Meditazione: quelli che non riescono a discorrere con l’intelletto

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO XIII. Si soddisfa al lamento di quelli che dicono, che non possono o non sanno meditare né discorrere con l'intelletto

 

 

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1. Spesso il discorso pregiudica l'affetto.
2. Da considerazioni comuni spesso affetti molto elevati. 
3. E grazia maggiore l'affetto che non il discorso. 
4. Esempio.

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1. Con questo si risponde ad un lamento molto comune di alcuni, i quali si rammaricano, dicendo che non possono o non sanno discorrere nell'orazione, perché non si presentano loro considerazioni onde potersi stendere sui punti, ma subito se ne restano in secco. Non accade pigliarsi di ciò fastidio alcuno, perché, come abbiamo detto, questo negozio dell'orazione consiste più in affetti e desideri della volontà, che in discorsi e speculazioni dell'intelletto. Anzi notano qui i maestri della vita spirituale, che bisogna avvertire che la meditazione dell'intelletto non sia soverchia, perché questo suole impedire assai il movimento e l'affetto della volontà, che è la cosa principale. E specialmente viene questo movimento ed affetto impedito di più, quando uno si trattiene in considerazioni sottili e delicate. E la ragione è naturale; perché è cosa chiara che se una fontana non ha più che una vena d'acqua, e vi sono molti canali; quanto più acqua correrà per uno di essi, tanto meno ne correrà per gli altri. Ora la virtù dell'anima è finita e limitata e quanto più ne scorre per il canale dell'intelletto, tanto meno ne scorrerà per quello della volontà.

E così vediamo per esperienza che se l'anima sta con divozione e sentimento, e l'intelletto si distrae con qualche speculazione o curiosità; subito il cuore si secca e si estingue quella divozione. Il che avviene perché la fontana va smaltendo l'acqua per l'altro canale dell'intelletto e perciò viene a restare secco quello della volontà. Onde dice Gersone (GERSON, De mont. contempl. prolog.) che di qui procede che quelli che non sono dotti, alcune, anzi molte volte sono più divoti e riescono meglio nell'orazione che i dotti; perché si attuano meno per mezzo dell'intelletto, non occupandosi, né distraendosi in speculazioni, né in curiosità; ma procurano subito con considerazioni facili e semplici di muovere e affezionare la volontà. E quelle considerazioni ordinarie e famigliari li muovono più e fanno maggior effetto in essi, che non. fanno in altri le alte e sottili. Come vedemmo in quel santo cuoco, di cui abbiamo di sopra fatta menzione (Tratt. 3, c. 9, n. 3), il quale dal fuoco materiale che adoperava prendeva occasione di ricordarsi del fuoco eterno, ed era uomo di tanta divozione, che aveva dono di lagrime nelle sue operazioni.

2. E si deve grandemente notare questo punto, cioè che ove sia l'affetto e il desiderio assai alto e assai spirituale, non ti devi curar punto che il pensiero o la considerazione sia bassa e comune. Abbiamo di ciò molti esempi nella sacra Scrittura, nella quale lo Spirito Santo con molto semplici e volgari similitudini ci dichiara cose molto alte e sublimi. Sopra quelle parole del Salmista (Ps. 54, 7): «Chi mi darà ali come di colomba, e volerò, e avrò riposo?» domanda S. Ambrogio (S. AMBR. Serm. 57, n. 3): Per qual cagione desiderando il Profeta di volare e di salir in alto, chiede ali di colomba, e non di altri uccelli, poiché ve ne sono dei più agili che la colomba? E risponde: perché sapeva molto bene che per volare all'altezza della perfezione e per fare molto buona ed alta orazione sono migliori le ali di colomba, cioè i semplici di cuore, che gli acuti ed elevati intelletti, conforme a quello che dice il Savio, che agli umili e semplici di cuore si comunica Dio (Prov. 3, 32).

3. Sicché non accade pigliarsi fastidio per non poter discorrere, né trovare considerazioni da dilatarsi nei punti della meditazione. Anzi dicono, e con gran ragione, che è migliore. e più felice sorte quella di coloro ai quali Dio serra la vena della soverchia speculazione ed apre quella dell'affezione; acciocché quietato e posato l'intelletto, la volontà sola si trattenga in Dio, impiegandosi tutta nell'amore e godimento del Sommo Bene. Se il Signore ti fa grazia, che con una considerazione facile e semplice, ovvero col considerar solamente che Dio si fece uomo, che nacque in una stalla, che morì su d'una croce per te, tu t'accendi in amor di Dio e in desiderio di umiliarti e di mortificarti per amor suo, e in questo ti trattieni tutta l'ora; questa è migliore e più utile orazione, che se facessi molti discorsi è considerazioni molto alte e peregrine; perché ti occupi e trattieni nella parte migliore e più sostanziale dell'orazione, e in quello che è il fine e il frutto di essa. Dal che si può conoscere l'inganno di alcuni, ai quali, quando non si presentano loro considerazioni da potersi trattenere, pare che non facciano buona orazione; e quando trovano molte considerazioni, pare loro che la facciano buona.

4. Nelle Cronache di S. Francesco (Cronache etc. 1. 7, c. 14, Venezia 1582, v. 2, p. 156; Op. S. Bonav. Quaracchi, v. 10, p. 5, nota 1) si narra che una volta frate Egidio disse a S. Bonaventura, il quale era Ministro Generale dell'Ordine: Il Signore ha Con cedute a voi altri dotti molte grazie, colle quali possiate servirlo e lodarlo; ma noi altri ignoranti ed idioti, che non abbiamo sufficienza alcuna, che cosa potremo fare per piacere a Dio? E S. Bonaventura rispose: Se il Signore non avesse fatta all'uomo altra grazia che quella di poterlo amare, essa sola sarebbe stata bastante per obbligarlo a prestargli maggiori servizi che per tutte le altre insieme. Disse allora frate Egidio: E può un idiota amar tanto Gesù Cristo guanto un dotto? Può, disse S. Bonaventura, una semplice vecchierella amare Nostro Signore più che un maestro in teologia. Allora il santo frate Egidio, alzatosi su con gran fervore, se ne andò all'orto, e da quella banda che rispondeva verso la città cominciò a gridare molto forte: Vecchierella, povera, idiota e semplice, ama il tuo Signor Gesù Cristo; e potrai esser maggiore che frate Bonaventura. E restò rapito in estasi, secondo il suo solito, senza muoversi da quel luogo per lo spazio di tre ore.