Non far conto se non del giorno d’oggi

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE


CAPO VI. D’un altro mezzo per fare bene le opere nostre che è non far conto se non del giorno d’oggi.


1. Vivere giorno per giorno.

2. Esempio d’un monaco tentato di gola.

3. Non avrebbe bisogno di questo mezzo chi amasse Dio davvero.


1. Il quinto mezzo che ci aiuterà e animerà grandemente a far le cose ordinarie ben fatte e con perfezione è, che non facciamo conto se non del giorno d’oggi. E sebbene pare che questo mezzo non sia differente dal passato, differisce nondimeno da quello, come si vedrà nell’esporlo che faremo. Una delle cose che suole far perdere d’animo ed allentare, e rilassar molti nella strada della virtù, e una delle tentazioni colle quali il demonio lo va procurando, è il rappresentar loro: E come sarà possibile che per tanti anni tu possa camminare con tanta circospezione, con tanta puntualità, con tanta esattezza nelle cose, mortificandoti sempre, raffrenandoti, negando il tuo gusto e soffocando la tua volontà in tutte le cose! E ciò rappresenta il demonio come cosa al sommo difficile; e che questa non è vita in cui poterla durar tanto a lungo. Così leggiamo del nostro S. Padre Ignazio (RIBAD. Vita S, Ign. l. 1, c. 6) che quando si ritirò in Manresa a far penitenza, tra le altre tentazioni, colle quali il demonio ivi l’assalì, questa fu una: Come è possibile che tu possa tollerare una vita così aspra come è questa lo spazio di settant’anni, che ancora ti restano a vivere?


Or questo mezzo è per diritto volto a combattere questa tentazione. Tu non hai da far conto di molti anni, né di molti giorni, ma solamente del giorno d’oggi. Questo è un mezzo molto proporzionato alla debolezza e fragilità nostra; perché chi sarà quegli che per un giorno non si faccia animo e forza per viver bene e per far quanto può dal canto suo, acciocché le cose riescano ben fatte? Un modo è questo simile appunto a quello con cui il nostro Santo Padre ci propone di fare l’esame particolare, nel quale anche di mezzo in mezzo giorno ci comanda che facciamo i nostri proponimenti: da questo punto sino all’ora di pranzo almeno voglio usare modestia, ovvero osservare il silenzio, o esercitare la pazienza. In questa maniera si rende facile e tollerabile quel che forse ti si renderebbe molto difficile se lo pigliassi assolutamente, come sarebbe considerando che mai non avessi da parlare, ovvero che sempre avessi da star raffrenato e molto composto e ritirato.

   2. Di questo mezzo si valeva quel monaco, di cui nelle Vite dei Padri (De vitis Patr. l. 3, n. 4; l. 5, lib. 4, n. 8) si legge ch’era molto combattuto dalla gola, sorprendendolo la mattina a buon’ora tanta fame e tanta languidezza, che gli era intollerabile. Egli per non trasgredire la santa usanza dei monaci, di non mangiare se non tre ore dopo il mezzo giorno, usava questa industria: la mattina a buon’ora diceva fra se stesso: per molta fame che tu abbia, che gran cosa è aspettare sino all’ora di terza? allora potrai mangiare. Giunta l’ora di terza, diceva: in verità che mi ho da sforzare e non ho da mangiare sin all’ora di sesta; ché, come ho potuto aspettare sino all’ora di terza, così potrò anche farlo sino a quest’altra. All’ora di sesta buttava il pane nell’acqua e diceva: Mentre s’inzuppa il pane, bisogna aspettare sino all’ora di nona; ché, già che ho aspettato sin adesso, non voglio per due o tre ore di più trasgredir l’usanza dei monaci. Arrivata l’ora di nona, mangiava, dopo aver dette le sue orazioni. Fece così per lo spazio di molti giorni, ingannando se stesso con questi certi termini, sin a tanto che un giorno, sedendosi a mangiare a ora di nona, vide alzarsi un fumo dalla sportella, nella quale teneva il pane, e uscirsene per la finestra della cella, che dovette esser lo spirito maligno che lo tentava. E per l’avvenire non sentì mai più quella fame né quella falsa mancanza, come prima soleva; tanto che alle volte se ne stava due giorni intieri senza mangiare e senza sentirne fastidio. Così gli fu pagata dal Signore la vittoria, che egli aveva riportata del suo nemico, e la guerra che aveva sofferta.


   3. Perciò abbiamo detto, e non senza ragione, che questo mezzo è molto proporzionato alla debolezza e fragilità nostra; perché finalmente, come infermi e deboli, ci va questo confortando a poco a poco, acciocché in questo modo non ci spaventi il travaglio e la fatica. Ma se noi altri fossimo forti e infervorati e portassimo grande amore a Dio, non avremmo bisogno d’essere confortati in questa maniera, tanto poco a poco, con andarcisi nascondendo il travaglio e la difficoltà; perché al vero servo di Dio niuna impressione fa il molto tempo, né i molti anni; anzi ogni tempo gli par breve per servir Dio, ed ogni travaglio e fatica assai piccola. E così non v’è bisogno che venga in questa maniera animato e fortificato a poco a poco. S. Bernardo lo dice molto bene: Il vero giusto non è come il mercenario, o lavorante a giornate, che si obbliga a servire per un giorno, o per un mese, o per un anno, e non più; ma per sempre, senza limite e senza termine, si offre a servir Dio con gran volontà (S. BERN. Epist. 253 ad Abb. Guar. n, 2). Ascolta, dice, la voce del giusto, che esclama: «Non mi scorderò in eterno delle tue giustificazioni, perché per esse mi desti la vita… Inclinai il mio cuore ad eseguire eternamente le tue giustificazioni» (Ps. 118, 93 et 112). «Quindi la sua giustizia non è cosa del momento, non dura per qualche tempo, ma rimane per tutti i secoli» (S. BERN. l. c.). E perché si offrì e deliberò di servir Dio assolutamente e senza termine, e non pose limite di un anno, o di tre anni, a fare tal cosa; perciò il suo premio e il suo guiderdone sarà anche senza termine ed eterno. «La fame sempiterna del giusto, conclude egli, merita una refezione sempiterna» (S. BERN. l. c.).
   E in questa maniera dichiara il medesimo S. Bernardo quel passo del Savio: «Perfezionatosi in breve, compì una lunga carriera» (Sap, 4, 13). Il vero giusto in poco tempo e in pochi giorni di vita vive molti anni; perché ama tanto Dio e ha tanto desiderio di servirlo, che se vivesse cent’anni, e anche cento mila, sempre, s’impiegherebbe in servir maggiormente Dio. E per rispetto di questo tal suo desiderio e deliberazione anche un breve spazio di vita se gli computa come se per tutto questo tempo fosse vissuto in tal maniera; perché Dio lo premierà proporzionatamente al desiderio e alla deliberazione sua. Questi sono veramente uomini da qualche cosa, questi sono uomini forti, come Giacobbe, a cui per il grande amore che portava a Rachele parve poco il servir per essa sette anni, e dopo servirne altri sette: «Pochi gli parvero quei giorni per il grande amore» (Gen. 29, 20).