CAPO VIII. Quanto importi il non allentare nella virtù

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE


CAPO VIII. Quanto importi al religioso il non allentare nella virtù.


1. Difficile dalla tiepidezza tornare al fervore. 

2. Stato infelice del tiepido.

3. Diventa infermo con quello onde dovrebbe conservarsi sano.
4. Rimedio.


   1. Da quello che si è detto si verrà a conoscere assai bene, quanto importi al religioso il conservarsi nella devozione, l’aver sempre fervore negli esercizi della religione e il non lasciarsi cadere in tiepidezza, in lentezza e in rilassatezza; perché gli sarà di poi molto difficile l’uscire da essa. Potrà ben fare Iddio che ritorni dopo a vita infervorata e perfetta; ma questo sarà quasi come un miracolo. Dice questa cosa molto bene S. Bernardo, scrivendo ad un certo Riccardo, abate Fontanense, e ai suoi religiosi, coi quali aveva Dio fatto questo miracolo, che, avendo quelli menata sino a quell’ora una qualità di vita tiepida, lenta e rilassata, li aveva cangiati e trasferiti ad una molto infervorata e perfetta. Meravigliandosene e rallegrandosene assai, e congratulandosene con essi il Santo, dice così: «Qui vi è il dito di Dio: chi mi concederà che io colà mi trasferisca e veda, come un altro Mosè, questa prodigiosa visione?» perché non è cosa meno meravigliosa questa che quella che vide Mosè nel roveto che bruciava e non si consumava. «È cosa rarissima e molto straordinaria il veder passar uno avanti e trascendere quel grado nel quale una volta si è fissato nella religione. Più facile cosa sarà ritrovare molti secolari, i quali dalla mala vita si convertano alla buona, che incontrarsi in un religioso, il quale da vita tiepida, lenta e rimessa passi a vita migliore» (S. BERN. Ep. 96).


E la ragione di ciò è perché i secolari non hanno i rimedi tanto continui quanto i religiosi; e così quando odono una buona predica, o vedono la repentina e disgraziata morte di un qualche vicino od amico, quella novità cagiona in essi spavento ed ammirazione, e li muove a mutare e ad emendare la loro vita. Ma il religioso, che ha questi rimedi tanto famigliari, tanta frequenza di sacramenti, tante esortazioni spirituali, tanto esercizio di meditar le cose di Dio e di trattar della morte, del giudizio, dell’inferno, della gloria; se con tutto ciò se ne sta tiepido, lento e rimesso, che speranza si può avere che sia per mutar vita, essendo che già ha fatto l’orecchio a queste cose? E così quello che avrebbe da aiutarlo e muoverlo, e quello che suole muovere altri, non muove lui, né gli fa impressione alcuna.

(altro…)

Continua a leggereCAPO VIII. Quanto importi il non allentare nella virtù

Abituarsi a far bene le opere proprie

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE


CAPO VII. D’un altro mezzo, che è assuefarsi uno a far bene le opere proprie.


1. Come praticare questo mezzo.
2. Ci viene insegnato dalla S. Scrittura.
3. Efficacia del buon abito.
 


   1. Quel grande ed antichissimo filosofo, Pitagora, dava un consiglio molto buono ai suoi discepoli e ai suoi amici per diventar virtuosi e per rendersi loro facile e soave la virtù. Diceva loro così: Eleggasi ciascuno un modo di vivere molto buono, e non si sgomenti, per parergli da principio faticoso e difficile; perché di poi, colla consuetudine, gli riuscirà molto facile e molto gustoso. Questo è un mezzo molto principale, e del quale ci abbiamo da valere, non tanto per essere di quel filosofo, quanto perché è dello Spirito Santo, siccome or ora vedremo; e perché è mezzo molto valevole pel fine che pretendiamo.
   Già noi abbiamo eletto il buon modo di vivere, o per dir meglio, già il Signore ci ha eletti per questo: «Non siete voi che avete eletto me, ma io ho eletto voi» (Io. 15, 16), Siane egli eternamente benedetto e glorificato. Ma in questa vita e in questo stato, nel quale il Signore ci ha posti, vi può essere il più e il meno: perché puoi esser perfetto, e puoi essere imperfetto e tiepido, secondo che andrai operando. Ora se vuoi far profitto e acquistare la perfezione in questo stato e nelle tue operazioni, procura di avvezzarti a far le opere e gli esercizi della religione ben fatti e con perfezione. Avvézzati a far bene l’orazione e gli altri esercizi spirituali; avvézzati ad essere molto puntuale nell’ubbidienza e nell’osservanza delle regole e a far conto delle cose piccole; avvézzati al ritiramento, alla mortificazione e penitenza, alla modestia e al silenzio. Non dubitare; se nel principio sentirai in ciò qualche difficoltà, dopo, colla consuetudine, ti si renderà non pur facile, ma soave e gustoso, e non ti sazierai di render grazie a Dio dell’esserti a ciò assuefatto.


(altro…)

Continua a leggereAbituarsi a far bene le opere proprie

Non far conto se non del giorno d’oggi

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE


CAPO VI. D’un altro mezzo per fare bene le opere nostre che è non far conto se non del giorno d’oggi.


1. Vivere giorno per giorno.

2. Esempio d’un monaco tentato di gola.

3. Non avrebbe bisogno di questo mezzo chi amasse Dio davvero.


1. Il quinto mezzo che ci aiuterà e animerà grandemente a far le cose ordinarie ben fatte e con perfezione è, che non facciamo conto se non del giorno d’oggi. E sebbene pare che questo mezzo non sia differente dal passato, differisce nondimeno da quello, come si vedrà nell’esporlo che faremo. Una delle cose che suole far perdere d’animo ed allentare, e rilassar molti nella strada della virtù, e una delle tentazioni colle quali il demonio lo va procurando, è il rappresentar loro: E come sarà possibile che per tanti anni tu possa camminare con tanta circospezione, con tanta puntualità, con tanta esattezza nelle cose, mortificandoti sempre, raffrenandoti, negando il tuo gusto e soffocando la tua volontà in tutte le cose! E ciò rappresenta il demonio come cosa al sommo difficile; e che questa non è vita in cui poterla durar tanto a lungo. Così leggiamo del nostro S. Padre Ignazio (RIBAD. Vita S, Ign. l. 1, c. 6) che quando si ritirò in Manresa a far penitenza, tra le altre tentazioni, colle quali il demonio ivi l’assalì, questa fu una: Come è possibile che tu possa tollerare una vita così aspra come è questa lo spazio di settant’anni, che ancora ti restano a vivere?


Or questo mezzo è per diritto volto a combattere questa tentazione. Tu non hai da far conto di molti anni, né di molti giorni, ma solamente del giorno d’oggi. Questo è un mezzo molto proporzionato alla debolezza e fragilità nostra; perché chi sarà quegli che per un giorno non si faccia animo e forza per viver bene e per far quanto può dal canto suo, acciocché le cose riescano ben fatte? Un modo è questo simile appunto a quello con cui il nostro Santo Padre ci propone di fare l’esame particolare, nel quale anche di mezzo in mezzo giorno ci comanda che facciamo i nostri proponimenti: da questo punto sino all’ora di pranzo almeno voglio usare modestia, ovvero osservare il silenzio, o esercitare la pazienza. In questa maniera si rende facile e tollerabile quel che forse ti si renderebbe molto difficile se lo pigliassi assolutamente, come sarebbe considerando che mai non avessi da parlare, ovvero che sempre avessi da star raffrenato e molto composto e ritirato.

(altro…)

Continua a leggereNon far conto se non del giorno d’oggi

Fare ogni cosa come se fosse l’ultima di nostra vita

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE


CAPO V. D’un altro mezzo, che è far ogni operazione come se avesse ad esser l’ultima di nostra vita.


1. E’ mezzo suggerito dai Santi
2. Vantaggi per l’ora della morte.

3. Disposti in ogni ora a morire, gran contrassegno d’essere in grazia.

4. Pronto sempre a morire.

5. Incerta è l’ora della morte.

6. Astuzia del demonio.



1. Il quarto mezzo che danno i Santi per far le opere ben fatte, è il far ciascuna di esse come se quella avesse ad essere l’ultima di nostra vita: S. Bernardo, istruendo il religioso circa la maniera di portarsi bene nel far le opere sue, dice: «Ognuno s’interroghi in ciascuna sua operazione, e dica a se stesso: se or ora avessi da morire, faresti tu questo? lo faresti tu in questo modo?» (S. BERN.   in Spec. Monach. n. .1). E S. Basilio dice: «Abbi sempre dinanzi agli occhi tuoi l’ultimo tuo giorno. Quando ti alzerai al mattino, non riprometterti di arrivare alla sera; e quando alla sera poserai le stanche tue membra a riposare nel letto, non voler confidare di veder la luce del giorno dopo, affinché tu possa più facilmente astenerti da tutti i difetti» (S. BASIL. Admon. ad fil. spir. c. 20). Il che del pari si legge nel libro dell’Imitazione di Cristo. «È mattina? Fa conto di non arrivare alla sera. È sera? Non osare di riprometterti la mattina. Sii sempre preparato. Vivi in modo che la morte non ti trovi impreparato mai. Molti muoiono di morte subitanea e improvvisa» (De Imit. Chr. l. 1, c. 23-24). Seneca pure, dopo aver invitato Lucilio a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, aggiunge: «Se Iddio ci darà il domani, riceviamolo contenti… Chiunque ha detto (la sera innanzi): ho vissuto, sorge ogni mattino ad un nuovo guadagno». Anche Orazio disse: «Pensa che ogni giorno sia per te l’ultimo» (SEN. EP. 12, n. 9).

Questo è un mezzo molto efficace per far le cose bene. E così leggiamo di S. Antonio, che dava spesso questo ricordo ai suoi discepoli per inanimarli alla virtù e a fare le cose perfettamente. Se noi facessimo ciascuna cosa come se subito avessimo da morire e quella avesse da esser l’ultima, tutte certamente le faremmo d’altra maniera e con altra perfezione. O quanto divota messa io direi o ascolterei se mi persuadessi che quella fosse l’ultima operazione della mia vita, e che non mi restasse più tempo da operare ne da meritare! Oh quanto attenta e fervente orazione io farei se sapessi che quella fosse l’ultima e che non vi avesse da esser più tempo per chiedere a Dio misericordia e perdono dei miei peccati! Perciò dice bene quel proverbio: «Se vuoi imparar ad orare, mettiti in mare». Allora quando sta la morte alla gola si fa orazione d’altra maniera.

(altro…)

Continua a leggereFare ogni cosa come se fosse l’ultima di nostra vita

Compiere le opere ordinarie come se non avessimo altro da fare

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE


CAPO IV. D’un altro mezzo per far le opere bene che è farle come se non avessimo altro da fare.


1. Fa quel che fai.
2. Arte del demonio per impedircelo.


1. Il terzo mezzo per far le cose bene è far ciascuna cosa come se non avessimo altro che fare. Far l’orazione, celebrare la santa messa, dire il nostro rosario, recitar le nostre ore come se non avessimo da far altra cosa; e così di tutto il resto. Nel mentre che stiamo occupati o in questa o in quella cosa, chi ci è alle spalle? chi ci rincorre? Non ci confondiamo dunque, né ci affrettiamo nelle nostre operazioni, né l’una c’impedisca l’altra; ma teniamoci sempre attenti a quella cosa che stiamo facendo di presente. Mentre facciamo orazione non pensiamo allo studio, né all’impiego, né al negozio; ché questo non serve ad altro che ad impedir l’orazione e a non far bene né l’una né l’altra cosa. Tutto il rimanente del giorno serve per l’impiego, per lo studio, pel ministero. «Ogni cosa ha il suo tempo» (Eccle. 3, 1) e «basta a ciascun giorno il suo affanno» (Matth. 6, 34).


Questo è un mezzo tanto proprio e tanto ragionevole, che ancora i pagani, privi di fede, l’insegnavano, per trattar con maggior riverenza quelli che essi pensavano fossero dei, dande ebbe origine quell’antico proverbio: «Quelli che avranno da trattare con Dio, lo facciano sedendo» (PAUL. MANUT. in adag. Plutarc.) e con attenzione e quiete, e non di passaggio e con trascuraggine. Plutarco, parlando della stima e riverenza con cui i sacerdoti del suo tempo stavano avanti ai creduti loro dèi, dice che, mentre il sacerdote faceva il sacrificio, non cessava mai un trombettiere di gridare e dire ad alta voce queste parole: «Fa quello che fai»; sta colla mente fissa in cotesto affare, non ti divertire in altra cosa. Guarda bene al negozio che in quest’ora hai per le mani. Or questo è il mezzo che inculchiamo adesso, il procurar noi di stare tutti attenti nella cosa che facciamo, pigliandola a far di proposito e con sodezza, facendo ogni opera come se non avessimo altro che fare: «fa quello che fai». Fissati in questo; metti tutta la tua cura e diligenza in codesta cosa che ti è presente: licenzia per allora ogni altro pensiero di qualsiasi cosa; e a questo modo farai ogni cosa bene.

Dicendo un filosofo: «Facciamo quello che ora preme» (ARISTIPPUS EX AELIANO, 1. 14 hist.) intendeva dire che solamente abbiamo da stare attenti a quel che facciamo di presente, e non alle cose passate, né a quelle, che hanno da venire. E apportava questa ragione: perché la cosa presente è quella che sola sta in mano nostra, e non la passata, né la futura; perché quella già passò, é così non sta più in nostra mano; e l’altra non sappiamo se verrà. Oh chi potesse ridursi a tal termine, e fosse tanto padrone di se stesso, dei suoi pensieri e delle sue immaginazioni, che non stesse mai fisso in altra cosa che in quella che sta facendo! Ma da un canto è tanta l’istabilità del nostro cuore, e dall’altro è tanta la malizia e l’astuzia del demonio che, prevalendosi egli della nostra debolezza, ci reca pensieri e sollecitudini di quello che abbiamo da far poi, per impedirci quello che di presente stiamo facendo.

(altro…)

Continua a leggereCompiere le opere ordinarie come se non avessimo altro da fare

In che consiste la bontà e la perfezione delle nostre opere

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE


 CAPO III. In che consiste la bontà e la perfezione delle nostre opere e d’alcuni mezzi per farle bene


1. Farle con buona intenzione.
2. Il meglio che possiamo.
3. Alla presenza di Dio.
4. Gran mezzo questo.
5. E praticato dai Santi.
6. Così sta del continuo in orazione.
 


1. Ma vediamo un poco in che cosa consista il far bene le nostre opere, acciocché possiamo ricorrere ai mezzi che ci aiuteranno a farle bene. Dico brevemente che consiste in due cose. La prima e principale è, che le facciamo puramente per Dio. S. Ambrogio dimanda qual è la ragione, per cui nella creazione del mondo, creando Dio le cose corporali e gli animali, subito le lodò tutte. Crea le piante, e subito dicesi: «E Dio vide che ciò era buono». Crea gli animali, gli uccelli, i pesci, e subito dicesi: «E Dio vide che ciò era buono». Crea i cieli e le stelle, il sole e la luna, e dicesi subito: «E Dio vide che ciò era buono» (Gen. 1, 10 segg). Tutte queste cose loda il Signore subito che ha finito di crearle: ma arrivato che è alla creazione dell’uomo, pare che esso solo se ne resti senza lode; perché qui il sacro testo non soggiunge: «E Dio vide che ciò era buono», come lo soggiungeva dopo la creazione di tutte le altre cose.
   Che mistero è questo, e quale sarà di ciò la cagione? Sai quale? dice il Santo: la cagione si è, che la bellezza e la bontà delle altre cose corporali e degli animali sta in quell’esteriore che apparisce al di fuori, e non vi è maggior perfezione di quella che si vede cogli occhi, e perciò viene subito la lode; ma la bontà e la perfezione dell’uomo non sta in quell’esteriore che apparisce al di fuori, ma nell’Interiore, che sta nascosto colà dentro. «Tutta la gloria della figlia del re è interiore» (Ps. 44, 14); cioè tutta la bellezza dell’uomo, il quale è figliuolo di Dio, sta dentro; e questo è quello che piace agli occhi di Dio. «L’uomo infatti vede le cose che danno negli occhi, ma il Signore mira il cuore» (I Reg. 16, 7) come disse Dio a Samuele. Gli uomini vedono solamente le cose esteriori che appariscono al di fuori, e queste piacciono o dispiacciono loro; ma Dio vede l’intimo del cuore, guarda il fine e l’intenzione con cui ciascuno opera; e per questo non loda l’uomo subito che l’ha creato, come fa delle altre creature: L’intenzione è la radice e il fondamento della bontà e della perfezione di tutte le opere nostre. Le fondamenta non si vedono, ma esse sono quelle che sostengono tutta la fabbrica; e così è dell’intenzione. (altro…)

Continua a leggereIn che consiste la bontà e la perfezione delle nostre opere

Ci deve spingere alla perfezione l’averla Dio posta in una cosa facile

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE

 


 

CAPO II. Che ci deve animar grandemente alla perfezione l’avercela Iddio posta in una cosa molto facile.


1. La perfezione è facile.

2. Prove della Scrittura e dei Santi.
3. Rinnovarci nelle azioni ordinarie ottima fra le preparazioni alle solennità.

1. Il P. Natale, uomo insigne della nostra Compagnia  per la sua grande dottrina e virtù, quando venne a visitare le province di Spagna, tra le altre cose che più raccomandate lasciò, questa fu una, che s’insegnasse spesso questa verità: che ogni nostro profitto e perfezione consisteva nel far bene le cose particolari ordinarie e quotidiane che abbiamo per le mani. Di maniera che il profittare; e il migliorare la vita non sta nel moltiplicare altre opere straordinarie, né in fare altri uffici alti ed eminenti; ma nel fare perfettamente le opere ordinarie della religione e gli uffici nei quali ci metterà l’ubbidienza, ancorché siano i più vili del mondo; perché questo è quello che Dio vuole da noi. Onde in questo abbiamo da metter gli occhi, se vogliamo fargli cosa grata e acquistare la perfezione.
Or qua consideriamo e ponderiamo quanto poco ci abbia a costare l’esser perfetti; poiché colla stessa cosa che facciamo, senza aggiunta d’altre opere, possiamo esser tali. Questa è una cosa di grande consolazione per tutti e che ci deve animare grandemente alla perfezione. Se si ricercassero da te, per esser perfetto, certe cose squisite e straordinarie, certe elevazioni e contemplazioni molto alte; potresti aver qualche scusa e dire che non puoi, o che non ti basta l’animo di salir tant’alto. Se si ricercasse che ti disciplinassi ogni giorno a sangue, o che digiunassi a pane ed acqua, o che andassi scalzo, o che portassi perpetuamente un cilicio, potresti dire che non ti senti forze da far cose simili. Ma non ti si ricercano queste cose né sta in esse la tua perfezione; sta solo in far bene quello che fai. Colle medesime opere che fai, se tu vuoi, puoi esser perfetto: già è fatta la spesa, non hai bisogno d’aggiungere altre opere. Chi sarà che con questo non si faccia animo per procurare di essere perfetto, consistendo la perfezione in cosa tanto alla mano e domestica, facilmente eseguibile?

(altro…)

Continua a leggereCi deve spingere alla perfezione l’averla Dio posta in una cosa facile

Il nostro profitto consiste in far bene le operazioni ordinarie

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE

 


 

CAPO 1. Come il nostro profitto e la nostra perfezione consistono in far le nostre operazioni ordinarie ben fatte.

 


1. L’abito non fa il monaco.
2. Ma le opere.
3. Quali opere ci facciano santi.
4. In una stessa opera quanta diversità di merito!
5. Perfezione è fare quel che Dio vuole e come vuole.
6. Visione di S. Bernardo.

 

 


1. «Seguirai con giustizia ciò che è giusto» (Deut. 6, 20) disse il Signore al suo popolo, cioè quel che è giusto e buono, fa che sia fatto bene, giustamente e compiutamente. Il negozio del nostro profitto e della nostra perfezione non consiste in far le cose, ma in farle bene: siccome neanche consiste nell’essere uno religioso, ma nell’essere buon religioso. S. Girolamo scrivendo a S. Paolino dice: «Non si deve già lodare l’essere vissuti in Gerusalemme, ma l’esservi vissuti bene» (S. HIERON. Ep. ad Paul. 58, n. 9). Grande stima aveva S. Paolino di S. Girolamo e assai lo lodava per questo stesso, perché abitava in quei santi luoghi, nei quali Cristo nostro Redentore operò i misteri della redenzione; e S. Girolamo su ciò gli risponde appunto che non è da lodarsi il vivere in Gerusalemme, ma il vivere in essa bene. E va comunemente attorno questo detto, per avvertire i religiosi che non si diano per contenti per questo solo, perché stanno nella religione: perché siccome l’abito non fa il monaco, così né anche lo fa il luogo, ma sì bene la buona e santa vita. Di maniera che tutto il punto sta, non in essere religioso, ma in essere buon religioso; e non in far gli esercizi della religione, ma in farli bene. In quell’ «ha fatto bene tutte le cose» (Marc. 7, 37) che, come narra l’Evangelista San Marco, si diceva di Cristo; sì in quell’«ha fatto bene tutte le cose», che dir si possa anche di noi, consiste ogni nostro bene. (altro…)

Continua a leggereIl nostro profitto consiste in far bene le operazioni ordinarie

Delle esortazioni e dei ragionamenti spirituali

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO PRIMO. Della stima, e desiderio, e affezione, che dobbiamo avere a quel, che concerne il nostro profitto spirituale, e d’alcune cose, che a quest’effetto ci aiuteranno


CAPO XVIII. D’un altro mezzo per far profitto nella virtù, che è quello delle esortazioni e dei ragionamenti spirituali; e come ne caveremo frutto.

1. Esortazioni domestiche.
2. Udirle con desiderio di cavarne frutto.
3. Attendere alle cose, non alle parole.
4. Ricordarsi del fine per cui si fanno.
5. Applicare a sé e non ad altri.
6. Nelle esortazioni si parla in generale, e per preservare, più che per rimediare.
7. Ma ognuno deve applicare a sé in particolare.
8. Tenere a mente ciò che si ode.
9. Danno di chi vi sta distratto.
10. Praticare ciò che si è udito.

 


1. Fra gli altri mezzi che ha la religione, e in modo particolare la Compagnia di Gesù, per aiutare ed animare i suoi a camminar avanti nella virtù e nella perfezione, è molto principale quello dei ragionamenti e delle esortazioni spirituali, che si sogliono fare tra noi. E così diremo qui alcune cose, le quali ci aiuteranno a cavare maggior frutto da esse; e potranno ancora servire a tutti per cavar tutto dalle prediche e dai sermoni che odono.

 

(altro…)

Continua a leggereDelle esortazioni e dei ragionamenti spirituali

Della perseveranza

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO PRIMO. Della stima, e desiderio, e affezione, che dobbiamo avere a quel, che concerne il nostro profitto spirituale, e d’alcune cose, che a quest’effetto ci aiuteranno


CAPO XVII. Della perseveranza che abbiamo da avere nella virtù e di quello che ci aiuterà per averla.

1. Dobbiamo perseverare nel bene.
2. Danno del contrario.
3. Persevera chi è ben fondato in virtù.
4. Come si farà?

 


1. S. Agostino sopra quelle parole dell’Apostolo: «Non è coronato se non chi ha combattuto secondo le norme» (II Tim. 2, 5) dice che combattere secondo le norme è combattere con perseveranza sino alla fine; e che questi è quegli che merita d’essere coronato. E porta quel detto, che è anche di S. Girolamo e comune dei Santi: «Il cominciare la carriera della virtù e della perfezione è di molti; ma il perseverare sino alla fine è di pochi» (S. HIER. Ep. ad Lucin. Hispal. 71, 2; Adv. Iovin. l. 1, 36; Ibid. v. 23, col. 259). Come vediamo in quel che avvenne ai figliuoli d’Israele, furono molti quelli che uscirono dall’Egitto (dicendo la sacra Scrittura che furono seicentomila, senza le donne e i fanciulli), ma di tutti essi due solamente furono quelli che entrarono nella terra di promissione. «Non è dunque gran cosa incominciar nel bene, né sta qui il punto né la difficoltà; ma nel perseverare e finir in esso (S. AUG. Serm. ad fratr. in erem.). Sant’Efrem dice che, come la fatica di chi edifica non sta nel gettare le fondamenta, ma nel finir la fabbrica; e che quanto più questa si alza, tanto maggiore è la fatica e la spesa; così ancora nella fabbrica spirituale non sta la difficoltà nel gettare le fondamenta e nel cominciare, ma nel finire: e poco ci gioverà l’aver ben cominciato, se non finiamo bene (S. EPHR. Adhort. ad pietatem. Opera, Romae. 1732-46, v. 2, p. 74). «Non si cercano nei cristiani i principii, ma il fine». Così S. Gerolamo, il quale soggiunge: «Paolo cominciò male, ma finì bene: di Giuda invece si loda il principio, ma la fine, in causa del tradimento, è condannata» (S. HIERON. ad Fur. vid. ep. 54, n. 6). Cominciò bene, ma finì male. Che gli giovò l’essere stato discepolo ed apostolo di Cristo? che gli giovò l’aver fatto miracoli? E così che gioverà a te l’aver cominciato bene, se finisci male? Non a quelli che cominciano, ma a quelli che perseverano si promette premio e corona. «Chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo» (Matth. 14. 13). Nel fine della scala vide Giacobbe che stava il Signore, non al principio, né al mezzo; per farci intendere, come abbiamo sentito da S. Girolamo, che non basta il ben cominciare e il ben proseguire, se non perseveriamo e finiamo bene. «Che giova seguir Cristo, esclama S. Bernardo, se non ci viene fatto di raggiungerlo? È,per questo che S. Paolo diceva: correte in modo da raggiungere. Colà, o cristiano, fissa la meta del tuo correre e del tuo profittare, dove Cristo pose la sua. Si fece, è detto, obbediente fino alla morte. Per quanto adunque tu abbia corso, se non arrivi fino alla morte non conseguirai il pallio» (S. BERN. ep. 254 ad Abb. Guar. n. 4). (altro…)

Continua a leggereDella perseveranza