Dell’orazione mentale ordinaria

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

***

TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

***

CAPO VII. Dell'orazione mentale ordinaria

 

* * *

1. Il metodo d'orazione negli Esercizi di S. Ignazio.

2. Esercizio delle tre potenze.

3. E usato dai Santi ed è scevro d'illusioni.

4. La ragione ne conferma l'utilità e la sicurezza.

 

* * *

1. Lasciata da parte l'orazione specialissima e straordinaria, giacché non possiamo né insegnare né dichiarare quello ch'ella è, né come sia fatta, né è in mano nostra avere il dono di essa, né da Dio ci viene comandato che l'abbiamo, né ci domanderà conto di questa cosa; tratteremo ora dell'orazione mentale ordinaria e comune, la quale si può in qualche modo insegnare, e arrivarvi a forza di fatiche e indirizzi, aiutati dalla grazia del Signore. Fra le altre grazie e benefici, che il Signore ci ha fatti nella Compagnia, questo è stato uno molto particolare, che ci ha dato il metodo di orazione che abbiamo da tenere, approvato dalla Sede Apostolica, nel libro degli Esercizi spirituali del nostro S. P. Ignazio, come consta dal Breve che è nel principio di esso. In questo Papa Paolo III, dopo aver fatto esaminare molto esattamente i detti Esercizi, li approva e conferma, dicendo che sono molto utili e salutiferi, ed esorta grandemente tutti i fedeli ad esercitarsi in essi.

Il Signore comunicò al nostro Santo Padre questo modo d'orazione, ed egli lo comunicò a noi altri collo stesso ordine, col quale il Signore lo comunicò a lui; onde abbiamo ad aver gran fiducia in Dio che per questa strada e modo proposto da Sua Divina Maestà ci aiuterà e farà delle grazie; poiché con esso guadagnò il nostro Santo Padre e i suoi compagni, e successivamente altri molti; e insieme con questo comunicò al Santo l'idea e il disegno della Compagnia che egli aveva a fondare, come egli stesso disse. E così non abbiamo da cercar altre vie né altri modi straordinari d'orazione, ma procurare di conformarci a questo modello che i vi abbiamo, come buoni e veri figliuoli.

2. Nell'esercizio delle tre potenze, che egli mette pel primo degli esercizi, c'insegna il nostro Santo Padre il metodo che si ha da tenere nell'orazione in tutti gli altri esercizi: ed è che, in qualsiasi punto al quale daremo di mano, abbiamo da andar esercitando le tre potenze dell'anima nostra, memoria, intelletto e volontà. Primieramente dobbiamo colla memoria metterei avanti gli occhi dell'intelletto il punto, o mistero, sopra del quale vogliamo far orazione; indi entrare coll'intelletto a discorrere, meditare e considerare quelle cose che più ci aiuteranno a muovere la nostra volontà; ed appresso hanno da seguitare gli affetti della volontà; e questa terza cosa è la principale e quella nella quale abbiamo da fermarci. Perché questo è il fine della meditazione, è il frutto che si ha da cavare da tutte le considerazioni e discorsi dell'intelletto: tutto questo s'ordina per muovere la volontà al desiderio del bene e all'odio del male. Perciò fu dato a questo esercizio il nome di esercizio delle tre potenze per esser il primo nel quale ci viene insegnato questo modo d'orazione; per altro in tutti gli altri esercizi si hanno pure da esercitare le tre potenze dell'anima come in questo.

3. Or questo modo d'orazione, che c'insegna quivi il nostro Santo Padre e la Compagnia usa, non è singolare, né porta seco invenzioni soggette ad illusioni, come fanno certi altri; anzi è modo molto comune ed usato dai Padri antichi, e molto conforme alla natura umana, che è discorsi va e ragionevole, e per via di ragione e con ragione si persuade, si convince e s'arrende; e per conseguenza è più facile, più sicuro, più fruttuoso. Di maniera che non abbiamo da stare nell'orazione come stupidi, o abbandonati, senza far cosa alcuna; ché questo sarebbe inganno ed errore grande; ma abbiamo da far ricorso a Dio mediante l'esercizio delle nostre potenze e cooperare insieme con esso, perché Iddio vuole cooperazione dalle sue creature. E questo è quello che c'insegna il nostro Santo Padre nel libro degli Esercizi.

Altri modi d'orazione che vi sono, con levar via il discorso, con usare certi interiori annientamenti e andar dietro a certi silenzi, presi dalla mistica teologia, comunemente non si debbono insegnare, nemmeno cercare, come abbiamo detto di sopra; e la gente nuova, che non ha fatto molto progresso nella cognizione delle sue passioni e nell'esercizio delle virtù, posta in questi modi particolari, sta soggetta ad illusioni ed inganni: e quando si pensano costoro d'aver fatto qualche guadagno, si trovano con tutte le loro passioni assai vegete, le quali con quel pasto e gusto dell'orazione stavano come addormentate, e di poi si risvegliano con molto pericolo. E ancora in questi modi reconditi e particolari si nutre certa durezza di giudicio, che è disposizione a qualsivoglia inganno: onde la temeva molto il nostro Santo P. Ignazio, e diceva che tali persone, dedite a questi modi di orazione, di così fatta durezza comunemente ne solevano avere un qualche ramo.

4. Dico dunque che la prima cosa che abbiamo da fare nell'orazione, in qualsivoglia punto al quale daremo di piglio, ha da essere, dopo propostoci brevemente alla memoria il punto, o mistero, sopra del quale vogliamo fare orazione, entrare coll'intelletto a meditare e discorrere sopra esso; e poi hanno da seguitare subito gli affetti della volontà. Di maniera che la memoria propone, e poi subito ha da entrare il discorso e la meditazione dell'intelletto: perché questo è il fondamento dal quale hanno da derivare tutti gli atti ed esercizi che facciamo nell'orazione; e in virtù di questo si fa nell'orazione tutto il rimanente. La ragione di ciò è chiara; perché la nostra volontà è una potenza cieca, la quale non può dare un passo senza. che l'intelletto le vada innanzi. Questa è massima comune dei filosofi; non può la volontà voler cosa alcuna che prima non sia passata per l'intelletto, che è il paggio che porta la torcia, il quale va innanzi facendo lume alla volontà, e guidandola, e scoprendole quello che ha da volere o aborrire.

Onde dice S. Agostino che: «In niun modo alcuno può amare ciò che del tutto ignora» (S. AUG. De Trin. l. 10, c. 1); e S. Gregorio dice che «nessuno può amare quello che non conosce» (S. GREG. Hom. 36 sup. Evang. n. 1). Possiamo ben amare le cose che non vediamo; ma quella cosa della quale non abbiamo cognizione alcuna, non possiamo amarla; perché l'oggetto della volontà è il bene conosciuto. Per questo amiamo e desideriamo qualche cosa, perché l'apprendiamo per buona e degna di esser amata: e per lo contrario per questo l'abboniamo e fuggiamo, perché la giudichiamo e apprendiamo per mala e degna di essere aborrita. E così quando vogliamo che uno muti la sua volontà e il suo proponimento, lo persuadiamo con ragioni e procuriamo di convincergli l'intelletto, che quello che vuol fare non è cosa conveniente né buona, che l'altra è la migliore e quella che gli conviene; acciocché così lasci l'una e abbracci l'altra. Di maniera che l'atto e il discorso dell'intelletto è fondamento per gli altri atti ed esercizi che facciamo nell'orazione; e per questo è tanto necessaria la meditazione: il che andremo dichiarando più pienamente nei capi seguenti.