S. Francesco d’Assisi.
6. D’un altro monaco.
7. Dell’abate Machete.
8. D’un altro monaco.

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   1. Nelle Vite dei Padri si racconta dell’abate Isacco, che venendo egli un giorno dalla solitudine, nella quale viveva, ad una congregazione di monaci, giudicò male d’uno, tenendolo per degno di pena, perché vide in esso alcuni indizi di poca virtù. Ritornandosene poi verso la sua cella, trovò su la porta di essa un angelo in piedi, il quale gl’impediva l’entrata. Di che dimandandogli il santo abate la cagione, rispose l’angelo, che il Signore l’aveva mandato per dirgli ove voleva o comandava che gettasse quel monaco, ch’egli già aveva giudicato e condannato. Allora l’abate, conoscendo la sua colpa, dimandò perdono al Signore; e l’angelo gli disse, che il Signore gli perdonava per allora; ma che per l’avvenire si guardasse bene di farsi giudice e di dar sentenza contro alcuno, prima che il Signore, il quale era il giudice universale, lo giudicasse (De vitis Patr. l. 3. n. 137; l. 5, lib. 9, n. 3).

   2. Narra S. Gregorio di Cassio, vescovo di Narni, gran servo di Dio, che era naturalmente molto rubicondo e acceso di faccia; e che vedendolo Totila, re dei Goti, giudicò che quella cosa procedesse dal bere assai. Ma il Signore ebbe cura di pigliar subito la difesa dell’onore del suo servo, permettendo che il demonio entrasse repentinamente in un ufficiale del re, che portava il suo stocco, e che lo tormentasse lilla presenza del re e di tutto l’esercito. Condussero perciò l’indemoniato al santo uomo, il quale facendo sopra di lui orazione e il segno della croce, lo liberò subito dal demonio. Per il quale successo il re mutò il suo giudizio e da lì innanzi fece di lui grande stima (S. GREG. Dial. c. 6).

   3. Si narra anche nelle Vite dei Padri che v’erano due monaci molto santi e molto buoni fratelli, ai quali il Signore aveva fatto questa grazia, che ciascun di loro vedeva nell’altro la divina grazia che in esso abitava per mezzo di qualche segno visibile, che ivi non si specifica qual fosse. Uno di essi uscì un venerdì mattina a buon’ora fuori della cella, e vide un monaco che mangiava; e subito vedutolo, senza esaminare la necessità o cagione che il monaco doveva avere per mangiare tanto di buon’ora, gli disse: Come mangi tu a quest’ora, essendo oggi venerdì? parendogli quella cosa. un gran mancamento nell’altro. Quando poi ritornò alla cella s’attristò grandemente il monaco suo compagno perché non vide in esso il solito segno della grazia di Dio; e gli disse: Fratello, che cosa hai fatto dopo esser uscito fuori? Al che quello rispose che egli non sapeva d’aver fatto male alcuno; e allora il compagno gli replicò: Hai tu forse detta qualche parola oziosa? Con che egli subito si ricordò di quello che aveva detto e giudicato dell’altro monaco, e gli raccontò ciò che era passato. E ambedue digiunarono due settimane in penitenza di quella colpa; le quali passate, vide l’altro il solito segno (De vitis patr. l. 5, lib. 9, n. 12).

   4. Nelle cronache di S. Francesco si riferisce una meravigliosa visione, che mostrò il Signore a fra Leone, uno dei compagni di S. Francesco. Vedeva egli un gran numero di frati Minori in processione molto risplendenti e belli; fra i quali ne vide uno più glorioso, dai cui occhi uscivano raggi più risplendenti che quelli del sole, ed erano tanto chiari e belli, che non lo poteva mirare in faccia. E dimandando il santo fra Leone chi fosse quel frate con quegli occhi tanto chiari e risplendenti, gli fu risposto, che era fra Bernardo da Quintavalle, primo compagno di S. Francesco; e che la cagione di quella tanta luce e splendore che aveva negli occhi era perché interpretava sempre secondo il senso migliore ciò che vedeva negli altri, e riputava tutti migliori di sé. Quando vedeva poveri e rappezzati, diceva a sé stesso: Questi osservano meglio la povertà che non fai tu; e li giudicava come se volontariamente avessero promessa e desiderata quella povertà. E quando vedeva ricchi e ben vestiti, diceva con molta compunzione: Forse costoro portano cilici sotto quegli abiti e segretamente castigano la loro carne, ma esteriormente si vestono così per fuggire la vanagloria; onde può essere che siano migliori di te. E gli fu soggiunto che per questa sua santa semplicità di occhi gli dava il Signore quella gloria particolare in essi (Cronache dei Frati Minori, l. 6, c. 9. Venezia 1582, p. 89).
   Questo dobbiamo noi altri imitare. S. Doroteo dice: Quando tu entri nella cella di un altro e vedi ogni cosa scomposta, oche quel fratello va trasandato, di’ dentro del tuo cuore: Oh felice e beato fratello, che va tutto assorto in Dio, e così non guarda a queste cose esteriori! E quando vedrai un altro molto composto e rassettato, di’: Così tiene egli l’anima sua (S. DOROTH. Doctr. 16, n. 4).

   5. Nelle medesime cronache si legge che, predicando S. Francesco per l’Italia, ritrovò in una strada un uomo povero e molto infermo, del quale si mosse a pietà e compassione. E cominciando a parlare col suo compagno compassionevolmente dell’infermità e povertà di colui il compagno gli disse: Padre, è vero che costui pare molto povero; ma forse sarà più ricco nei desideri di quanti sono in questa terra. Lo riprese subito S. Francesco di questa parola e di questo giudizio temerario molto aspramente, dicendogli: Fratello, se vuoi venire in compagnia mia, hai da fare la penitenza ch’io ti dirò per questo peccato contro il tuo prossimo. Il frate si offri con molta umiltà e riconoscimento del suo fallo ad ogni penitenza; e gli comandò il Padre S. Francesco che si spogliasse l’abito e si buttasse ai piedi di quel povero; confessasse d’aver peccato, mormorando contro di lui gli chiedesse perdono e lo ricercasse di pregar Nostro Signore per lui: e il compagno pose in esecuzione subito e molto intieramente la penitenza impostagli (Cronache etc. l. 1, c. 38; Loc. cit. p. 85 seg.). Dello stesso S. Francesco si racconta ivi che, patendo egli un tempo di cecità d’occhi per l’infermità cagionatagli in essi dalle molte e continue lagrime, andò a trovar fra Bernardo per consolarsi seco col parlare di Dio: perché aveva quel frate grazia speciale di parlare di Dio, e perciò molte volte spendevano insieme tutta la notte in parlare di cose. spirituali e celesti. Arrivato alla cella, la qual era ritirata nella montagna, stando fra Bernardo rapito in orazione, il sant’uomo lo chiamò da vicino alla cella, dicendo: Fra Bernardo, vieni a parlare a questo cieco. Ma come egli stava tutto rapito in Dio, non udiva cosa alcuna, né rispose al Santo. Passato qualche intervallo, tornò un’altra volta S. Francesco a chiamarlo: Fra Bernardo, vieni a consolare questo povero cieco. Non rispondendo fra Bernardo, s’attristò grandemente S. Francesco, e cominciò a mormorare fra se stesso, che fra Bernardo, chiamato molte volte, non gli avesse voluto rispondere. E andando il Santo in questo modo lamentandosi per la strada e confuso, si scostò dal compagno e si pose a far orazione sopra questo dubbio, come fra Bernardo non gli avesse risposto. E subito udì la risposta di Dio che lo riprese e gli disse: perché ti turbi tu, omiciattolo che sei? È forse ragione che l’uomo lasci Dio per la creatura? Fra Bernardo, quando tu lo chiamavi, stava meco, e non seco; perciò non poteva venir da te, né risponderti cosa alcuna, perché non ti sentiva. Subito il santo Padre se ne ritornò da fra Bernardo molto in vetta per accusarsi e per ricevere da lui penitenza di quel pensiero; e trovandolo che usciva dall’orazione, gli si buttò ai piedi, dicendo la sua colpa e dandogli conto della riprensione fattagli dal Signore. E comandò a fra Bernardo, in virtù di santa ubbidienza, che facesse nella persona sua quanto gli avesse egli comandato, per sua propria penitenza. Ma sospettando fra Bernardo che il Santo fosse per comandargli di far qualche cosa in genere d’umiltà eccessiva, come soleva fare in proprio disprezzo e castigo, volendo con alcune ragioni scusarsi, ma indarno, gli disse finalmente: Io sto disposto, Padre, a far quello che mi comanderai, con questo però, che tu ancora mi prometta di far quello che io ti dirò. Del che il santo Padre si contentò, come quegli che era più pronto ad ubbidire che a comandare. Allora disse Francesco: Ti comando, in virtù di santa ubbidienza, che per castigo della mia presunzione, stando io disteso per terra, tu mi ponga uno dei tuoi piedi sul collo, e poi su la bocca l’altro, e così facendo mi passi tre volte sopra, calcandomi bene la cervice e la bocca, dicendomi queste parole ch’io merito, cioè: Stattene lì in terra, villano, figliuolo di Pietro Bernardone! Da quando in qua tanta superbia, essendo tu di condizione tanto bassa e vile? Intendendo questo fra Bernardo, stette alquanto dubbioso di farlo; ma per rispetto all’ubbidienza e per non disgustare il Santo Padre lo fece colla maggior riverenza ch’egli poté. Fatto questo, disse S. Francesco: Comanda tu adesso quello che vuoi in virtù di santa ubbidienza. E fra Bernardo disse: In virtù di santa ubbidienza ti comando, che quando staremo ambedue insieme, tu mi riprenda dei miei difetti molto aspramente. Restò per questa cosa il P. S. Francesco con gran pena, perché aveva egli in molta riverenza fra Bernardo per la sua santità e da lì innanzi non costumò più di stare lungo tempo con lui, per non aver occasione di riprendere un’anima tanto santa; ma quando andava a vederlo o, a sentirlo parlar di Dio, se ne spediva presto (Cronache etc l. 1, c. 75; Loc. cit. p. 144).

   6. Scrive il Surio che una volta andò un sacerdote, che era parroco in quel contorno, a visitare il santo abate Arsenio: e trovatolo infermo volle a tutti i patti stendergli sotto un tappeto e porgli a capo del letto un cuscino, costringendo il santo abate ad accettarli. Tornò un altro giorno il, medesimo sacerdote a visitare il santo abate, seco avendo in compagnia un altro monaco vecchio, il quale vedendo Arsenio a quel modo cominciò a scandalizzarsene, parendogli che quella fosse troppa delicatezza per un uomo che si diceva esser tanto santo, non conoscendo chi fosse Arsenio. Allora il sacerdote, il quale era uomo prudente, trasse alquanto in disparte quel vecchio e gli disse: Padre, io ti prego che mi dica che cosa avevi tu per vivere prima che fossi monaco? Ed egli rispose, che era molto povero e che non aveva roba né con che poter vivere. Allora il sacerdote gli replicò: Or sappi che Arsenio avanti che fosse monaco era persona molto comoda e principale, aio di principi, per la cui casa vedevasi a rotolar l’oro. E che un uomo tale abbia lasciate tutte queste cose e sia venuto a questa povertà ed umiltà, ben vedi se è cosa da ammirarsi; e se è grande delicatezza per un uomo allevato in tanta abbondanza, ed ora vecchio ed infermo, il tappeto e il cuscino che tiene. Con che il vecchio restò confuso e convinto (SURIUS, in vita S. Abb. Arsenit, § 30; S. THEOD. Stud. Laud. S. Ars. anachor. c. 3).

   7. Cassiano narra dell’abate Machete, che trattando ed insegnando che non dovevamo giudicar male d’alcuno, raccontava di sé, che aveva egli sinistramente giudicato dei monaci in tre cose particolarmente. La prima era che, venendo ad alcuni monaci certa gonfiagione dentro la bocca, che dava loro gran fastidio, e medicandosela e facendosela essi tagliare per liberarsene, egli giudicava quel fatto per mancamento e per poca mortificazione. La seconda che, rimettendo alcuni alquanto del rigore della vita aspra che facevano, per qualche necessità che n’avevano, adoperavano una coperta fatta di peli di capra, per coricarvisi sopra, o per coprirsene: ed egli giudicava che questa fosse troppa delicatezza e contro il rigore che come monaci dovevano osservare. La terza che, andando secolari mossi da devozione a domandare ai monaci un poco d’olio benedetto, e benedicendolo essi e dandolo loro, pareva a lui che quella fosse una grande presunzione e un dimostrare che fossero santi. E confessa egli stesso che per castigo di questi giudizi colpevoli Dio l’aveva lasciato cader in tutte e tre queste cose, e che a lui altresì era convenuto fare quel medesimo che aveva condannato negli altri; perché ebbe egli ancora la gonfiagione dentro la bocca, e astretto dal gran dolore e tormento che gli cagionava, e dalle esortazioni dei maggiori di sé, se la medicò e se la fece tagliare: e per necessità cagionata da questa infermità medesima usò quella sorta di coperta: e costretto dalla grande istanza e importunità dei secolari, diede loro anch’esso l’olio benedetto. E conclude esortando tutti col suo esempio a temere e fuggire con gran diligenza questo vizio; dicendo che altrimenti sarebbero incorsi in quelle medesime cose delle quali avessero condannati gli altri, come era accaduto a lui (CASS. De coenob. inst. l. 5, c. 30).

   8. Racconta Anastasio abate del monastero del Monte Sinai, il quale fiorì nel VII secolo, che fu già nel suo monastero un monaco che non s’accomodava quanto dovea alle cose della comunità, come coro, digiuni, discipline ecc., e così non era tenuto per tanto buon religioso. Venuta l’ora della sua morte, lo trovarono allegro: del che Anastasio lo riprese con dirgli: Come? un monaco che è vissuto tanto rilassatamente ride e sta in quest’ora tanto allegro? Ed egli rispose: Non ti meravigliare, Padre, ché il Signore m’ha mandato a dire per un angelo che mi ho da salvare; perché adempirà meco la sua parola: «Non giudicate, e non sarete giudicati: Perdonate, e sarà a voi perdonato» (Luc. 6, 37). E sebbene è vero ch’io non era così esatto come doveva nelle cose della comunità, parte per la mia rilassatezza, parte per la mia poca sanità, e soffriva che di me sparlassero, nondimeno perdonava loro di cuore, né mai malamente di loro giudicava, anzi scusava quel che facevano e dicevano: per questo io sto allegro (S. ANAST. Sinatt. orat. de S. Syn. circa finem).