San Giuseppe (dall’Enciclopedia Cattolica)

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Giuseppe
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(dall’Enciclopedia Cattolica)






GIUSEPPE,
santo.
– Sposo di Maria Vergine e Padre putativo di Gesù (ebr. Jôséph,
forma apocopata di Jehôsëph, “Jahweh accresca”
gr. IWSHF, lat. Ioseph, Iosephus), figura preminente nella storia
dell’infanzia di Gesù, che s’impernia su di lui. Le poche notizie sicure di
lui sono riferite nei due primi capitoli di Matteo e di Luca, e
qualche altro fugace accenno è nei Vangeli. Di assai minore importanza sono
i racconti degli Apocrifi, per il loro carattere spiccatamente leggendario: ma hanno
avuto un largo influsso nella tradizione e nell’arte.



SOMMARIO:
I. Nella S Scrittura.II.
Negli Apocrifi.

III.
Nella teologia.

IV.
Nella liturgia.

V.
Nella iconografia.

VI.
Nel folklore.





I. NELLA S. SCRITTURA. – Il nome di s. G. figura nella
genealogia di Cristo quale diretto discendente di David (Mt 1, 16), quindi
“figlio di David” (Mt 1, 20; cf. Lc 2, 4; 3, 23 sgg.), titolo
messianico da lui legittimamente trasmesso al suo Figlio legale, Gesù (v.
GESÙ CRISTO, genealogia).

Tra le circostanze menzionate da Luca nel racconto dell’Annunciazione, la
più importante è che Maria, all’atto del messaggio angelico, era vergine
ed al tempo stesso vincolata con Giuseppe, desponsata (Lc 1, 27). Lo
stesso attesta Matteo (1, 18), quando riferisce il turbamento di G. ai segni
della maternità della sua sposa. Fino a quel momento la Vergine era “maritata”
o solo “fidanzata” con G.? (la voce desponsata, come la corrispondente
italiana “sposata” si presta facilmente ai due sensi). La risposta della
tradizione non è concorde: i Greci, per lo più parlano di fidanzamento;
invece i Latini, quasi tutti ammettono già celebrate le nozze, con la coabitazione
in atto. Ma un’attenta esegesi del testo evangelico (Mt 1, 18-23) permette
di escludere questa seconda interpretazione. G., ignaro del mistero e turbato alla
vista della sua sposa divenuta madre, pensa di rimandarla segretamente (dandole cioè
regolare libello di ripudio, ma senza pubblicità, cf. ibid. 1, 19):
a questo punto gli appare l’Angelo, che svela il mistero della Concezione verginale,
e gl’ingiunge di “prendere con sé Maria, la sua sposa”: G. prontamente
obbedisce, e “prende con sé (parelaben) la sua sposa N (ibid. 1,
20.24). Con le quali parole è indicato l’atto conclusivo del contratto matrimoniale
presso gli Ebrei, che comprendeva due distinti momenti: la promessa (fidanzamento)
e l’introduzione della sposa nella casa dello sposo, che avveniva ordinariamente
dopo un anno dalla promessa e si festeggiava solennemente (cf. Gv 2, 1). Al
tempo dell’Annunciazione, e fino a questo momento, i due sposi non coabitavano (Mt
1, 18 “antequam convenirent”): dunque erano solo fidanzati. Tuttavia
devesi rilevare che il fidanzamento, secondo il costume ebraico, era una “promissio
de praesenti”, e costituiva essenzialmente il vincolo matrimoniale, rendendo
gli sposi veri coniugi prima ancora della coabitazione, che era il suggello solenne
e definitivo del contratto matrimoniale. Per tal modo l’onore della Vergine e del
suo Figlio (per il quale i Padri latini, ignari delle costumanze ebraiche credettero
indispensabile far precedere la celebrazione nuziale all’Annunciazione) era sufficientemente
tutelato.

Alla nascita di Gesù (Lc 2,1 sgg.), in ossequio all’ordine di censimento
di Augusto, G. si trasferì da Nazareth’ ove abitava, a Betlemme, città
di David suo padre. Da ciò non segue necessariamente che egli fosse nativo
dl Betlemme: il motivo del viaggio indicato dall’evangelista è la sua discendenza
davidica (ibid. 2, 4). Ma la tradizione della sua origine betlemitica è
autorevolmente confermata da s. Giustino (Dial., 78, 10: PG 6, 657).
A Betlemme nacque Gesù e fu deposto in una mangiatoia, non essendovi luogo
per essi nel “diversorio” (Lc 2, 7). G. con Maria fu presente all’adorazione
dei pastori (ibid. 2, 16) e dopo otto giorni, nel rito della circoncisione
(che fu eseguita dal mohel, e non da s. G.; v. CIRCONCISIONE) impose
al Bambino il nome Gesù, rivelato dall’Angelo (Mt 1, 21.25), inaugurando
così la sua missione paterna.

Alla Presentazione al Tempio fu G. che, nella sua qualità di capo della S.
Famiglia, curo l’osservanza delle prescrizioni legali: si reco a Gerusalemme con
la sua Sposa ed assistette al rito della Purificazione, offrendo altresì per
il riscatto del Bambino un paio di tortore, l’offerta dei poveri (Lc 2, 22
sgg.). Fu presente all’incontro con il pio vecchio Simeone, da lui fu a benedetto”
insieme con Maria, e ne ascolto il fatidico presagio sul Figlio e sulla Madre (ibid.
2, 34 sgg.). Dopo questo fatto ritorno probabilmente a Nazareth, forse per sistemare
le sue cose (ibid. 2, 39). Dopo alcuni mesi è di nuovo a Betlemme,
al tempo della venuta dei Magi: quantunque il racconto evangelico (Mt 2, 1
sgg.) non faccia menzione di G., è fuori dubbio che egli fu presente all’adorazione
e ricevette nelle sue mani i doni di quei sapienti. Subito dopo, avvertito in sogno
dall’Angelo, dovette mettere in salvo il Bambino dalle insidie di Erode, riparando
in Egitto (ibid. 2, 13 sgg.), ove si trattenne con la S. Famiglia fino alla
morte del Re, probabilmente un anno. Avvertito nuovamente dall’Angelo, fece ritorno
nella terra d’Israele (ibid. 2, 19 sgg.). Questa volta pensava di stabilirsi
a Betlemme, ma, ammonito dall’Angelo, lascio la Giudea, che era governata da Archelao,
e torno a Nazareth, ove stabilmente dimoro con Gesù e con Maria (ibid.
2, 22 sgg.), vedendo crescere sotto i suoi occhi, in sapienza e grazia, il Figlio
di Dio (Lc 2, 40, 52), che era a lui sottomesso (ibid. 2, 51).

Del lungo e silenzioso periodo di Nazareth, che va fino agl’inizi della vita pubblica
di Gesù (una trentina di anni), è narrato da s. Luca un solo episodio:
il pellegrinaggio pasquale a Gerusalemme, quando Gesù ebbe raggiunta l’età
di 12 anni (Lc 2, 41 sgg.). Allo smarrimento del Fanciullo seguirono le angosciose
ricerche da parte di G. e di Maria, che lo ritrovarono il terzo giorno nel Tempio.
La sollecitudine paterna di G. risulta assai delicatamente dalle parole della Madre:
“Figlio, perché ci hai fatto questo? ecco tuo padre ed io addolorati
ti cercavamo” (ibid. 2, 48). Dopo questo fatto, la S. Famiglia ritorno
a Nazareth: il rimanente, fino all’inizio della vita pubblica è descritto
dall’Evangelista con la laconica frase: “erat subditus illis”, Gesù
era sottomesso a G. ed a Maria (ibid. 2, 51).

Si sa dai Vangeli che G. esercitava, ed insieme con lui Gesù, un mestiere
manuale: TEKTWN, che la Volgata traduce faber (Mt 13, 55, cf. Mc
6, 3). Quale fosse il mestiere specifico ( faber lignarius, o ferrarius,
o murarius
?), si è discusso fin dall’antichità, non potendosi
esattamente determinare dalla riportata parola generica. Più comunemente si
ritiene che fosse il mestiere di falegname o carpentiere, opinione che ha solido
appoggio nella tradizione: prescindendo dalla testimonianza dogli Apocrifi, già
nel sec. Il s. Giustino scriveva che Gesù con G. costruiva “aratri e
gioghi per buoi” (Dial., 88: PG 6, 888); anche le versioni siriaca,
copta ed etiopica spiegano in questo senso. Non si esclude tuttavia che, occasionalmente,
si esercitasse anche in qualcuno degli altri mestieri affini.

Da questi brevi cenni del Vangelo risalta in qualche modo anche la figura morale
del Santo: uomo religiosissimo, integerrimo, laborioso, obbediente, mite, teneramente
affezionato a Gesù e a Maria. Inoltre si trova in Mt 1, 19 un elogio
esplicito, che è un panegirico: “cum esset iustus”. Anche a volere
intendere la parola nel senso ristretto di fedele osservatore della legge, dal contesto
si rileva una giustizia che è accompagnata da molte altre virtù: prudenza,
carità, mitezza, pazienza, fede, obbedienza.

Nulla si sa dai Vangeli della morte di G. Questa avvenne con ogni probabilità
negli ultimi anni della vita nascosta di Gesù. Certo nella vita pubblica egli
è completamente assente, mentre più d’una volta si fa menzione della
Madre ed anche dei “fratelli”. Lo stesso titolo di “figlio di Maria”,
dato qualche volta dal popolo a Gesù (cf. Mc 6, 3), conferma in qualche
modo che la Madonna allora era vedova. Del resto la missione di s. G. era terminata
al momento in cui Gesù e la sua Madre non avevano più bisogno di un
uomo che li proteggesse nella vita e nell’onore. Come luogo della morte si pensa
naturalmente a Nazareth: in questa città ne colloca il sepolcro l’apocrifa
Storia di Giuseppe (cap. 27); così pure i tre Sinassari,
alessandrino (con la data della morte 20 luglio, tuttora conservata nella liturgia
greca), arabo-giacobitico (stessa data) ed etiopico (2 ag.). Nel 1106 l’abate Daniele
avrebbe veduto il detto sepolcro nel sotterraneo della chiesa dell’Annunciazione
in Nazareth. Nel 1901, qualcuno ha creduto di avere scoperto il sepolcro di G. in
altra parte, fuori della detta chiesa, a ca. 60 metri in direzione ovest verso la
collina. Ma tanto l’una che l’altra identificazione mancano d’ogni solido fondamento
(cf. U. Holzmeister [v. bibl.], p. 109).



II. NEGLI APOCRIFI. – La letteratura apocrifa ha sviluppato
intorno a s. G. molti motivi leggendari, non privi d’interesse per l’influsso che
hanno avuto nella tradizione e nell’arte. I principali Apocrifi che si occuparono
del Santo, sono: Protoevangelo di Giacomo (sec. Il) ; Pseudo-Tommaso
(probabilmente sec. III) Pseudo-Matteo (sec. V); De nativitate Mariae;
Evangelo arabico della Infanzia;
e particolarmente la Storia di G. falegname
(sec. IV O V; ed. C. Tischendorf, Evangelia apocrypha, Lipsia 1876,
pp. 122-39: versione latina dal testo arabo; sono pervenute anche le versioni copta
e armena). I primi cinque Apocrifi abbracciano il solo periodo dell’Infanzia di Gesù.
L’ultimo pretende di raccontare la storia di C,. per la bocca stessa di Gesù
in un colloquio con gli Apostoli, per la storia dell’infanzia segue per lo più
il Protoevangelo di Giacomo e i Vangeli canonici; ha di proprio le notizie
sugli ultimi giorni e la morte di G., ed è interessante per le idee sull’oltretomba.
Secondo questi racconti, G. si uni in matrimonio una prima volta, all’età
di 40 anni, con una donna per nome Melcha o Escha con la quale visse 49 anni; da
essa ebbe 4 figli, quelli che più tardi saranno chiamati “fratelli del
Signore” (qualche apocrifo aggiunge 2 figlie): il più piccolo sarebbe
Giacomo, presunto autore del Protoevangelo che ne porta il nome e testimone
dei fatti dell’Infanzia di Gesù. Rimasto vedovo all’età di 89 anni,
G. seguitava ad esercitare il suo mestiere di falegname in Betlemme sua patria, quando
fu ricercato dai sacerdoti per essere dato in sposo ad una fanciulla di 14 anni per
nome Maria. Ma, essendovi altri competitori, il sommo sacerdote affido la scelta
alla volontà divina, che si manifesto con il miracolo del bastone fiorito,
e, secondo lo Pseudo-Tommaso, con l’apparizione della colomba sul capo
di G. È noto l’influsso di quest’episodio, specialmente della verga fiorita
– del resto assai suggestivo per il suo simbolismo – nell’iconografia del Santo e
nell’arte cristiana: si ricordi il celebre quadro di Raffaello Lo Sposalizio (Milano,
Pinacoteca Brera). Dopo due anni segui l’Annunciazione; G. era assente. Quando torno,
nella sua sposa erano palesi i segni della maternità. Oltre il turbamento
del Santo gli Apocrifi riferiscono l’episodio della prova dell’acqua amara (cf. Num.
5
, 11 sgg.), dalla quale risulto l’innocenza di G. e di Maria. Seguono
gli altri episodi della nascita e infanzia di Gesù fino ai 12 anni (viaggio
a Betlemme, fuga in Egitto, ritorno a Nazareth, ecc.), che corrispondono nella sostanza
a quelli dei Vangeli canonici ma con frequenti chiose e amplificazioni, e con una
esuberanza del prodigioso che cade nel ridicolo. Alcuni particolari non solo sono
futili, ma poco riguardosi per G.: così, p. es., il ragionamento che gli si
mette in bocca all’arrivo a Betlemme (Protoev. di Giacomo, 17), a Nazareth
viene a trovarsi più d’una volta in imbarazzo per l’indole vivace del fanciullo
e per i suoi miracoli punitivi (Pseudo Tommaso, 3 sgg.).

Secondo l’apocrifa Storia, G. sarebbe morto all’età di 111 anni,
dopo aver trascorso una ventina di anni con Gesù a Nazareth. Negli ultimi
giorni l’infermo avrebbe sentito nausea del cibo e della bevanda, e sarebbe stato
in preda a forte turbamento, ma Gesù l’avrebbe consolato, pregando il Padre
a mandare gli arcangeli Michele e Gabriele: questi ne avrebbero ricevuta l’anima
alla uscita dal corpo, il quale, affidato alla custodia di due angeli, sarebbe rimasto
incorrotto “fino al convito di mille anni” (C. Tischendorf, op. cit.,
pp. 126-37).

Quel che maggiormente urta negli Apocrifi, oltre i frequenti episodi frivoli, è
l’asserita età decrepita di G. al tempo dello sposalizio con Maria. È
una leggenda che devesi rigettare, quantunque abbia fatto presa nella fantasia popolare,
fino ad oggi. Forse in un primo tempo poté sembrare utile espediente per dimostrare
ai semplici in maniera chiara la perpetua verginità della Madre di Dio. Ma
si rivela subito paradossale, ad un’ovvia considerazione, ch’è di stretta
convenienza teologica: non si sarebbe salvata la dignità e onorabilità
di Maria – dovendo restare un segreto la concezione verginale – se il suo sposo fosse
stato un vecchio decrepito di 90 anni; inoltre non poteva essere ritenuto padre di
Gesù un vecchio di tale età. Era dunque necessario che tra Maria e
G., all’atto del matrimonio, non ci fosse un incolmabile distacco di anni. Queste
ragioni, che dopo il Suarez vengono concordemente richiamate dai teologi, hanno anche
un solido appoggio nelle rappresentazioni più antiche (dei primi cinque secc.),
nelle quali, come già G. B. De Rossi ebbe il merito di rilevare (Bullettino
di archeologia cristiana
, 3 [1865], pp. 25-32), e dopo di lui R. Garrucci
(Storia dell’arte cristiana, Prato 1873-81, tavv. 179, 280, 365, 417,
447, ecc.) e G. Wilpert (Sarcofagi, tavv. 15, 20, 26, ecc.), il Santo
non è mai rappresentato in sembianza di vecchio, ma di giovane o di uomo maturo
nel pieno vigore degli anni, per lo più senza barba. Solo più tardi,
per l’influsso degli Apocrifi, si comincio a rappresentarlo con la barba e i capelli
bianchi ed in sembianze senili (cf. Wilpert, Mosaiken, pp. 754, 763,
770). Non è possibile tuttavia determinare esattamente l’età di G.
al tempo del matrimonio con Maria: doveva probabilmente oscillare sui 30-40 anni.
FÑ se mori poco prima dell’inizio della vita pubblica di Gesù, doveva avere
alla morte ca. 60-70 anni, tenuto conto che la vita nascosta di Nazareth duro ca.
32-34 anni.

Un altro punto sgradevole negli Apocrifi è il primo matrimonio e la conseguente
vedovanza di s. G.: ma su ciò v. più oltre.



III. NELLA TEOLOGIA. – Nell’epoca patristica, ed anche
nel medioevo, G. è stato lasciato quasi nell’ombra. Invano si cerca in tutta
la patrologia greca o latina una sola omelia o discorso sul Santo. Ne parlano con
grande riverenza il Crisostomo e l’autore dell’Opus imperfectum, ma
incidentalmente, nei commenti a Mt 1, 18 sgg. Altri Padri non mancano di accennare
al Santo quando si occupano della genealogia di Cristo. Frequenti accenni o riferimenti
si hanno negli scritti di s. Agostino (specialmente nelle questioni sulla genealogia,
il Matrimonio, la Verginità). Parlano di s. G. con molta ammirazione s. Pietro
Crisologo, s. Efrem e s. Beda, ma sono semplici frasi; notissimo il detto di s. Efrem:
a Nessuno può degnamente lodare s. G.” (Op. Syriaca, 3,
600; cf. Eph. Theol. Lovan., 5 [1928], pp. 221-24). S. Bernardo, nella
celebre omelia Super missus est, tesse un bel panegirico, per quanto
succinto, di s. G. (PL 183, 60).

Anche nei grandi scolastici c’è molto poco su s. G. Per le prime omelie si
deve scendere al sec. XV, che segna un gran progresso nella dottrina e nel culto
di s. G.: si trovano 15 estese omelie, che si devono al card. Pietro d’Ailly (m.
nel 1420), a G. Gersone (m. nel 1429) ed a s. Bernardino da Siena (m. nel 1444).
Nel sec. XVI emerge la Summa de donis s. Ioseph del domenicano Isidoro Isolani
(v.), pubblicata a Pavia nel 1522 e più volte ristampata fino al 1887 (sullo
sviluppo della dottrina e del culto fino al Concilio di Trento informa egregiamente
l’opera di J. Seitz [v. bibl.]). Dopo il Tridentino, con gli sviluppi del trattato
De Verbo Incarnato e della mariologia, e con il progredire del culto per s.
G., la teologia ferma sempre di più la sua attenzione sul Santo, indagandone
e illustrandone le prerogative alla luce dei dati evangelici e dei principi teologici;
anche negli esegeti, e soprattutto nei predicatori e scrittori ascetici, l’interesse
per s. G. è in continuo crescendo (ampia bibl. in A. H. Lépicier, [v.
bibl.] pp. 363-73). Tra le trattazioni teologiche sono da segnalare: P. Morales,
In cap. I Matth., de Christo, S.ma Virgine… veroque eius Sponso,
2 voll., Parigi 1869; una dissertazione storico-scritturistica De s. Ioseph
pubblicata dai Serviti nel 1750 ad Augusta; V. Sedlmayr, Dissertationes de
s. Ioseph
(17 artt., nella sua Theol. Mariana, II, Monaco 1758,
pp. 420-57); A. Calmet, Dissert. de s. Ioseph (Opera, VII, Venezia
1774), G. M. Schenck, De s. Ioseph, Augusta 1850; P. V. Mercier, St
Ioseph d’après l’Ecriture et la tradition
, Parigi 1895; C. H. Jamar,
Theologia s. Ioseph, Lovanio 1897; G. Sinibaldi (v. bibl.); A. H. Lépicier
(v. bibl.). Importante per la dottrina è pure l’opera di G. C. Trombelli,
Vita e culto di s. G., Bologna 1767. Da ricordare anche i due celebri panegirici
di B. Bossuet (Opere, I, Liegi 1862, p. 557 sgg.), ricchi di
dottrina, e le elevazioni di s. Francesco di Sales, Sur les vertues de st Joseph
(Opere, III, Parigi 1862). Tra i grandi teologi, si occupa di s.
G. il Suarez nelle Disput. VII e VIII del commento alla parte III della
Summa. Anche le monografie sul culto del Santo contengono buone considerazioni
d’ordine teologico. Sempre più frequenti, nelle riviste teologiche o bibliche,
sono gli articoli sulle prerogative del Santo, specialmente sulla sua “paternità”,
e su altre particolari questioni.

I punti che più interessano la teologia sono la missione e la santità
di s. G. La missione è definita essenzialmente nella sua posizione di capo
della S. Famiglia, particolarmente di sposo di Maria Vergine e “padre N di
Gesù: ne conseguono speciali rapporti al mistero dell’Incarnazione. Prolungamento
della sua missione è il patrocinio sulla Chiesa universale.



I. Sposo di Maria.L’appellativo è contenuto esplicitamente
nei Vangeli: vir Mariae (Mt 1, 16. 19; cf. Lc 2, 4): esso è
il fondamento di tutta la grandezza di s. G. La verità di questo matrimonio
è chiaramente attestata nel Vangelo, che chiama G. “marito di Maria”
(Mt 1, 19: ANER) e Maria “consorte di G.” (ibid. 1, 20-24;
cf. Lc 1, 27; 2, 5). G. e Maria, già fidanzati al tempo dell’Annunciazione,
inaugurano poi la coabitazione (Mt 1,24) e la continuano per sempre (fidanzamento
e adduzione della sposa nella casa dello sposo: i due atti costitutivi del matrimonio,
ai pieni effetti, nel costume ebraico): erano dunque veri coniugi. Su questa verità
non sarebbe stato mai sollevato alcun dubbio, se non fosse stato per l’indole verginale
dello stesso matrimonio. Esso difatti era ordinato da Dio, e come tale accettato
dai due coniugi, per la salvaguardia e l’onore della verginità e divina maternità
di Maria: quindi l’uso del coniugio vi era escluso. Per questo motivo già
alcuni Padri usarono alle volte delle espressioni che potrebbero fare difficoltà:
così, p. es., s. Massimo di Torino: “G. fu sempre sposo di Maria, ma
non marito” (PL 57, 639); così pure s. Girolamo, s. Ilario, s. Ambrogio,
s. Gregorio Magno, s. Bernardo.

Ma le loro parole si possono facilmente intendere nel giusto senso, in quanto essi
avevano principalmente in vista la perpetua verginità di Maria, e perciò,
invece dei termini “marito” “moglie”, “nozze” (che
ordinariamente fanno pensare all’uso del matrimonio), usavano di preferenza quelli
più generici e pur veri di “sposo”, “sposa”, “sposalizio”.
Tra gli espliciti negatori, nella antichità, è il pelagiano Giuliano
di Eclano, refutato da s. Agostino (PL 42, 8io sgg.), e nel medioevo Graziano, la
cui erronea opinione diede occasione agli scolastici di chiarire la distinzione tra
il consenso degli sposi nel ius ad corpora, che costituisce il contratto
matrimoniale, e l’uso del medesimo diritto, che non è dell’essenza, potendo
i coniugi rinunziarvi, per una ragione o per un’altra, per un certo tempo o in perpetuo
(Pietro Lombardo Lib. Sent., IV, dist. 30, 2 sg.; s. Tommaso,
Sum. Theol., III, q. 29, a. 2; cf. J. Seitz [v. bibl.], pp. i34-49).

Sul carattere verginale del matrimonio di G. con Maria, non può esservi dubbio,
essendo verità di fede la perpetua verginità di Maria ante partum,
e post partum; le difficoltà bibliche in contrario, ancora
tenacemente ripetute da protestanti e critici razionalisti (Mt 1, 16.25;
Lc 2, 7; i “fratelli di Gesù”: le genealogie del Salvatore,
ecc.) sono vittoriosamente risolte dall’esegesi cattolica (U. Holzmeister [v. bibl.],
pp. 34-54). Pertanto non solo devesi ammettere un voto o proposito di verginità
in Maria (come bene si deduce da Lc 1,34), ma anche l’accettazione da parte
di s. G. Ne segue che, almeno dopo il matrimonio con Maria, G. visse in perfetta
castità. Invece per il periodo antecedente le opinioni sono discordanti. La
relazione dogli Apocrifi di un precedente matrimonio di G. ebbe largo credito nella
tradizione orientale, i cui scrittori volentieri accolsero tale notizia per una più
facile soluzione della difficoltà biblica dei “fratelli del Signore”:
questi sarebbero figli di G., avuti da un precedente matrimonio. L’opinione entrò
e si trova tuttora nei libri liturgici orientali, specialmente greci. Invece i Latini,
fatte poche eccezioni (s. Ilario, Gregorio di Tours, l’Ambrosiastro), intesero concordemente
i “fratelli del Signore” nel senso improprio di “cugini”, dietro
l’autorevole informazione di Egesippo (verso il 180 d. C., presso Eusebio: PG 20,
380); perciò respinsero in blocco il leggendario racconto degli Apocrifi sul
primo matrimonio di G. Oggi la tesi della perpetua verginità di G., validamente
difesa da s. Girolamo (Adv. Helvidium i9: PL 23, 203) e poi da molti altri
Padri e scrittori latini, illustrata da s. Tommaso con buone ragioni teologiche (In
Mt
12, 46; In Gal. 1,19; cf. Verbum Domini, 24 [1944], pp.
97-99), riscuote il comune consenso dei teologi, che la ritengono certa.

Sebbene verginale, e del tutto singolare e senza esempio, il matrimonio di G. con
Maria non mancò di nessuno dei suoi beni essenziali: l’amore coniugale più
perfetto, la fedeltà più assoluta, ed anche la prole: la quale, sebbene
concepita verginalmente da Maria, senza che il suo sposo vi avesse parte, ben può
dirsi il frutto di quel matrimonio verginale, che a quella prole fu essenzialmente
ordinato.



2. Padre di Gesù.Non soltanto la Madonna ha dato a
s. G. l’appellativo di “padre di Gesù” (Lc 2, 48), ciò
che potrebbe spiegarsi per una delicata deferenza, ma lo stesso evangelista Luca
(2, 33), il quale inoltre chiama i due santi coniugi insieme “genitori di Gesù
N (2, 27. 41-43). È chiaro che, per la concezione verginale di Cristo,
è assolutamente esclusa per s. G. una paternità vera e propria, cioè
naturale. Gli Evangelisti escludono in modo evidente ogni parte diretta dello Sposo
di Maria nella generazione di Cristo (cf. Mt 1, 18-25; Lc 1, 26-38).
In particolare Luca si prende cura di annotare che Gesù era “reputato”
figlio di G.: “ut putabatur” (Lc 3, 21); dunque propriamente non
lo era. Ma, esclusa la paternità vera e propria, naturale, devesi riconoscere
a s. G. una paternità che non è fittizia, fondata cioè su un
mero titolo colorato (come potrebbe far pensare a prima vista il citato testo di
Luca). Essa poggia su un reale fondamento, e questo è il matrimonio
con Maria, in quanto ordinato da Dio per quella prole: una paternità impropriamente
detta, ma reale. L’Angelo, ingiungendo al Santo di imporre il nome al Bambino (Mt
1, 21), confermò l’ufficio e i diritti di questa paternità, che
fu costantemente esercitata da G. e riconosciuta da Gesù.

A designare questa singolare paternità sono stati proposti vari titoli: padre
“putativo”, padre “nutrizio”, padre “adottivo”, padre
a legale”, padre “vergine”. Nessuno di essi sembra specificamente
appropriato, tale cioè da definire propriamente il carattere di questa paternità
sotto tutti i suoi aspetti. Il titolo più comunemente usato, Padre “putativo”,
si fonda sul testo di Lc 3, 21, ma è semplicemente negativo, esclude
cioè i rapporti di paternità naturale, e non dice altro. Non sembra
sufficiente l’altro di Padre “nutrizio”. G. fu più che semplice
custode o nutrizio di Gesù, ciò che pure è per lui un titolo
di gloria. Senza dubbio egli ebbe da Dio per Gesù un cuore di padre, come
si esprime Bossuet, ed il suo affetto per la prole divina fu di molto superiore a
quello degli altri padri per i figli da loro generati: ma l’affetto e le cure paterne
possono aversi anche per una persona estranea, quale certamente non era Gesù
per s. G. Meno felice è il titolo di Padre “adottivo”: a parte il
controsenso che una creatura possa adottare in figlio il Creatore, sta il fatto che
l’adozione è un atto positivo, accessorio, con il quale si accoglie come figlio
nella propria famiglia un estraneo. Ora né Gesù era persona estranea
alla famiglia, della quale era capo s. G., né da parte di questo occorreva
un positivo atto giuridico per fondare i suoi rapporti di paternità verso
Gesù: questa era antecedente e nativa, poiché Gesù fin dalla
nascita era “figlio” di s. G. L’altro titolo di Padre “legale”
è verissimo: ma ha l’inconveniente di avere, per lo più, un senso prettamente
giuridico. Tuttavia, se inteso nel suo primario e fondamentale senso, e con particolare
riguardo al caso concreto, è abbastanza bene appropriato. La paternità
“legale”, in genere, è quella che sortisce le sue attribuzioni da
un prescritto di legge, e si presenta sotto vari aspetti e denominazioni. Anche la
paternità “adottiva”, come quella del tutore, è una paternità
legale, parimenti la paternità del marito rispetto ai figli della propria
moglie avuti da altro talamo. Ma la primaria paternità legale si fonda, per
esplicito riconoscimento della legge, nelle legittime nozze e si traduce nel noto
aforisma consacrato in tutte le legislazioni: “pater is est, quem iustae nuptiae
demonstrant” (cf. CIC, can. 1115). Il primo effetto che ne consegue, oltre i
diritti del padre, è che la prole è legittima: cioè, fino a
prova contraria, ha il padre che le è giustamente riconosciuto dalla legge:
del quale perciò eredita il nome e i beni. Tutto ciò è importante
nel caso di s. G. Egli è lo sposo legittimo di Maria: in questo matrimonio
nasce un figlio. Esclusa assolutamente ogni ombra di disonestà ma dovendo
restare il velo del mistero sul modo della sua concezione verginale, questa prole
deve avere un padre agli effetti primari della legge. Questi è G.: la sua
paternità conferisce a Gesù l’onore della legittimità. E qualche
cosa di più: il primo e fondamentale titolo messianico, quello di “figlio
di David” Se gli altri titoli messianici poterono venire in discussione, nessun
dubbio era ammissibile per questo inderogabile titolo. Da chi lo sortiva Gesù?
Non dalla Madre, sebbene effettivamente e realmente per lei egli fosse discendente
di David secondo la carne (cf. Lc 1, 27. 69; Rom 1, 3): poiché
giuridicamente, quindi agli effetti del riconoscimento messianico, le attribuzioni
della madre non avevano valore per il figlio. Gesù sortiva il titolo messianico
dal “padre”. E quando l’Angelo fece conoscere a G. la sua missione paterna
verso il Messia, sottolineò intenzionalmente questo titolo “Ioseph, fili
David” (Mt 1, 20). Per tale motivo la paternità di G. s’innalza
di molto: non è soltanto una paternità “legittima”, ma, in
un certo senso, “messianica”. Egli era il necessario veicolo per la trasmissione
del titolo messianico di “Figlio di David” a Gesù. Questa paternità
trascende di molto quella legale comunemente detta, che importa un semplice rapporto
giuridico. Il suo fondamento, del tutto singolare, è la preordinazione divina
del matrimonio con Maria alla nascita e protezione del Verbo Incarnato, con una reale
cooperazione, sebbene indiretta e morale, da parte di s. G. Egli però non
potrà dirsi padre di Gesù nel senso ovvio e proprio della parola, come
qualche volta è stato suggerito, anche da qualche cattolico, per cui è
dogma inconcusso la concezione verginale. Può sembrare una questione di parole;
ma in materia dogmatica conviene evitare espressioni e termini che si prestano facilmente
all’equivoco. Per quanto sublime questa paternità e superiore per eccellenza
e dignità a quella dei comuni genitori, resta sempre nell’ambito delle paternità
impropriamente dette: la paternità nel senso pieno e proprio della parola
è una sola: quella fondata sulla generazione (cf. R. Garrigou-Lagrange, in
Angelicum, 22 [1945], p. 109 sgg.). Alcuni infelici tentativi, non
bene conciliabili con il dogma, hanno avuto la debita censura (cf. Monitore eccl.
II serie, 19 [1907], p. 361, per l’opinione di G. Corbato, che propugnava una
reale e propria paternità di s. G., Divus Thomas [Piacenza], 5 [1928],
p. 41 sgg.: R. Petrone parlava di una cooperazione positiva istrumentale di s. G.
alla concezione verginale; l’articolo fu riprovato dal S. Uffizio; cf. ibid.,
p.
361).

Recentemente è stato proposto, come più appropriato, il titolo di “padre
vergine” (J. Renard; G. Breynat, per il quale è questo il solo titolo
specifico appropriato, J. Muller, U. Holzmeister, c’è anche una giaculatoria
indulgenziata da Pio X nel 1906). Ciò è accettabile nel senso che s.
G. è parte, insieme con Maria, di quel matrimonio verginale nel quale prodigiosamente
nacque la prole divina. Ma non sembra il titolo più appropriato: la sua improprietà
risalta al confronto con l’analogo titolo: “Madre vergine di Gesù”.
In conclusione si deve dire con L. Billot (De Verbo Incarn., Roma 1927,
p. 400) che non c’è nel nostro vocabolario un titolo proprio e specifico per
la singolare paternità di s. G. Pertanto si potrà usare l’uno o l’altro
dei tanti che la tradizione o la pietà cristiana hanno tramandati. Conviene
ritenere, senza escludere gli altri, il titolo più comune di “padre putativo”,
per quanto negativo e inadeguato: la sua stessa indeterminatezza lo fa preferire,
poiché, mentre nega la relazione di paternità naturale, non esclude
nessuna delle reali attribuzioni che competono a questa singolare paternità.



3. Rapporti di s. G. con il mistero dell’Incarnazione.Per
l’intrinseca preordinazione del matrimonio verginale con Maria alla nascita e protezione
del Figlio di Dio, G. fu cooperatore del mistero delI’Incarnazione. Ma, a differenza
della sua Sposa, che cooperò direttamente e fisicamente, fornendo al Verbo
l’umana carne dalla sua sostanza, G. cooperò solo indirettamente e moralmente,
in quanto cioè, con il suo consenso a quel matrimonio e con la sua posizione
nella S. Famiglia, realizzò la condizione indispensabile per la dignità
ed il decoro della concezione verginale e per il suo provvidenziale occultamento
fino al tempo prefisso da Dio. In questo senso, come ritengono molti teologi (Suarez,
Gotti, Lépicier, J. Müller, G. Sinibaldi, R. Garrigou-Lagrange), la missione
di s. G. è di ordine “terminativamente ipostatico” Inoltre egli
coopero, remotamente, alla Redenzione, proteggendo e nutrendo il Figlio di Dio, e
condividendo con lui per tanti anni le sofferenze e le fatiche, preludio al sacrificio
della Croce.



4. Grandezza e santità di s. G.Per la sua qualità
di vero Sposo della Madre di Dio, per la sua “paternità” verso Gesù
e per i suoi rapporti al mistero dell’Incarnazione, s. G. assurge ad una dignità
che non ha l’eguale dopo quella della Madre di Dio. “S. G. fu lo Sposo di Maria,
il padre putativo di Gesù; di qui deriva la sua dignità, la sua grandezza,
la sua santità, la sua gloria” (Leone XIII, encicl. Quamquam pluries,
15 ag. 1899). La sua missione sorpassa ogni ministero angelico ed ogni altra
missione, anche eccelsa, che possa essere affidata agli uomini, come quella del Precursore,
degli Apostoli, dei sommi pontefici, dei sacerdoti. Leone XIII, premesso che non
vi può essere una più alta dignità di quella della Madre di
Dio, soggiunge che a quella grandezza s. G. accede più che qualsiasi altra
creatura: “Ad illam praestantissimam dignitatem… non est dubium quin accesserit
ipse, ut nemo magis” (ibid.). Né si oppone l’elogio di
Cristo al Precursore (Mt Il, II; Lc 7, 28): ivi il confronto non è
tra Giovanni e tutti i santi in genere, ma tra lui e i profeti del Vecchio Testamento;
o, meglio, l’elogio al Precursore è inteso nell’ambito del Vecchio Testamento.


Ora, ammesso il principio che quando Dio chiama una creatura ad una speciale missione,
suole accordarle tutti quei doni di grazia che ad essa sono proporzionati (Sum.
Theol.
, III, q. 27, a. 4), è logico attribuire a s. G. una tale
abbondanza di grazia e un tale grado di santità, che lo collochi al disopra
di ogni altro santo, dopo la Vergine. Si aggiunga che la sua vita d’intimità
con Gesù per ca. 30 anni lo pose in condizione di privilegio per l’esercizio
delle più sublimi virtù. La preminenza di s. G., in dignità
e santità, sugli altri santi ha avuto validi sostenitori, dal Gersone e da
s. Bernardino da Siena a s. Teresa, s. Francesco di Sales, s. Alfonso, ed oggi trova
consenzienti quasi tutti i teologi, sebbene non si accordino su alcune questioni
particolari, per altro secondarie, come la presunta santificazione nel seno materno
(ammessa da Gersone, Bernardino de Bustis, Morales, s. Alfonso, negata da altri),
l’impeccabilità (sostenuta dal Lépicier, negata dai più). Alcuni,
fondandosi su Mt 27, Sa hanno anche pensato ad un’anticipata risurrezione
e glorificazione. corporea del Santo (Gersone, s. Bernardino da Siena, Suarez, s.
Francesco di Sales, Trombelli, Vives y Tuto; più risolutamente Lépicier):
ma è una pia opinione, che non trova sostegno nella tradizione e neppure nel
testo biblico citato, nel quale, secondo la migliore interpretazione, si tratta di
una risurrezione transitoria non perenne, di alcuni giusti al tempo della morte di
Cristo.



5. Patrocinio di s. G. – La proclamazione di s. G. a Patrono della
Chiesa universale, fatta da Pio IX l’8 dic. 1870 (decreto S. R. C. Quemadmodum
Deus
) è il solenne riconoscimento della sua singolare grandezza
e santità, come anche della sua gloria e potenza in cielo. Per tal modo il
Santo continua nella Chiesa il suo alto ufficio di capo della S. Famiglia, e prosegue
nel Corpo Mistico di Cristo quella missione che svolse, insieme con Maria, intorno
alla persona del Salvatore. Per la sua universalità questo patrocinio ha delle
analogie con la maternità spirituale di Maria e la sua universale mediazione
nella distribuzione delle grazie. Per questa esaltazione s. G. viene anche additato
come sublime modello di virtù a tutti gli uomini, d’ogni paese e d’ogni condizione
(cf. encicl. Quamquam pluries, di Leone XIII).





Bibl.: Acta SS. Martii, III. Anversa 1678, pp. 1-25: V. Ermoni,
Ioseph, in DB, III, coll. 1670-74: J. Vives y Tuto, Summa Iosephina,
Roma 1907: G. D. Corbató, El immaculado s. José, Valencia
1907 (libro proibito dal S. Uffizio, 23 febbr.. 1907, AAS, 41 [1908], n. 43); J.
Seitz, Die Verehrung des hl. Joseph in ihrer geschichtlichen Entwicklung bis zum
Konzil von Trient
, Friburgo in Br. 1908; J. Renard, St Joseph et l’enfance
de Marie et de Jésus
Tours 1920, Ch. Sauvé, St Joseph intime,
Parigi 1920; A. Michel, s. v. in DThC, VIII, coll. 1510-21, G. Sinibaldi, La
grandezza di s.
G., Roma 1927: L. E. card. Dubois, St Joseph, VII
ed., Parigi 1929; A. Vitti, s. v. in Enc. Ital., XVII, coll. 374-75:
A. H. Lépicier, Tractatus de s. Ioseph, III ed., Roma 1933;
D. Buzy, St Joseph (Cahiers de la Vierge, 19), Parigi
1936; E. Campana, Maria nel dogma cattolico, IV ed., Torino 1936 nn.
1021-44: J. Müller, Der hl. Joseph, Innsbruck 1937; U. Holzmeister,
De s. Ioseph quaestiones biblicae, Roma 1945; G. Roschini, La Vita
di Maria
, ivi 1945, pp. 92-107, 164-79, 237-39.



Biografie d’indole popolare: s. Giovanni Bosco, S. G., VII ed., Torino 1911;
M. Meschler, Der hl. Joseph, III ed., Friburgo in Br. 1910 (vers. it.
Roma 1910),: J. J. Ouwendjk, Josef Vater van Jesus, Utrecht 1940; M.
G. Dore, G. di Nazareth, Brescia 1943. Vedere inoltre i commentari
biblici in Mt 1-2; Lc 1-2: 3, 21 sgg. (Knabenbauer, Fillion, Lagrange
ecc.), come pure le monografie e dissertazioni sull’infanzia, le genealogie, i “Fratelli”
di Gesù, ecc., e i trattati mariologici nelle questioni sull’Annunciazione
e sul matrimonio di Maria con s. G.



Questioni particolari: Fr. Patritius, De prima Angeli legatione ad Iosephum
commentatio
, Roma 1876; O. Bardenhewer, Mariä Verkündigung
(Bibl. Studien, l o, V), Friburgo in Br. 1905 (per
il matrimonio di s. G. cf. pp. 120-53): O. Michael, Dogmatische Abhandlung über
die Josephs-Ehe
, in Theol. prakt. Quartalschr., 60 (1907),
nn. 319-52: H. Rett, Die Josephs-Ehe in ihrem Original u. ihrer Nachahmung,
in Zeitschr. f. kath. Theol., 32 (1908), po. 590-96: E. F. Sutcliffe,
S. Ioseth faber lignarius, in Verb. Dom., 5 (1925),
pp. 74-79; id., Iesus Christus s. Iosephi in labore socius, ibid,
pp. 104-109; I. M. Bover, De cultu s. Ioseph amplificando, Barcellona
1926; R. Petrone, La paternità divina di s. G., in Divus
Thomas
, 31 (1928), pp. 29-49 (articolo censurato dal S. Uffizio, cf. La
scuola catt.
, 1928, p. 202 sg.); M.-J. Vosté, De Conceptione
virginali Christi
, Roma 1933: G. Breynat, Paternité de st Joseph:
Joseph père vierge de Jésus
, in Rev. univ. d’Ottawa,
6 (1936), pp. 73-80: 8 (1938), pp. 81-III: G. M. Perrella, B. M. V., cum caelestem
accepit nuntium, sancto Ioseph sponsalibus solo non vero nuptiis iuncta erat
,
in Divus Thomas, 35 (Piacenza 1932), pp. 378-98, 519-31; U. Holzmeister,
Cur Ioseph iter bethleemiticum susceperit…, in Verb. Dom.,
22 (1942), pp. 263-70; id., St Joseph père vierge de Jésus,
Montréal 1944; R. Garrigou- Lagrange, De paternitate s. Ioseph,
in Angelicum, 22 (1945), pp. 105-15 P. De Ambroggi, Paternità
verginale di s. G.?
,in La scuola catt., 1946, pp. 125-31; D. Frangipane,
Utrum B. V. Maria salutata iam in domo Ioseph ut coniux fuerit, inVerb.
Dom.
, 27 (1947), pp. 99-111: U. Holzmeister, De nuptiis s. Ioseph,
ibid
, pp. 145-49.

Gaetano
Stano



IV. NELLA LITURGIA.- Il culto pubblico e liturgico
di s. G. è relativamente recente, mentre la devozione e la venerazione verso
di lui è antichissima. La Chiesa orientale precede in questo culto quella
occidentale. In Occidente, dal sec. IX, il culto era locale e privato; solo dal XV
diviene pubblico e liturgico.

Nell’Oriente, la prima traccia si trova in Egitto. L’apocrifa Storia di G. il
falegname
del sec. IV (tradotta dal greco in copto-bohajrico, saëidico ed arabo
(cf. Evangiles apocryphes, I [Textes et documents, ed. da H.
Hemmer e P. Lejy], a cura di P. Peeters, II ed., Parigi 1924, pp. 231-232) nota,
nel cap. 26, il 20 giugno come giorno commemorativo, cosi anche nei calendari copti
(Acta SS. Martii, III, Parigi 1865, p. 7, n. 11; V. A. Mai, Script.
vet. nova coll.
, IV, Roma 1828, p. 15 sgg.). In seguito le fonti tacciono
fino al sec. X. Il Menologio di Basilio II (976-1025) celebra s. G. il 25
dic. insieme con i tre magi (Acta SS. Martii, III, Parigi 1865, p.
6), mentre altri sinassari e calendari lo commemorano il 26 dic. o la domenica prima
o dopo il Natale, sempre con altri santi (David ecc.), connessi con la nascita di
Gesù (Synaxarium eccl. Constantinopol., Propyl. ad Acta SS. Novembris,
Bruxelles I902, pp. x, 344).

Nell’Occidente, i martirologi locali abbreviati del sec. IX, p. es., di Reichenau
(827-42), di Rheims e Treviri, annotano il nome di s. G. al 19 marzo (Martirologio
geronimiano
, ed. diplomatica G. B. De Rossi e L. Duchesne; Acta SS.
Novembris
, II, Bruxelles 1894, Prolegom. XXXIV, nn. 31-34, XXXVII, n.
38, e Martyr. Hieronymianum, p. 152); lo stesso nei martirologi dei
secoli posteriori (Stablo, Verdun, Mantova: PL 138 1195, 1205-1259, Verona, Bibl.
Capit., cod. 87, vol. I; B. Mehler, Der hl. Wolfgang, Bischof von Regensburg,
Ratisbona 1894, p. 163; A. Ebner, Das Sakramentar des hl. Wolfgang in Verona
p.
173). Le Crociate furono in seguito favorevoli alla propagazione del culto
di s. G. A Nazareth, i Crociati eressero una basilica in suo onore; altre chiese
sorsero a Bologna (1129), ad Alcester in Inghilterra (1140); nella Francia la chiesa
di S. Lorenzo a Joinville divenne un centro della venerazione di s. G. (1254). Il
suo culto si diffuse per opera di grandi santi e teologi, quali Ruperto di Deutz
(m. nel 1133), s. Bernardo di Chiaravalle (m. nel 1153); e specialmente nei secc.
XIV e XV, con s. Brigida di Svezia (m. nel I375), nella Spagna con s. Vincenzo Ferreri
(m. nel 1419), nella Francia con il card. Pietro d’Ailly (m. nel 1425) e con il celebre
cancelliere Giovanni Gerson (m. nel 14″9), nell’Italia con s. Bernardino da
Siena (m. nel 1444), Bernardino da Feltre (m. nel 1429), p. Bernardino de Bustis
(m. nel 1500), e finalmente nella Spagna con s. Teresa di Gesù (m. nel 1582).
A questi tempi, i vari Ordini religiosi inserirono la festa di s. G. nei loro calendari:
i Carmelitani, i Serviti (1324), i Francescani (1399); seguirono i Domenicani e i
Premostratensi, mentre la festa manca nei Certosini, Cistercensi, Cluniacensi. Tutto
questo era tuttavia sempre un culto privato. Ma sotto Sisto IV (1471-84), la festa
di s. G. viene inserita nel Breviario romano, stampato nel 1479 a Venezia,
come festa di rito semplice, salita nel 1482 a rito doppio con 9 lezioni; il Breviario
del 1499 contiene un Ufficio proprio. Lentamente, la festa di s. G. fu accettata
in tutta la Chiesa, specialmente in conseguenza della Riforma tridentina. Nel 162I
(con il decreto dell’8 maggio) Gregorio XV la fece festa di precetto. Clemente X
(1670-76) la porto al rito doppio di II classe, e Clemente XI (1700-21) ne ordino
(3 febbr. 17I4) un nuovo Ufficio, quello attualmente in uso; i tre inni Te Ioseph,
Caelitum Ioseph
, Iste quem laeti, furono composti da Juan Escalar,
carmelitano spagnolo. Poi, assieme con la proclamazione di s. G. patrono della Chiesa
universale, la festa del 19 marzo fu innalzata a doppio di la classe da Pio IX (1870),
ed il CIC (can. 1247) l’enumera fra le feste di precetto.

Nel sec. XVII una nuova festa si propagò, quella del patrocinio di s. G. Già
molti Ordini religiosi e molte confraternite, p. es., dei falegnami, elessero s.
G. a patrono speciale, ai Carmelitani d’Italia e di Spagna nel I680 fu concessa la
festa del patrocinio di s. G. alla III domenica dopo Pasqua; seguirono gli Agostiniani.
Nel 1721, presso i Domenicani, la festa è già dotata di una ottava.
Principi, imperatori, re dichiararono s. G. patrono dei loro territori: Luigi XIV
per la Francia, Ferdinando III e Leopoldo I per la Boemia (1655) e per l’Austria
(1675), Carlo II (1665-l700) per la Spagna ed il Belgio; lo stesso fecero i vescovi-principi
per le loro diocesi o territori.

Di speciale importanza era il culto di s. G. per le Missioni Estere, p. es. per il
Canadà (Urbano VIII 1637; cf. E.-L. Couanier de Launay, Histoire des religieuses
Hospitalières de St-Joseph
, I, Parigi 1887, pp. 218-20)
s. G. era il patrono territoriale e la sua festa era la festa nazionale; così
per il Paraguay, per Madura, per le Isole Marianne, per la Cina. Il sec. XVII fu
un secolo del culto speciale a s. G.; Pio VII concesse la festa del patrocinio al
clero romano nel 1809; Pio IX corono tutto questo culto, estendendo (10 sett. 1847)
la festa del patrocinio di s. G. a tutta la Chiesa (8 dic. I870) e dichiarando s.
G. “patrono della Chiesa universale”. Pio X (28 ott. 1913) fissò
al mercoledì della II domenica dopo Pasqua, invece della domenica stessa,
la data della festa del patrocinio, con ottava, avendo sostituito già 24 luglio
1911) la parola “patrocinio” con quella “solennità di s. G.
sposo della Beata V. M., confessore, patrono della Chiesa universale”.

Una terza festa in onore di s. G. è la festa dello Sposalizio della Beata
Vergine e di s. G., ricordata a Chartres al principio del sec. XV, raccomandata da
Gerson, adottata e diffusa il 7 marzo dai Frati Minori e dai Domenicani al 22 genn.,
sotto Paolo III (1537), per il 23 genn. ex indulto di Benedetto XIII (22 ag.
1725 cf. G. Mercati, Per la storia della festa dello sposalizio, in
Rassegna gregoriana, 5 [1906], pp. 253-58).

Poi Benedetto XIII (19 dic. 1726) inserì il nome di s. G. nelle litanie dei
Santi; sotto Pio VII (17 sett. 1815) nell’orazione A cunctis fu aggiunto il
nome di s. G. Pio X arricchì le litanie di s. G. con le indulgenze (18 marzo
1909), Benedetto XV (9 apr. 1919) l’onoro con un praefatio proprio (AAS, II
[1913], p. 191), e aggiunse, il 23 febbr. 1921, la sua invocazione al Dio sia
benedetto
, in occasione del 50° anniversario della sua proclamazione
a patrono della Chiesa (ibid., 13 [1921], p. 158).



Bibl.: O. Pfülf, Die Verehrung des hl. Joseph in der Geschichte,
in Stimmen aus Maria Laach. 38 (1890), PP. 137-61, 282-302; C. A.,
Le développement historique du culte de st Joseph
, in Rev. bénédictine,
14 (1897), pp. 104-14, 145-55, 203-209; B. Plaine, De cultu s. Joseph patroni
Ecclesiae catholicae
, in Studien und Mitteil. aus d. Benedect. und
Cisterc. Orden
, 19 (1898). pp. 569-585; M. Righetti, Manuale di storia
liturgica
, II, Milano 1946, pp. 298-300. Pietro Siffrin



V. NELLA ICONOGRAFIA. – S. G. è effigiato
nell’arco trionfale di S. Maria Maggiore in aspetto virile, barbato, in tunica e
pallio: l’angelo è in atto di rassicurarlo secondo il testo di S. Matteo (1,
19-22, Wilpert, Mosaiken, tav. 55); torna nella scena della presentazione
al Tempio (id. op. cit., tavv. 57-60), poi nell’episodio dell’incontro
coi re Afrodisio (id., op. cit., tavv. 66-68). Nella cattedra eburnea
di Massimiano, a Ravenna, s. G. figura sempre in tunica e pallio, sia nella prova
delle acque amare, come nel sogno, nell’andata a Bethleem, nell’adorazione dei Magi,
era pure effigiato nel sacello Vaticano di Giovanni VII (705-707) nella Natività,
nell’adorazione dei Magi, nella presentazione al Tempio. In Oriente s. G. figura
seguito dai suoi servi nella rappresentazione del censimento di Quirino nei mosaici
di Kahrié-djami in Costantinopoli (monastero di Chora; sec. XIV); negli affreschi
di Mistra Peribleptos (sec. XIV), s. G. riceve dal S. Sacerdote il bastone fiorito.
Nelle colonne del ciborio di S. Marco figura quale vegliardo protettore della Vergine,
stringendo la verga fiorita. Di particolare interesse sono le rappresentazioni di
s. G. in Giotto a Padova, Taddeo Gaddi nella cappella Baroncelli in S. Croce, Nicola
e Giovanni Pisano nei pulpiti di Siena, Pisa e Pistoia e Arnolfo nel presepe di S.
Maria Maggiore a Roma. Nel duomo di Limburg (sec. XIII) s. G. è raffigurato
come giardiniere della vigna divina.

Solo nel “tondo Doni”, di Michelangelo, agli Uffizi si avrà una
raffigurazione potentemente espressiva del tipo per cui s. G. assume il carattere
del capo di famiglia chiamato da Dio a tale altissimo compito. Contemporaneamente
in Germania gl’intagliatori diffondono le eccelse immagini del Santo dovute al Dürer
ed agli scultori delle statue lignee di Dottighofen e di Brandeburgo (1459). Alla
fine del Seicento si trova in Spagna tutta una serie di dipinti (Il riposo in
Egitto
di Bartolomé Gonzales, la Circoncisione di Roelos, la S.
Famiglia di Zurbaran) che presentano s. G. quasi nelle vesti di un patriarca
del Nuovo Testamento e con il preciso incarico di proteggere e di educare il divino
fanciullo. Compaiono contemporaneamente precisati gli attributi della sega e dell’accetta.
Tale raffigurazione compare in forma perfetta nel quadro di Herrera, che pone s.
G. seduto con il bimbo sulle ginocchia, e nei numerosissimi dipinti del Murillo,
in cui il Santo tiene per mano o accompagna il piccolo Gesù. Nel grande quadro
della chiesa dei Cappuccini di Cadice s. G. sostiene il bimbo già cresciuto.
Nel quadro di L. G. Carlier s. G. viene addirittura incoronato da esso. Nelle raffigurazioni
posteriori, come nel Tiepolo, il Santo si precisa come intercessore presso il Redentore
o come simbolo del lavoro umano giustamente riconosciuto.



Bibl.: K. Kunstle, Ikonographie der Heiligen, I, Friburgo
in Br. 1926, pp. 352-56; W. Rothes, Jesu Nährvater Joseph in der bildenden
Kunst
, ivi 1925.

Eugenio
Battisti

VI.
NEL FOLKLORE.
– Nella tradizione popolare lo sposo di
Maria è innanzitutto il santo tutelare dei poveri. L’episodio che sopra ogni
altro ha colpito la fantasia popolare è quello della sacra coppia di sposi
che, colta alla sprovvista, in paesi forestieri, all’approssimarsi della nascita
del figlio, chiede alloggio e viene respinta. Come reazione psicologica si ha, nelle
espressioni del culto popolare, una rievocazione dell’episodio in forma drammatica
con un finale che placa il sentimento di carità dell’anima popolare. In molti
paesi della Sicilia usa il “banchetto” o “invito di s. G.” solito
a farsi il 19 marzo e in cui le famiglie dei benestanti invitano a pranzo dei poveri,
tre dei quali raffigurano la S. Famiglia: un sacerdote, e, dopo di lui, il Bambino,
benedice la mensa, mentre i poveri sono serviti dal padrone di casa. In alcuni paesi
il banchetto ha luogo in chiesa, e a servire sono due sacerdoti, mentre un terzo
predica. La scena acquista in varie località, non solo della Sicilia, ma anche
dell’Abruzzo e della Puglia, caratteri e forme di sacra rappresentazione. Simbolo
di castità s. G. è anche invocato per la protezione delle fanciulle
da marito. Molte e graziose canzoni lirico-narrative rievocano la figura di s. G.
in episodi più o meno leggendari, immaginati intorno alla S. Famiglia. Appartiene
alla novellistica popolare una leggenda che si propone di far risaltare la grande
potenza di s. G. nel concedere le grazie, ma il cui modo di dimostrazione (un ladro
che ottiene egualmente di entrare in Paradiso) è un tipico frutto della fantasia
dei volghi. Il motivo leggendario si ricollega al Débat du Paradis che
ebbe tanta fortuna nel medioevo. S. G. è anche protettore dei falegnami: e
le corporazioni dei maestri di legname dei passati secoli furono le principali cultrici
e promotrici della sua festa. Questa presenta due tipiche manifestazioni: i falò
e le frittelle. In molti luoghi l’antichissima usanza dei fuochi di marzo si fa coincidere
con la festa di s. G. Enormi cataste di legna vengono raccolte per devozione e accese
nei crocicchi e nelle piazze dei paesi, specialmente dai ragazzi che, quando i falò
stanno per spegnersi, saltano sopra le fiamme: ricordo di antichi riti agresti di
purificazione e profilassi. L’uso delle frittelle è diffusissimo e non solo
a Roma, dove tuttavia la festa presenta un colore e un fervore eccezionali: l’interesse
si accentua sui banchi dei frittellari, che hanno originali trovate pubblicitarie,
fra cui l’uso del “sonetto” ricordato anche da G. G. Belli.

Alcune usanze indicano la festa di s. G. come inizio della stagione primaverile:
tale, ad es., l’uso dei pescatori siciliani che in questo giorno bruciano la barca
più vecchia, o dei ragazzi di Itri (Littoria) che appiccano fuoco alla stoppa
delle vecchie conocchie, mentre le nonne filano intorno ai falò. – Vedi tav.
LVIII.



Bibl.: E. Bidera, Passeggiate per Napoli e contorni, I, Napoli
1844, pp. 40-44; A. De Nino, Usi abruzzesi, I, Firenze 1879,
p. 74; G. Pitrè, Spettacoli e feste popolari siciliane, Palermo
1881, pp. 230-47; G. Zanazzo, Usi, costumi e pregiudizi del Popolo di Roma,
Torino 1908, pp. 170-72, A. Pescio, Terre e vita di Liguria, Milano
s. a. [1927], pp. 31-32: O. Trebbi-G. Ungarelli, Costumanze e tradizioni del popolo
bolognese
, Bologna 1932 p. 104; L. Sorrento, Una curiosa leggenda di
s. G. dalle Alpi alla Sicilia
, in Atti del III Congresso di arti e
tradizioni popolari
, Roma 1936, pp. 545-47; A. Van Gennep, Manuel de
folklore français contemporain
, III, Parigi 1937, p. 486; P. Toschi,
Santi e feste nella tradizione popolare: s. G., in Ecclesia,
5
(1946), pp. 146-48.

Paolo
Toschi

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