Quanto importi il far conto delle cose piccole e non disprezzarle

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO PRIMO. Della stima, e desiderio, e affezione, che dobbiamo avere a quel, che concerne il nostro profitto spirituale, e d’alcune cose, che a quest’effetto ci aiuteranno

CAPO IX. Quanto importi il far conto delle cose piccole e non disprezzarle.1. Non disprezzare le cose piccole.
2. Dal poco si passa al molto. Similitudine.
3. Il demonio comincia da piccole tentazioni.
4. Temere le piccole cose. Similitudine.
5. Rimedio.

 

 

1. «Chi le piccole cose disprezza, a poco a poco andrà in rovina» (Eccli. 19, 1). Questo è un punto di grande importanza specialmente per quelli che trattano di perfezione; perché le cose maggiori per se stesse si raccomandano, ma nelle minori siamo soliti a trascurarci più facilmente ed a farne poco conto, parendoci che ve ne sia poco di bisogno e che importino poco. E questo è un grandissimo inganno, perché importano moltissimo. Onde lo Spirito Santo, per mezzo del Savio, in queste parole ci avverte di guardarci da questo pericolo, perché colui che sprezza le cose piccole e non fa conto d’esse, a poco a poco viene a cader nelle grandi. Dovrebbe esser bastante questa ragione a persuaderci e a metterci paura, essendo ragione ed avvertimento dello Spirito Santo.

2. San Bernardo tratta molto bene questo punto. «Cominciano, dice, dai più piccoli mancamenti quelli che vengono di poi a cadere nei più grandi» (S. BER. De ord. vit. c. 11, n. 37Lévati pur d’inganno, soggiunge il Santo, che è vera quella comune sentenza: «Nessuno d’un tratto diventa sommo». Nessuno in un momento, comunemente parlando, diventa molto buono, o molto cattivo, ma a poco a poco va crescendo il bene ed il male. Come le grandi infermità del corpo si vanno generando a poco a poco, così le infermità spirituali e i mali grandi dell’anima si vanno generando ancor essi a poco a poco: e così quando vedrai certe cadute grandi d’alcuni servi di Dio, non ti pensare, dice il santo abate, che allora sia cominciata la loro rovina; perché uno che abbia perseverato e vissuto bene lungo tempo, non mai viene a sdrucciolare e a cader subito in qualche cosa grave; ma questo gli avviene per essersi prima trascurato in cose minute e piccole, colle quali è andato a poco a poco indebolendosi la virtù dell’anima sua, e ha meritato che Iddio sottragga alquanto da lui la sua mano; e così ha potuto poi facilmente esser vinto dalla tentazione grande sopraggiuntagli (S. BERN. Contra pess. ritium ingrat.; Serm. 17, n. 6). Cassiano dichiara questo con una similitudine molto propria, ed è dello Spirito Santo. Le case, dice egli, non rovinano tutto in un tratto; ma prima si comincia con certe piccole stille d’acqua, le quali a poco a poco fanno marcire i legnami dell’edificio, e penetrando le mura le fanno infracidare ancor esse e le consumano sino ai fondamenti; e così poi vengono le case a rovinarsi e tutto all’improvviso a cadere per terra in una notte. «Per la pigrizia e per l’infingardaggine delle mani il palco della casa darà giù e vi pioverà dentro» (Eccle. 10, 18). Per pigrizia usata in non riparare la casa da principio, quando il danno era piccolo, né in racconciare i tetti con turare i buchi, onde stillavano le acque, si trovò poi la medesima caduta per terra una mattina a buon’ora. In questa maniera, dice Cassiano (CASSIAN. Coll. 6, c. 17), vengono gli uomini a fare cadute grandi e a terminare in grandi mali. Entrano prima le nostre affezioncelle e le nostre passioni, come certe piccole stille d’acqua, e vanno a poco a poco penetrando, intenerendo e indebolendo le virtù dell’anima nostra; e così tutto l’edificio viene poi a rovinare, solo per non aver voluto, uno ripararsi da principio, mentre il danno era piccolo, e per essere stato negligente in rimediare a certe minute stille. perché non ha voluto quel tale far conto delle cose piccole, una mattina è comparso assalito dalla tentazione, e l’altra seguente s’è veduto fuori della religione.De exter. etc. 1. 3, c. 2, n. 2).

 

 

E così S. Agostino dice: «Che importa per un naufragio, se la nave sia sopraffatta da un solo grande maroso e sommersa, oppure riempia e affondi la nave l’acqua che s’infiltri a poco per volta nella sentina e che sia per trascuraggine lasciata e disprezzata?» (S. AUG. Ep. 265 ad Seleuc. n. 8) Non è da curarsi più dell’uno che dell’altro, perché tutto viene ad essere il medesimo. Così il demonio non si cura d’entrare nel tuo cuore con cose piccole più tosto che con grandi, se al fine arriva a quel che egli pretende, che è abbatterti e sommergerti. «Di minime gocciole d’acqua moltiplicate insieme si vengono a fare le inondazioni, che gettano a terra a volte muraglie anche grandi: per un piccolo buco, o fessura, occultamente e a poco a poco entra l’acqua nella nave, sino ad affondarla» (S. BONAV. ).

 


5. Per questo dice S. Agostino (S. AUG. Enarr. in Ps. 06, n. 7) che, come quando il vascello fa acqua, bisogna sempre dar mano alla pompa perché quello non si affondi; così noi altri, con l’orazione e con l’esame, dobbiamo andar sempre levando via i difetti e le imperfezioni, che vanno entrando in noi a poco a poco, acciocché non ci affondino e sommergano. Questo ha da essere l’esercizio del religioso: sempre bisogna dar mano alla pompa; altrimenti corriamo gran pericolo d’annegamento. E in un altro luogo dice lo stesso santo Dottore (Op. cit. in Ps. 39, n. 22; loc. cit. col. 447): Sei fuggito e scappato dalle onde, dalle tempeste e dai pericoli grandi, che sono in questo tempestoso mare del mondo; guarda ora che nel porto della religione tu non venga ad incagliar nell’arena: guarda che tu non venga a pericolare e a perderti per certe cose minute e piccoline; perciocché a questo modo poco ti gioverà l’esser fuggito e scampato dalle grandi: siccome poco gioverà che la nave sia scampata da grandi pericoli e tempeste, e da grandi scogli e secche, se poi nel porto viene a dar nell’arena.


4. Molto bene concorda con questo S. Giov. Crisostomo e dice una cosa che egli chiama mirabile. «Una cosa mirabile ardisco dire, la quale vi parrà nuova né mai più udita: ed è che alle volte bisogna che più siamo diligenti e accurati in evitare i peccati piccoli che i grandi; perché questi, di loro propria natura, recano seco un certo orrore, che induce ad odiarli e a fuggirli; ma gli altri, per la stessa ragione d’esser piccoli, ci tengono rimessi e negligenti; e come li stimiamo poco, non finiamo d’uscirne, e così ci vengono a fare gran danno» (S. IOAN. CHRYS. Hom. 86 in Matth. n. 3). Per ciò dunque il demonio stima tanto questa cosa, e per questa parte assale i religiosi e i servi di Dio; e la stima anche tante, perché sa molto bene che per questa parte potrà aprirsi la strada nelle loro anime e farli poi cadere in cose maggiori.


3. Piacesse a Dio che non tanto conoscessimo questa cosa per una quotidiana esperienza, quanto la conosciamo! Veramente mette gran timore e spavento il vedere sovente le piccole cose, dalle quali ha avuto principio la rovina d’alcuni caduti in grandi mali. Il demonio, che ne sa assai, non assale di primo lancio i servi di Dio con cose gravi: egli è troppo astuto. E però con l’insinuarsi a poco a poco con cose piccole e minute, e senza farsi molto sentire, fa assai meglio il fatto suo che se assalisse con cose grandi. Se infatti subito si presentasse ad alcuni di questi tali con tentazioni di peccati mortali, sarebbe facilmente scoperto e scacciato; ma cercando egli di entrare in loro con tentazioni di piccole cose e minute, non è scoperto né mandato via, ma ammesso. Perciò dice S. Gregorio che in qualche parte è maggiore il pericolo delle piccole colpe, che quello delle grandi; perché queste quanto più chiaramente si conoscono, tanto maggiormente colla cognizione del maggior male muovono ad evitarle e ad emendarsene, quando alcuno sia incorso in esse: ma le colpe piccole quanto meno si conoscono, tanto meno si schivano, e siccome non si stimano, si replicano e si continuano; e se ne sta l’uomo posando e giacendo in esse, senza mai risolversi virilmente di scacciarle da sé e sbrigarsene; onde presto di piccole diventano grandi (S. GREG. past. admon. 35, c. 34; S. CATERINA DA SIENA, Dial. c. 162).