Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE
2. Vantaggi per l’ora della morte.
3. Disposti in ogni ora a morire, gran contrassegno d’essere in grazia.
4. Pronto sempre a morire.
5. Incerta è l’ora della morte.
6. Astuzia del demonio.
1. Il quarto mezzo che danno i Santi per far le opere ben fatte, è il far ciascuna di esse come se quella avesse ad essere l’ultima di nostra vita: S. Bernardo, istruendo il religioso circa la maniera di portarsi bene nel far le opere sue, dice: «Ognuno s’interroghi in ciascuna sua operazione, e dica a se stesso: se or ora avessi da morire, faresti tu questo? lo faresti tu in questo modo?» (S. BERN. in Spec. Monach. n. .1). E S. Basilio dice: «Abbi sempre dinanzi agli occhi tuoi l’ultimo tuo giorno. Quando ti alzerai al mattino, non riprometterti di arrivare alla sera; e quando alla sera poserai le stanche tue membra a riposare nel letto, non voler confidare di veder la luce del giorno dopo, affinché tu possa più facilmente astenerti da tutti i difetti» (S. BASIL. Admon. ad fil. spir. c. 20). Il che del pari si legge nel libro dell’Imitazione di Cristo. «È mattina? Fa conto di non arrivare alla sera. È sera? Non osare di riprometterti la mattina. Sii sempre preparato. Vivi in modo che la morte non ti trovi impreparato mai. Molti muoiono di morte subitanea e improvvisa» (De Imit. Chr. l. 1, c. 23-24). Seneca pure, dopo aver invitato Lucilio a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, aggiunge: «Se Iddio ci darà il domani, riceviamolo contenti… Chiunque ha detto (la sera innanzi): ho vissuto, sorge ogni mattino ad un nuovo guadagno». Anche Orazio disse: «Pensa che ogni giorno sia per te l’ultimo» (SEN. EP. 12, n. 9).
Questo è un mezzo molto efficace per far le cose bene. E così leggiamo di S. Antonio, che dava spesso questo ricordo ai suoi discepoli per inanimarli alla virtù e a fare le cose perfettamente. Se noi facessimo ciascuna cosa come se subito avessimo da morire e quella avesse da esser l’ultima, tutte certamente le faremmo d’altra maniera e con altra perfezione. O quanto divota messa io direi o ascolterei se mi persuadessi che quella fosse l’ultima operazione della mia vita, e che non mi restasse più tempo da operare ne da meritare! Oh quanto attenta e fervente orazione io farei se sapessi che quella fosse l’ultima e che non vi avesse da esser più tempo per chiedere a Dio misericordia e perdono dei miei peccati! Perciò dice bene quel proverbio: «Se vuoi imparar ad orare, mettiti in mare». Allora quando sta la morte alla gola si fa orazione d’altra maniera.
2. Raccontasi d’un religioso sacerdote servo di Dio, che soleva confessarsi ogni giorno per dir messa e che finalmente cadde infermo; e vedendo il suo Superiore che l’infermità era mortale, gli disse: Padre, voi state molto male, confessatevi per morire. Al che rispose l’infermo, alzando le mani al cielo: Benedetto e lodato sia il Signore, che già sono trenta e più anni che mi sono confessato ogni giorno come se subito avessi avuto a morire: onde non avrò ora bisogno d’altro che di riconciliarmi come per dir messa. Questi camminava bene; e così abbiamo da camminare noi altri ancora. Ogni volta abbiamo da confessarci, come se allora fossimo per morire; al modo stesso abbiamo da comunicarci, e così abbiamo da fare in tutte le altre nostre operazioni: ché con questo nell’ora della morte non vi sarà di bisogno che ci sia detto, confessatevi per morire, ma riconciliatevi come per comunicarvi. Se camminassimo in questa maniera, la morte ci troverebbe sempre ben preparati, né mai ci coglierebbe all’improvviso. E così questa è la miglior orazione e la miglior devozione per non morire di morte subitanea. «Beato quel servo, cui il padrone, venendo, troverà diportarsi così» (Matth. 24, 46) dice Cristo nostro Redentore. Tal vita menava il santo Giobbe. «In tutti i giorni di mia vita sto aspettando che venga il mio cangiamento» (Iob, 14, 14), diceva egli; ogni giorno fo conto che sia l’ultimo per me. «Mi chiamerai, ed io ti risponderò» (Id. ib. V. 15). Chiamatemi, o Signore, in quel giorno che più vi piace, che io sto disposto e preparato per rispondervi e per venir pronto alla vostra chiamata in qualsiasi tempo ed ora che vi piacerà di chiamarmi.
3. Uno dei buoni contrassegni che vi sono per conoscere se una persona cammini bene e drittamente con Dio è appunto questo, se sta ella sempre preparata e all’ordine per rispondere a Dio quando a sé la chiamasse in qualsivoglia tempo e in qualsivoglia azione che stia facendo. Non parlo di certezza infallibile, ché questa non si può avere nella vita presente senza particolare rivelazione; ma di congetture probabili e morali, che è quanto si può avere. Una di queste congetture molto grande e molto principale si è il considerare, se ti contenteresti che la morte ti cogliesse in questo tempo, in questa congiuntura, in quest’azione che stai facendo. Considera se stai disposto come il santo Giobbe per rispondere a Dio, se in questo punto egli a sé ti chiamasse. Prendi spesso di te questa prova e fa a te stesso questa interrogazione: Se adesso venisse la morte, l’avresti tu a caro?
Quando io mi metto a pensare e a far a me medesimo questa dimanda, se trovo che avrei caro che adesso, in questo punto e in quest’azione che io fo venisse la morte, posso giudicare di camminar bene, e restarmene con qualche soddisfazione; ma quando trovassi che non vorrei che venisse la morte adesso, né che mi cogliesse in quest’ufficio, in questa occupazione, né in questa congiuntura; ma che tardasse un poco, sin che avessero fine questi disegni che ora ho per capo, i quali mi tengono distratto; questo non è buon segno, anzi, ho a tenerlo per chiaro indizio che sono trascurato e negligente in quel che tocca il mio profitto e che non cammino come si conviene a un buon religioso. Perché, come dice il libro dell’Imitazione, «se tu avessi buona coscienza, non temeresti molto la morte» (De Imit. Chr. l. 1, c. 23, n. 1); poiché la temi tanto, è segno che ti rimorde in qualche cosa la tua coscienza, e che non puoi render buon conto di te. Meglio è temere il peccato che la morte. Il maggiordomo che tiene ben registrati i suoi conti, sta desiderando che gli siano riveduti; ma chi li tiene imbrogliati, sta con timore che gli siano dimandati, e va ciò schivando e dilungando quanto mai può.
4. Il nostro Padre S. Francesco Borgia diceva che il buon esercizio del religioso ha da essere il prepararsi alla morte ventiquattro volte il giorno, e che allora stava egli bene quando poteva ogni giorno dire: «Io muoio ogni giorno» (I Cor 15, 31). Entri dunque ciascuno a far i conti con se medesimo, e con questo si esamini spesso. E se vi pare di non trovarvi ancora in buona congiuntura per morire, procurate di mettervi ben all’ordine per questo passo, e fate conto di chiedere al Signore come alcuni giorni di vita di più per tal effetto, e che egli ve li conceda; e valetevi bene di questo tempo, procurando di vivere in esso come se immediatamente dopo aveste da morire. Beato chi vive qual desidera esser trovato nell’ora della morte!
5. Questa è una delle più utili cose che siamo soliti di predicare ai prossimi; cioè che vivano quali desiderano esser trovati nel punto della morte, e che non differiscano la conversione e la penitenza loro ad altro tempo; poiché, al dire di quel sant’uomo sopra citato; «il domani è incerto: e che sai tu, se avrai il giorno di domani?» (De Imit. Chr. l. l, c. 23, 1). San Gregorio dice: «Il Signore, il quale ha promesso il perdono al peccatore se farà penitenza, non gli ha mai promesso il giorno di domani» (S. GREG. Hom. 12 in Evang. n. 6). Si suole dire che non v’è cosa più certa della morte, né più incerta dell’ora, di essa. Ma Cristo nostro Redentore dice più ancora di questo, come leggiamo nel Vangelo: «E voi state preparati, perché nell’ora che meno pensate, verrà il Figliuolo dell’uomo» (Luc. 12, 40). Ché, sebbene va parlando del giorno del giudizio, possiamo con ragione intenderlo anche dell’ora, della morte; perché in essa si farà il giudizio particolare di ciascuno; e quel che quivi si sentenzierà, non sarà alterato, ma confermato nel giudizio universale.
Dice dunque Cristo nostro Redentore, che non solo quest’ora è incerta, e che non sai quando essa abbia da venire, ma che verrà quando tu meno ci pensi, e forse quando più starai spensierato: che è quello che dice San Paolo: «Verrà come un ladro di notte» (I Thess. 5, 2); e S. Giovanni nell’Apocalisse: «Verrò a te come un ladro, né saprai in quale ora, verrò a te» (Apoc. 3, 3). Il ladro non avvisa, anzi aspetta che tutti stiano più spensierati ed anche addormentati. E così con questa medesima similitudine Cristo nostro Redentore c’insegna come ci abbiamo da portare acciocché la morte con subitaneo assalto non ci colga sprovveduti. «Or sappiate che se al padre di famiglia fosse noto a che ora, fosse per venire il ladro, veglierebbe senza dubbio e non permetterebbe che gli fosse sforzata la casa» (Luc. 12, 39). Se il padrone di casa sapesse l’ora, nella quale ha da venire il ladro, basterebbe che stesse avvertito per talora: ma perché non sa l’ora, né se sarà o nell’entrar della notte, o a mezza notte, o la mattina; sta sempre vigilante, acciocché non gli sia scalata e rubata la casa. Or in questo modo, dice il Signore, avete da star preparati e vigilanti voi altri sempre e in ogni tempo per l’ora della morte, poiché ha da venire quando meno ve la pensate.
Notano su questo i Santi, che è stata grande misericordia del Signore l’averci lasciata incerta l’ora della morte, acciocché stiamo sempre preparati ed all’ordine per essa. Se infatti gli uomini ne sapessero il quando, una tal sicurezza sarebbe loro occasione di grande trascuraggine e negligenza e di molti peccati. Se con tutto che ne siano incerti e non sappiano la loro ora, vivono tanto trascuratamente, che farebbero se sapessero di certo, non aver a morir così presto? S. Bonaventura dice che il Signore volle che fossimo sempre incerti dell’ora della morte, acciocché facessimo poco conto delle cose temporali, né sì alla balorda. c’immergessimo in esse; ché ad ogni ora e ad ogni momento le possiamo perdere (S. BONAV. De ext. et int. hom. comp. l. 2, c. 22). Come appunto disse Dio a quel ricco avaro, riferito in S. Luca: «Stolto, in questa notte sarà ridomandata a te l’anima tua: e quel che hai messo da parte, di chi sarà?» (Luc. 12, 20). E di più perché, avvertiti di questo, mettessimo il nostro cuore in quelle ricchezze che non avranno mai fine.
6. Sarà dunque ragionevole che quello che predichiamo ad altri lo pigliamo anche per noi medesimi, come ce ne fa avvertiti l’Apostolo: «Tu adunque, che insegni ad altri, non insegni a te stesso» (Rom. 2, 21). Una delle più comuni tentazioni, con cui il demonio inganna gli uomini, è il tener loro nascosta questa verità tanto chiara e manifesta, levandola loro dagli occhi e facendo che se ne scordino e non vi pensino, e dando loro a credere che vi è assai tempo per l’uno e per l’altro, e che di poi si emenderanno e vivranno d’altra maniera. E con questa medesima tentazione inganna anche molti religiosi, facendo che differiscano il profitto loro ad altro tempo. Quando saranno finiti questi studi, quando io esca da quest’ufficio, concluso che sia questo negozio, ordinerò i miei esercizi spirituali, le mie penitenze, le mie mortificazioni. Misero te! e se tu muori negli studi, che ti serviranno le lettere, per cagion delle quali ti sarai allentato nella virtù, se non di paglia e di fieno, come dice S. Paolo (I Cor 3, 12), per ardere maggiormente nell’altra vita? Vagliamoci dunque di quel che diciamo ad altri: «Medico, cura te stesso» (Luc. 4, 23). Medica te stesso ancora con cotesto rimedio, poiché ne hai bisogno.