Abituarsi a far bene le opere proprie

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE


CAPO VII. D’un altro mezzo, che è assuefarsi uno a far bene le opere proprie.


1. Come praticare questo mezzo.
2. Ci viene insegnato dalla S. Scrittura.
3. Efficacia del buon abito.
 


   1. Quel grande ed antichissimo filosofo, Pitagora, dava un consiglio molto buono ai suoi discepoli e ai suoi amici per diventar virtuosi e per rendersi loro facile e soave la virtù. Diceva loro così: Eleggasi ciascuno un modo di vivere molto buono, e non si sgomenti, per parergli da principio faticoso e difficile; perché di poi, colla consuetudine, gli riuscirà molto facile e molto gustoso. Questo è un mezzo molto principale, e del quale ci abbiamo da valere, non tanto per essere di quel filosofo, quanto perché è dello Spirito Santo, siccome or ora vedremo; e perché è mezzo molto valevole pel fine che pretendiamo.
   Già noi abbiamo eletto il buon modo di vivere, o per dir meglio, già il Signore ci ha eletti per questo: «Non siete voi che avete eletto me, ma io ho eletto voi» (Io. 15, 16), Siane egli eternamente benedetto e glorificato. Ma in questa vita e in questo stato, nel quale il Signore ci ha posti, vi può essere il più e il meno: perché puoi esser perfetto, e puoi essere imperfetto e tiepido, secondo che andrai operando. Ora se vuoi far profitto e acquistare la perfezione in questo stato e nelle tue operazioni, procura di avvezzarti a far le opere e gli esercizi della religione ben fatti e con perfezione. Avvézzati a far bene l’orazione e gli altri esercizi spirituali; avvézzati ad essere molto puntuale nell’ubbidienza e nell’osservanza delle regole e a far conto delle cose piccole; avvézzati al ritiramento, alla mortificazione e penitenza, alla modestia e al silenzio. Non dubitare; se nel principio sentirai in ciò qualche difficoltà, dopo, colla consuetudine, ti si renderà non pur facile, ma soave e gustoso, e non ti sazierai di render grazie a Dio dell’esserti a ciò assuefatto.


   2. Questa dottrina ci viene insegnata dallo Spirito Santo in molti luoghi della sacra Scrittura. Dicesi nei Proverbi: «Ti indirizzerò per la via della Sapienza» (Prov 4, 11). Io t’insegnerò a prender sapore nella cognizione di Dio; ché tanto appunto, per detto di S. Bernardo e di S. Bonaventura,vuol dire nella sacra Scrittura la parola sapienza, una «saporita cognizione di Dio».
   Or io t’insegnerò, dice lo Spirito Santo, la strada, per la quale tu venga ad aver sapore e gusto in conoscere, amare e servir Dio. «Ti condurrò nei sentieri della giustizia; e quando in essi sarai entrato, non troverai angustia ai tuoi passi, né inciampo al tuo corso» (Prov 4, 11-12). Ti condurrò prima per i sentieri stretti della virtù, i quali chiama così, perché la virtù nei principi ci si rende difficile, per la nostra mala inclinazione, e ci pare uno stretto sentiero; ma passate che avrai quelle prime strettezze camminerai alla larga molto gustosamente e a piacer tuo; ed anche correrai senza inciampare, né troverai difficoltà in cosa alcuna. Lo Spirito Santo c’insegna elegantemente con questa metafora che, quantunque nei princìpi sentiamo difficoltà in questa strada della virtù e della perfezione, non abbiamo per questo da perderci d’animo; perché di poi, camminando avanti in questa strada, non solo non avremo difficoltà, ma vi troveremo molto gusto e grande contentezza ed allegrezza, e verremo a dire: «Io faticai per un poco ed ho trovato molto riposo» (Eccli. 51, 35).
   Lo stesso si replica nel capo sesto dell’Ecclesiastico: «Con un po’ di lavoro nella sua cultura ben presto ne godrai i frutti» (Eccli. 6, 20). E il glorioso Apostolo S. Paolo c’insegna anch’egli questo medesimo: «Ora qualunque disciplina sembra pel presente apportatrice non di gaudio, ma di tristezza: dopo però rende un tranquillo frutto di giustizia a coloro che in essa si sono esercitati» (Hebr. 12, 11). E così vediamo di tutte le arti e scienze. Quanto difficile non si rende ad un giovinetto lo studio nel principio? Molte volte bisogna condurvelo per forza, e si suole dire che l’apprender le lettere costa sangue; ma dopo coll’esercizio, quando va facendo profitto e imparando qualche cosa, gusta tanto dello studio, che alle volte tutto il suo trattenimento e la sua ricreazione è lo starsene studiando. Or così avviene ancora nella via della virtù e della perfezione.


   3. S. Bernardo va dichiarando molto bene questa cosa sopra quelle parole di Giobbe: «Quelle cose che io per l’avanti non avrei voluto toccare, sono adesso nelle mie strettezze mio cibo» (Iob, 6, 7). Vuoi tu sapere, dice egli, quanto fa l’esercizio e la consuetudine, e quanta forza ha? Al principio ti parrà una cosa molto difficile e insopportabile; ma se ti assuefai ad essa, coll’andar del tempo non ti parrà tanto difficile né tanto pesante: da lì a poco ti parrà cosa leggiera e facile; indi ad un altro poco non la sentirai più affatto: e in breve non solo non la sentirai più, ma ti darà ella tanto gusto e tanta contentezza, che potrai dire con Giobbe: Quello che prima l’anima mia aborriva, e non lo poteva vedere, ma mi cagionava orrore, adesso è mio cibo e nutrimento molto dolce e saporito (S. BERN. De cons. ad Eug. l. 1, c. 2).
   Di maniera che ogni cosa riesce secondo che la persona si assuefa ad essa. Perciò a te riesce difficile l’osservar le addizioni e gl’indirizzi dell’orazione e dell’esame, perché vi sei poco assuefatto: perciò hai tanta difficoltà nel fissare e tener raccolta la tua immaginativa, acciocché non se ne scorra ove vuole subito che ti svegli e nel tempo dell’orazione, perché non hai fatto mai sforzo, né ti sei avvezzo a fissarla e a tenerla a freno, affinché non trascorra a pensar in altro che in quello che hai da meditare. Per questo ti cagiona tristezza e malinconia il silenzio e il ritiramento, perché poco l’usi. «La cella, dice il divoto Tomaso da Kempis, se ci si abita di continuo, riesce dolce; se male la si custodisce, ingenera noia» (De Imit. Chr. l. l, c. 20, 5). Avvézzati tu adunque a startene in essa continuamente, che ti diventerà soave e gioconda. Per questo riescono difficili al secolare l’orazione e il digiuno, perché non vi si è assuefatto. Il re Saul vestì Davide delle sue proprie armi, perché con quelle andasse a combattere col Filisteo; ma perché quegli non era avvezzo, non si poteva muovere con esse, e le lasciò: si assuefece poi alle armi, e con esse combatteva molto bene.
   E quel che dico della virtù e del bene, dico anche del vizio e del male. Che se ti lasci trasportare dalla cattiva consuetudine, crescerà il male e piglierà forze maggiori; onde sarà poi più difficile il rimedio, e così te ne resterai tutta la tua vita. Oh se da principio tu ti fossi assuefatto a fare le cose bene, quanto ricco ti troveresti adesso e quanto contento, vedendo la virtù e il bene esserti omai divenuti cotanto facili e soavi! comincia ora ad assuefarti bene; che è sempre meglio tardi, che mai. Piglia a petto il far bene codeste cose ordinarie che fai, poiché tanto importa il farle bene, ed applica a questo, se sarà di bisogno, l’esame particolare, che sarà dei buoni esami che tu possa fare; e in questa maniera ti si andrà rendendo facile e soave il farle e il farle bene.