Meditazione: quelli che non riescono a discorrere con l’intelletto

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO XIII. Si soddisfa al lamento di quelli che dicono, che non possono o non sanno meditare né discorrere con l'intelletto

 

 

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1. Spesso il discorso pregiudica l'affetto.
2. Da considerazioni comuni spesso affetti molto elevati. 
3. E grazia maggiore l'affetto che non il discorso. 
4. Esempio.

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1. Con questo si risponde ad un lamento molto comune di alcuni, i quali si rammaricano, dicendo che non possono o non sanno discorrere nell'orazione, perché non si presentano loro considerazioni onde potersi stendere sui punti, ma subito se ne restano in secco. Non accade pigliarsi di ciò fastidio alcuno, perché, come abbiamo detto, questo negozio dell'orazione consiste più in affetti e desideri della volontà, che in discorsi e speculazioni dell'intelletto. Anzi notano qui i maestri della vita spirituale, che bisogna avvertire che la meditazione dell'intelletto non sia soverchia, perché questo suole impedire assai il movimento e l'affetto della volontà, che è la cosa principale. E specialmente viene questo movimento ed affetto impedito di più, quando uno si trattiene in considerazioni sottili e delicate. E la ragione è naturale; perché è cosa chiara che se una fontana non ha più che una vena d'acqua, e vi sono molti canali; quanto più acqua correrà per uno di essi, tanto meno ne correrà per gli altri. Ora la virtù dell'anima è finita e limitata e quanto più ne scorre per il canale dell'intelletto, tanto meno ne scorrerà per quello della volontà.

E così vediamo per esperienza che se l'anima sta con divozione e sentimento, e l'intelletto si distrae con qualche speculazione o curiosità; subito il cuore si secca e si estingue quella divozione. Il che avviene perché la fontana va smaltendo l'acqua per l'altro canale dell'intelletto e perciò viene a restare secco quello della volontà. Onde dice Gersone (GERSON, De mont. contempl. prolog.) che di qui procede che quelli che non sono dotti, alcune, anzi molte volte sono più divoti e riescono meglio nell'orazione che i dotti; perché si attuano meno per mezzo dell'intelletto, non occupandosi, né distraendosi in speculazioni, né in curiosità; ma procurano subito con considerazioni facili e semplici di muovere e affezionare la volontà. E quelle considerazioni ordinarie e famigliari li muovono più e fanno maggior effetto in essi, che non. fanno in altri le alte e sottili. Come vedemmo in quel santo cuoco, di cui abbiamo di sopra fatta menzione (Tratt. 3, c. 9, n. 3), il quale dal fuoco materiale che adoperava prendeva occasione di ricordarsi del fuoco eterno, ed era uomo di tanta divozione, che aveva dono di lagrime nelle sue operazioni.

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Meditazione: importanza degli atti e affetti della volontà

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO XII. Di quanta importanza sia il trattenerci negli atti e affetti della volontà.

 

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1. Negli affetti è la perfezione dell'orazione.
2. Qui sia tutto il nostro studio

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1. E di tanta importanza il trattenerci e il far pausa negli atti ed affetti della volontà, e lo stimano tanto i Santi e i maestri della vita spirituale, che dicono che in questo consiste la buona e perfetta orazione, e ancora quella che è chiamata contemplazione; quando cioè l'uomo non cèrca più colla meditazione incentivi d'amore, ma gode dell'amore trovato e desiderato, e si riposa in esso come nel termine della sua investigazione e del suo desiderio, dicendo colla Sposa dei sacri Cantici: «Ho trovato quello che l'anima mia ama: già lo tengo, e non lo lascerò più» (Cant. 3, 4). E questo è quello che ivi dice ancora la medesima Sposa: «Io dormo, e il mio cuore veglia» (Ibid. 5, 2); perché nella perfetta orazione l'intelletto sta come addormentato, avendo lasciato il discorso e la speculazione, e la volontà sta vegliando e liquefacendosi nell'amore del suo Sposo. E piace tanto allo Sposo questo sonno nella sua Sposa, che comanda che la lascino quietare in esso e non la risveglino fino a tanto ch'ella ne gusterà: «Io vi scongiuro, o figliuole di Gerusalemme, pei caprioli e pei cervi dei campi, che non rompiate il sonno della diletta e non la facciate vegliare fino a tanto che ella il voglia» (Ibid. 3, 5).

Di maniera che la meditazione e tutte le altre parti che costituiscono l'orazione sono ordinate e indirizzate a questa contemplazione, e sono come tanti scalini per i quali abbiamo da salire ad essa. Così dice S. Agostino in un libro chiamato da lui Scala del Paradiso (S. AUG. Scal, parad.). «La lettura cerca; la meditazione trova; l'orazione chiede, ma la contemplazione gusta e gode di quello che è stato cercato, chiesto e trovato. È apporta quel luogo del Vangelo: «Cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto», (Matth. 7, 7) soggiungendo: «Cercate leggendo e troverete meditando; bussate orando e vi sarà aperto contemplando» (S. AUG. loc. cit.).

E così avvertono i Santi, e l'apporta Alberto Magno (ALB. MAGN. De adhaerendo Deo, c. 9), che questa è la differenza che corre fra la contemplazione dei fedeli cattolici e quella dei filosofi gentili; che la contemplazione dei filosofi tutta è ordinata a perfezionar l'intelletto colla cognizione delle verità conosciute, e così si ferma nell'intelletto, perché questo è il suo fine, cioè il sapere e il conoscere sempre più; ma la contemplazione dei cattolici e dei Santi, della quale trattiamo adesso, non si ferma nell'intelletto, ma passa avanti a dilettare e a muovere la volontà e ad infiammarla ed accenderla nell'amor di Dio, come lo significano quelle parole della sacra Sposa: «L’anima mia s'è liquefatta subito che il mio Diletto ha parlato» (Cant. 5, 6). E notò molto bene questa cosa S. Tommaso (S. THOM. 2-2, q. 180, a. 1 et 7), il quale trattando della contemplazione dice che, sebbene la contemplazione essenzialmente consista nell'intelletto, nondimeno la sua ultima perfezione sta nell'amore e nell'affetto della volontà. Di maniera che l'intento e il fine principale della nostra contemplazione ha da essere l'affetto della volontà e l'amor di Dio.

 

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Meditazione: il frutto da ricavare

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO X. Di altri beni e utilità che sono nella meditazione.

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1. Gli affetti del cuore frutto dell'orazione.
2. Quindi non vada tutto in discorsi.
3. Il discorso è mezzo, non fine.
4. Alla cognizione segua l'affetto.
5. Quali saranno questi affetti?
6. Quanto valerci del discorso?

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1. «Si accese dentro di.me il cuor mio e un fuoco divampò nelle mie considerazioni» (Ps. 38, 4). In queste parole ci dichiara il profeta Davide il modo che abbiamo da tenere nell'orazione, giusta la spiegazione che ne apportano molti dottori e Santi (S. HIERON. Brev. in Ps. 38; S. GREG. Moral. l. 23, c. 11), i quali dichiarano questo luogo del fuoco della carità ed amor di Dio e del prossimo, che colla meditazione delle cose celesti s'accendeva e ardeva nel petto del reale Profeta. Il mio cuore dice egli, si riscalda, e tutto dentro di sé si accende. Questo è l'effetto dell'orazione. Ma come prese questo calore, come si accese questo fuoco colà dentro nel cuore? Sai come? colla meditazione. Questo è il mezzo e lo strumento per accendere questo fuoco. Di maniera che la meditazione, dice S. Cirillo Alessandrino, è come il batter coll'acciarino la pietra focaia, acciocché n'esca fuoco. Col discorso e colla meditazione dell'intelletto hai da battere codesta dura pietra del tuo cuore, sin a tanto che s'accenda nell'amor di Dio e in desiderio dell'umiltà, della mortificazione e delle altre virtù; e non t'hai da fermare sinchè non abbi cavato ed acceso in esso questo fuoco.

2. Benché la meditazione sia molto buona e necessaria, non se ne ha però da andar tutta l'orazione in discorsi e considerazioni dell'intelletto, né ci abbiamo da fermar ivi; perché questo sarebbe più studio che orazione; ma tutte le meditazioni e considerazioni che faremo hanno da esser prese da noi come mezzo per eccitare ed accendere nel nostro cuore gli affetti e i desideri delle virtù, perché la bontà e santità della vita cristiana e religiosa non consiste nei buoni pensieri e nell'intelligenza di cose sante, ma nelle virtù sode e vere, e specialmente negli atti e nelle operazioni di esse, nelle quali, come dice S. Tommaso (S. Th 1-2, q. 3, a. 2), sta l'ultima perfezione della virtù. Onde in questo principalmente abbiamo noi da insistere e occuparci mentre facciamo orazione.

 

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Di altri beni e utilità che sono nella meditazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO X. Di altri beni e utilità che sono nella meditazione.

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1. Dalla meditazione nasce la divozione.
2. Qual è la vera pratica dell'orazione.
3. Vantaggi della meditazione.

 

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   1. Un altro bene e utilità grande dice S. Tommaso che è nella meditazione; cioè, che da essa nasce la vera devozione, cosa tanto importante nella vita spirituale e tanto desiderata da tutti quelli che camminano per la via di essa. Devozione non è altro che una prontezza e prestezza della volontà ad ogni cosa buona: onde uomo devoto è quegli che sta pronto e disposto ad ogni bene. Ora S. Tommaso (S. THOM. 2-2, q. 82, a. 3) dice che due cagioni vi sono di questa devozione; una estrinseca e principale, che è Dio; un'altra intrinseca dalla parte nostra, che è la meditazione; perché codesta volontà pronta alle cose del servizio di Dio nasce dalla considerazione e meditazione che fa l'intelletto; atteso che questa è quella che dopo la grazia di Dio muove ed accende cotesto fuoco nel nostro cuore. Di maniera che non sta la 1era devozione e il fervore di spirito nella dolcezza e gusto sensibile, che provano e sentono alcuni nell'orazione; ma nell'avere una volontà pronta e disposta a tutte le cose del servizio di Dio. E questa è la devozione che dura e persevera, ché l'altra presto finisce; perché consiste in certi affetti di devozione sensibili, che nascono dal subito desiderio che uno ha di qualche cosa appetibile e amabile, e molte volte procede da complessione naturale, dall'avere un certo temperamento dolce ed un cuore tenero e che subito si muove a sentimento e a lagrime; e tosto che questa devozione è esausta si sogliono seccare i buoni proponimenti. Questo è un amor tenero, fondato in gusti e consolazioni sensibili. Mentre dura quel gusto e quella devozione sarà uno molto diligente e puntuale, e amico del silenzio e del ritiramento; ma subito che cessa, ogni cosa è finita. Per contrario, quei che vanno fondati nella verità per mezzo della meditazione e considerazione, convinti e disingannati colla ragione, perseverano e durano nella virtù. E benché manchino loro i gusti e le consolazioni sensibili, sono sempre i medesimi di prima, perché dura in loro il principio del loro fervore, che è la ragione che li convinse e li mosse.
   Questo è amor forte e virile; e da ciò si vengono a conoscere i veri servi di Dio e quelli che hanno fatto profitto; non dai gusti né dalle sensibili consolazioni. Si suoI dire che le nostre passioni sono come certi cagnolini che abbaiano, e nel tempo della consolazione tengono le bocche turate; a ciascuna getta Dio il suo pezzo di pane, e con ciò se ne stanno quiete né domandano cosa alcuna; ma finito o tolto questo pane della consolazione, abbaia l'una e abbaia l'altra: e allora così si vede quel che ciascuno è. Si sogliono anche paragonare i gusti e le consolazioni sensibili ai beni mobili, i quali si consumano presto, e le virtù sode ai beni stabili, i quali si conservano e durano, e perciò sono di maggior estimazione.

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Bene e utilità grande della meditazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO IX. D'un bene e utilità grande che abbiamo da cavare dalla meditazione; e come si ha da fare per cavarne gran frutto

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1. Come cavar frutto dalla meditazione.
2. Gran differenza da meditare a meditare.
3. Esempio dell'Emorroissa

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   1. Molto buona cosa è nell'orazione esercitarci in affetti e desideri della volontà; del che in breve tratteremo; bisogna però che questi affetti e desideri vadano ben fondati in ragione; perché l'uomo è ragionevole e vuol essere guidato dalla ragione e per via d'intelletto. Onde una delle principali cose alla quale si ha da ordinare e indirizzare la meditazione ha da essere il restare molto disingannati, molto asso dati nella verità, molto convinti e molto fermi in quello che è espediente per noi. E questo ha da essere uno dei principali frutti che dobbiamo procurar di cavare dall'orazione; e si deve ben riflettere a questo punto, perché è molto principale in questa materia. Specialmente bisogna che nei principi la persona si eserciti più in questo, per poter camminare con miglior fondamento e rimaner ben persuasa della verità. Per potere dunque meglio cavar questo frutto dalla meditazione, acciocché essa ci sia di profitto, bisogna che non si faccia superficialmente, né correndo, e nemmeno lentamente e con languidezza, ma con impegno e con molta attenzione e posatezza.
   Hai da meditare e considerare molto adagio e con molta quiete la brevità della vita e la fragilità e vanità delle cose del mondo, e come colla morte ogni cosa ha da finire; acciocché così tu venga a dispregiare tutte queste cose di qua e a porre tutto il tuo cuore in quello che ha da durare eternamente. Hai da considerare e ponderar molte volte quanto vana cosa sia la stima e l'opinione degli uomini, che tanta guerra ci fa; poiché non ti dà né ti toglie niente; né questa ti può fare migliore né peggiore; acciocché tu venga a dispregiarla è a non fare conto; e così di tutto il resto. In questa maniera la persona si va disingannando e convincendo e risolvendosi in quello che le conviene, e si va facendo uomo spirituale. Si va elevando sopra di sé, come dice il profeta Geremia (Ierem, Thren, 3, 8), e facendo un cuor generoso e disprezzatore di tutte le cose del mondo; e viene a dire con S. Paolo: «Quel che prima tenevo per guadagno, ora lo tengo per perdita e per spazzatura, per guadagnar Cristo» (Philip. 3, 8).

 

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Della necessità della meditazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO VIII. Della necessità della meditazione

 

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1. E principio d'ogni buon sentimento.

2. La sua mancanza principio d'ogni male.

3. Credi all'inferno e vivi male?

 

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1. Ugo di S. Vittore dice che l'orazione non può esser perfetta se non la precede o non l'accompagna la meditazione (HUGO DE S. VICT. De modo oranti, c. 1). Ed è dottrina di sant'Agostino, il quale dice che l'orazione senza la meditazione è tiepida (S. AUG. Scala Parad. c. 11). E lo provano molto bene; perché se l'uomo non si esercita in conoscere e considerare la miseria e debolezza sua propria, se ne resterà ingannato e non saprà chiedere nell'orazione quello che gli conviene, né lo chiederà col dovuto calore. Molti, per non conoscere se stessi e per non considerare i loro difetti, stanno molto ingannati e presumono di sé quel che non presumerebbero se si conoscessero; onde attendono nell'orazione ad altre cose differenti da quelle delle quali hanno bisogno. Se dunque vuoi saper orare e chiedere a Dio quello che ti conviene, esercitati in considerare i tuoi difetti e le tue miserie; e in questa maniera saprai quello che hai da chiedere; e considerando e conoscendo la tua gran necessità, lo chiederai con calore e come lo devi chiedere; nella guisa che fa il povero bisognoso, il quale conosce bene la necessità e povertà sua.

S. Bernardo, trattando di questo punto e avvertendoci che non dobbiamo salire alla perfezione volando, ma camminando, dappoichè, come egli dice: «nessuno d'un tratto diventa sommo: col salire e non già col volare si raggiunge la cima della scala», soggiunge che il camminare e salire alla perfezione si ha da fare con questi due piedi, meditazione e orazione; «perché la meditazione ci mostra quel che ci manca, e l'orazione l'impetra. La meditazione ci mostra la strada; e l'orazione ci conduce ad essa. Colla meditazione infine conosciamo i pericoli che ci sovrastano; e coll'orazione li evitiamo e ci liberiamo da essi» (S. BERN. Serm. 1 de S. Andrea, n. 10). Quindi S. Agostino viene a dire che la meditazione è principio di ogni bene (S. AUG. in lib. Sent.): perché chi considera quanto Dio è buono in se stesso, e quanto buono e misericordioso è stato verso di noi, quanto ci ha amati, quanto ha fatto e patito per noi; subito s'accende nell'amore di tanto buon Signore: e chi considera bene le sue colpe e miserie, viene ad umiliarsi e a dispregiarsi: e chi considera quanto male ha servito Dio e quanto grandemente l'ha offeso, si reputa degno di qualsivoglia travaglio e castigo. E in questa maniera colla meditazione viene l'anima ad arricchirsi di tutte le virtù.

Per questo ci è raccomandata tanto nella Sacra Scrittura la meditazione. Beato l'uomo che medita giorno e notte nella legge del Signore, dice il profeta Davide. «Questo tale sarà come l'albero piantato lungo la corrente dell'acque, il quale a suo tempo darà il suo frutto» (Ps. 1, 3). E «beati coloro che osservano le istruzioni del Signore: con tutto il cuore cercano Lui» (Ps. 118, 2). Questi che meditano quanto Iddio ci ha detto nella Scrittura, questi sono quelli che lo cercano di tutto cuore, e il meditar che ciò fanno, questo è quello che li stimola a cercarlo in tal modo. E così questo a Dio chiedeva il Profeta per osservare la sua legge: «Dammi intelletto, ed io attentamente studierò la tua legge e la osserverò con tutto il mio cuore» (Ps. 118, 34). E per contrario dice: «Se la mia meditazione non fosse stata la tua legge, allora forse nella mia afflizione sarei perito» (Ps. 118, 92), cioè nelle mie angustie e nei miei travagli, come dichiara S. Girolamo (S. HIER. Brev. in Ps. 118). E così una delle maggiori lodi della meditazione e considerazione che mettono i Santi, o assolutamente la maggiore, è che ella è una grande aiutatrice di tutte le virtù e di tutte le opere buone. «Sorella della lettura, nutrice dell'orazione, direttrice dell'azione e del pari perfezionatrice di ogni cosa» (GERSON, De medit. p. 3), la dice il Gersone.

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Dell’orazione mentale ordinaria

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO VII. Dell'orazione mentale ordinaria

 

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1. Il metodo d'orazione negli Esercizi di S. Ignazio.

2. Esercizio delle tre potenze.

3. E usato dai Santi ed è scevro d'illusioni.

4. La ragione ne conferma l'utilità e la sicurezza.

 

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1. Lasciata da parte l'orazione specialissima e straordinaria, giacché non possiamo né insegnare né dichiarare quello ch'ella è, né come sia fatta, né è in mano nostra avere il dono di essa, né da Dio ci viene comandato che l'abbiamo, né ci domanderà conto di questa cosa; tratteremo ora dell'orazione mentale ordinaria e comune, la quale si può in qualche modo insegnare, e arrivarvi a forza di fatiche e indirizzi, aiutati dalla grazia del Signore. Fra le altre grazie e benefici, che il Signore ci ha fatti nella Compagnia, questo è stato uno molto particolare, che ci ha dato il metodo di orazione che abbiamo da tenere, approvato dalla Sede Apostolica, nel libro degli Esercizi spirituali del nostro S. P. Ignazio, come consta dal Breve che è nel principio di esso. In questo Papa Paolo III, dopo aver fatto esaminare molto esattamente i detti Esercizi, li approva e conferma, dicendo che sono molto utili e salutiferi, ed esorta grandemente tutti i fedeli ad esercitarsi in essi.

Il Signore comunicò al nostro Santo Padre questo modo d'orazione, ed egli lo comunicò a noi altri collo stesso ordine, col quale il Signore lo comunicò a lui; onde abbiamo ad aver gran fiducia in Dio che per questa strada e modo proposto da Sua Divina Maestà ci aiuterà e farà delle grazie; poiché con esso guadagnò il nostro Santo Padre e i suoi compagni, e successivamente altri molti; e insieme con questo comunicò al Santo l'idea e il disegno della Compagnia che egli aveva a fondare, come egli stesso disse. E così non abbiamo da cercar altre vie né altri modi straordinari d'orazione, ma procurare di conformarci a questo modello che i vi abbiamo, come buoni e veri figliuoli.

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Si conferma la dottrina sui due tipi di orazione

La beata Anna Maria Taigi, sposa romanaEsercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

 

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

 

 

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CAPO VI. Si dichiara e si conferma maggiormente questa dottrina

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1. Prima Giacobbe che lotta, poi Israele che vede.

2. Lettera del P. Mercuriano.

3. I tre gradini, via purgativa, illuminativa, unitiva.

 

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1. Per maggior conferma e dichiarazione di questa dottrina avvertono qui i Santi e i maestri della vita spirituale che, per arrivare a quell'orazione e contemplazione alta che dicevamo, vi bisogna gran mortificazione delle nostre passioni, e che l'uomo si fondi prima molto bene nelle virtù morali e si eserciti lungo tempo in esse; altrimenti dicono che in vano pretenderà di salire a codesta contemplazione e di far professione di essa. «Bisogna, dicono, che vi sia un Giacobbe che lotti; prima di esservi un Israele che veda Dio e dica: Ho veduto Dio faccia a faccia» (S. GREG. Moral. l. 6, c. 37; S. BERN. Serm. 46 in Cant. n. 7-8; S. THOM. 2-2, q. 182, a. 3). Bisogna che prima tu sii lottatore molto gagliardo e che vinca le tue passioni e male inclinazioni, se vuoi arrivare a quell'unione intima con Dio.

Dice il Blosio (BLOS. in tab. spir. § 4, Append. 1) che colui che vuole arrivare ad un grado molto eccellente dell'amor divino, e non procura con gran diligenza di correggere e di mortificare i suoi vizi e di scacciare da sé l'amore disordinato delle creature, è simile a uno che, essendo ben carico di piombo e di ferro e avendo legate le mani e i piedi, voglia salire in cima di un alto albero. E così questi maestri danno per avvertimento ai direttori delle cose spirituali, che prima di trattare di questa contemplazione con quelli che vogliono dirigere, hanno da fare opera, che i loro discepoli attendano prima a mortificare molto bene tutte le loro passioni e ad acquistare gli abiti delle virtù della pazienza, dell'umiltà e dell'ubbidienza, e che in ciò s'esercitino assai. Il che chiamano essi vita attiva, la quale ha da precedere la contemplativa. Essendo che, per mancamento di questo, molti, che non hanno camminato con questi passi, ma hanno voluto salire alla contemplazione senza ordine, dopo molti anni d'orazione si trovano molto vuoti di virtù, impazienti, iracondi, superbi; che subito che sono tocchi in alcuna di queste cose, vengono a prorompere con impazienza in parole disordinate e sconce, colle quali fanno assai bene manifesta la loro imperfezione e poca mortificazione.

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Come la Sacra Scrittura ci dichiara due tipi d’orazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

 

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

 

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CAPO V. Come la Sacra Scrittura ci dichiara queste due sorta d'orazione.

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1. Natura dell'orazione mentale ordinaria.
2. Natura della straordinaria.
3. Per conto nostro contentarci dell'ordinaria.

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1. Queste due sorta d'orazione, delle quali abbiamo parlato, ci vengono meravigliosamente dichiarate dallo Spirito Santo nell'Ecclesiastico. Dice ivi dell'uomo savio, il quale dalla Chiesa è interpretato per l'uomo giusto: «Egli di buon mattino svegliandosi rivolgerà il cuor suo al Signore, che lo creò, e al cospetto dell'Altissimo farà la sua orazione» (Eccli, 39, 6). Mette prima l'orazione ordinaria, dicendo che il giusto si leverà la mattina di buon'ora, che è il tempo comodo per l'orazione, e per questa molto rammemorato nella Scrittura. Così in più luoghi dei Salmi leggiamo che diceva David: «Al mattino mi porrò innanzi a te… Prevenni il mattino ed alzai le mie grida… Prima del mattino a te si volsero gli occhi miei per meditare la tua legge… A te aspiro al primo apparire della luce» (Ps. 5, 4; 118, 147-48; 62, 1). Dice poi, svegliandosi, perché intendiamo che conviene stare all'erta e non addormentarsi, né farsi, a modo di dire, un cuscinetto dell'orazione. Di più dice che «darà il suo cuore» in potere dell'orazione, per significarci che non sta ivi solamente col corpo, tenendo poi il cuore in altri affari; ché questo non è fare orazione, anzi è questa chiamata dai Santi «una sonnolenza di cuore» ed effetto di cuore sonnacchioso e rilassato. Che è di grande impedimento per l'orazione, perché impedisce la riverenza che dobbiamo avere per trattare con Dio. E qual è quella cosa che cagiona questa riverenza nell'uomo giusto? Eccola. Il considerare che sta alla presenza di Dio e, che va a parlare a quella sì grande Maestà, questo lo fa stare con riverenza e con attenzione. Questa è la preparazione e disposizione colla quale abbiamo da andare all'orazione.

Ma vediamo che orazione è quella che fa il giusto. Aprirà la sua bocca nell'orazione e comincerà col chiedere a Dio perdono dei suoi peccati e col confondersi e pentirsi di essi (Eccli. 19, 7). Questa è l'orazione che noi altri abbiamo da fare dalla parte nostra, piangere le nostre colpe e peccati, e chiedere a Dio misericordia e perdono di essi. Non ci dobbiamo contentare di dire: già feci una confessione generale nel principio della mia conversione, e allora mi trattenni alcuni giorni in piangere e in pentirmi dei miei peccati. Non conviene che, confessati i peccati, ci dimentichiamo di essi, ma che procuriamo di tenerli sempre dinanzi agli occhi, come confessa di sé che faceva il Santo David: «Il mio peccato mi sta sempre davanti» (Ps. 50, 5).

Dice molto bene S. Bernardo sopra quelle parole: «il talamo nostro è fiorito» (S. BERN. in Cant. serm. 46, n. 6). Il tuo letto, cioè il tuo cuore, se ne sta tuttavia puzzolente; non è finito ancora di levarsi via da esso il cattivo odore dei vizi e delle male inclinazioni che portasti dal secolo; e hai ardire d'invitare lo Sposo, che venga ad esso; e già vuoi trattare d'altri esercizi alti ed elevati d'amore e d'unione con Dio, come se tu fossi perfetto? Tratta prima di mondare e di lavar molto bene il tuo letto con lagrime, dicendo con David: «Laverò di pianto tutte le notti il mio letto; il luogo del mio riposo irrigherò colle mie lagrime» (Ps. 6, 6). Tratta prima di adornarlo coi fiori della virtù, e poi inviterai lo Sposo che venga ad esso, come faceva la Sposa. Tratta del bacio dei piedi, umiliandoti e dolendoti grandemente dei tuoi peccati; e del bacio delle mani, cioè d'offrir a Dio opere buone, e di procurar di ricevere dalle sue mani le vere e sode virtù; e cotesto altro terzo bacio della bocca lascialo per quando Dio si compiacerà d'innalzarti ad esso.

Si dice d'un Padre molto antico e molto spirituale, che se ne stette vent'anni in questi esercizi della via purgativa; e noi altri subito ci stanchiamo e vogliamo salire al bacio della bocca e ad esercizi d'amore di Dio. Vi bisogna buon fondamento per tirar su una fabbrica tanto alta. E v'è in questo esercizio, oltre molti altri beni e utilità, di cui appresso parleremo, questo particolar bene, che è un rimedio molto grande e una medicina molto preservativa per non cader in peccato. Perché uno che continuamente sta odiando il peccato e confondendosi e dolendosi d'aver offeso Dio; sta molto lontano dal commetterlo di nuovo. E per contrario avvertono i Santi, che la cagione d'esser caduti alcuni, che parevano molto spirituali e uomini di orazione, e forse erano tali, è stato il mancamento di questo esercizio; perché si diedero di tal maniera ad altri esercizi e ad altre considerazioni soavi e gustose, che si dimenticarono dell'esercizio della cognizione di se stessi e della considerazione dei loro peccati. Onde vennero a fidarsi troppo di se medesimi e a non camminare con tanto timore e circospezione quanto dovevano; e con ciò incorsero in quello in cui non dovevano incorrere. Perché presto si dimenticarono della loro bassezza, presto anche caddero dall'altezza nella quale pareva loro di essere. Per questo dunque conviene grandemente che la nostra orazione per lungo tempo sia il piangere i nostri peccati, come dice il Savio, sin a tanto che il Signore ci porga la mano e ci dica: «Amico, vieni più in su» (Luc. 14, 10).

 

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Due tipi di orazione mentale

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

 

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO IV. Di due sorta d'orazione mentale

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1. Orazione mentale ordinaria e straordinaria.
2. La straordinaria è dono speciale di Dio.
3. Non si ha da pretendere

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1. Lasciata da parte l'orazione vocale, tanto santa e tanto usata nella Chiesa di Dio, tratteremo adesso solamente della mentale, della quale parla l'Apostolo S. Paolo scrivendo a quei di Corinto: Orerò, canterò e alzerò la mia voce a Dio con lo spirito e col cuore (I Cor 14, 15). Due sorte vi sono d'orazione mentale: una è comune e ordinaria; l'altra è specialissima, straordinaria e molto sublime, la quale più è ricevuta che fatta, come dicevano quei Santi antichi, molto esercitati nell'orazione. S. Dionigi Areopagita dice del suo maestro Ieroteo che era patiens divina (De Div. Nomin. [auct. nic.] c. 2, § 9)2, il che vuol dire che più stava ricevendo quello che Dio gli dava, che facendo. Tra queste due sorte d'orazione v'è molto gran differenza; perché la prima si può in qualche modo insegnare di qua con parole; ma la seconda non può esser da noi insegnata, perché non si può con parole spiegare: «perché non saputa da nessuno, fuorché da chi la riceve» (Apoc. 2, 17). È una manna nascosta, che niuno sa quel che sia, se non chi la gusta. E né anche quel medesimo che la gusta può spiegare come ella sia fatta, neppure egli stesso comprende intieramente come vada la cosa; come notò molto bene Cassiano, il quale porta a questo proposito una sentenza di Sant'Antonio abate, chiamata da lui divina e celeste. «Non è perfetta orazione, diceva il Santo, quando uno si ricorda di sé, o intende quel che ora» (CASS. Coll. 9 abb. Isaac, c. 31). Questa alta e sublime orazione non comporta che colui che ora si ricordi di sé, né che faccia riflessione in quel che sta facendo o, per dir meglio, patendo più che facendo.

Come avviene di qua molte volte, che sta una persona tanto assorta e ingolfata in un negozio, che non si ricorda di sé, né ove stia, né fa riflessione sopra quel che pensa, né avverte come lo pensa. Ora così in questa perfetta orazione sta l'uomo tanto assorto e rapito in Dio, che non si ricorda di sé, né intende come stia quella cosa, né dove vada, né donde venga; né bada allora a metodi, a preamboli, né a punti, né al venire ora una cosa ora un'altra, come avveniva allo stesso Antonio, e l'apporta Cassiano (ID. loc. cit. col. 807), che cominciava l'orazione verso la sera, e se ne stava in essa sin a tanto che il sole la mattina seguente levandosi gli batteva su gli occhi; e si lamentava ora del sole, perché si levava tanto per tempo a togliergli il lume che Nostro Signore gli dava interiormente. È S. Bernardo dice di questa orazione: «È rara questa ora, ed è sempre breve il tempo che si spende in essa» (S. BERN. Serm. 23 in Cant. n. 15); poiché per lungo che sia diventa un soffio. E S. Agostino, sentendo in sé questa orazione, diceva: M'avete dato, o Signore, un affetto e una dolcezza e soavità tanto nuova e inusitata, che se la cosa andrà avanti, io non so che fine sarà per avere (S. AUG. confess. l. 10, c. 40).

Ed anche in questa medesima specialissima orazione e contemplazione mette S. Bernardo tre gradi: il primo lo paragona al mangiare; il secondo al bere che si fa con più facilità e soavità che il mangiare, perché non vi è la fatica del masticare; il terzo all'inebriarsi (S. BERN. Serm. 87 de divers. n. 4). Ed apporta a questo proposito quello che dice lo Sposo nei Cantici: «Mangiate, o amici, e bevete, e inebriatevi, carissimi» (Cant. 5, 1). La prima cosa dice, mangiate; la seconda, bevete; la terza, inebriatevi di quest'amore: e questa è la cosa più perfetta. Tutto questo è più ricevere che fare. Alcune volte l'ortolano cava l'acqua a forza di braccia dal suo pozzo; alcune altre, standosene egli con una mano sopra l'altra, viene la pioggia dal cielo, la quale inzuppa la terra, e l'ortolano non ha da far altro che riceverla e avviarla ai piedi degli alberi, acciocché rendano frutto. Così sono queste due sorte d'orazione, che l'una si cerca coll'industria aiutata da Dio, e l'altra si trova fatta: per la prima tu vai faticando, mendicando e campando di questa mendicità; la seconda ti mette innanzi una mensa che Dio t'ha preparata per saziare la tua fame, mensa ricca ed abbondante. «M'introdusse il re nei suoi penetrali» (Cant. 1, 3), diceva la Sposa dei sacri Cantici. «Li consolerò nella casa mia d'orazione» (Isa. 56, 7), dice Dio per bocca d'Isaia. Vi rallegrerò e v'accarezzerò nella casa della mia orazione.

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