Vita di San Giuseppe – L. I, cap. XI

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Serva
di Dio

Maria Cecilia Baij O.S.B. (1694-1766)

VITA DI SAN GIUSEPPE

Libro I – Capitolo XI

Partenza di S. Giuseppe da Nazareth

Lascia Nazareth
– Il nostro Giuseppe, alzatosi la mattina prima del giorno, e fatto un piccolo fardello
di pochi panni per suo servizio si mise in preghiera supplicando il suo Dio di volerlo
assistere in quel viaggio. «Ecco, – disse il Santo Giovane, – o Dio
mio, che lascio la patria, e povero e mendicante me ne vengo a Gerusalemme per adempire
qui la tua divina volontà. Quanto più mi vedo povero, tanto più
sono contento, perché così piace a Te, e dato che qui nella mia patria
sono stato oltraggiato confatti e con parole, e sono stato spogliato dei beni di
fortuna, ti supplico di non castigarli, ma perdona loro tutti gli affronti che mi
hanno fatto, perché io di buon cuore perdono a tutti, e per tutti desidero
ogni bene. E se nella città dove io ora vengo ad abitare, piacerà a
Te che io sia trattato come sono stato trattato dai miei concittadini e congiunti,
sono prontissimo a soffrire tutto per adempire la tua divina volontà. Ti prego
perciò, di non abbandonarmi, perché avendo Te in mio aiuto e favore,
non temo di cosa alcuna. Ti prego pertanto di darmi ora la tua paterna benedizione;
che questa mi difenda nel cammino: mi regga la tua destra onnipotente, mentre io
mi pongo tutto nelle tue braccia paterne ed amorose
». Detto questo, si
levò dall’orazione tutto allegro, avendolo Dio assicurato della sua benedizione,
e preso il suo piccolo fardello, partì da Nazareth prima del giorno e si mise
in cammino a piedi verso Gerusalemme, senza che alcuno lo vedesse. Il Santo andava
per il viaggio solo, lodando e benedicendo il suo Dio e recitando vari salmi di Davide
con grande allegrezza del suo spirito, e spesso replicava: «Ecco, o mio Dio,
che vengo ad adempire la tua divina volontà ed il desiderio che ho sempre
avuto di abitare a Gerusalemme, per poter frequentare il Tempio». E a misura
che si inoltrava nel cammino, si accendeva nel suo cuore il desiderio di arrivare
presto, e lì nel Tempio, adorare il suo Dio e di nuovo sacrificarsi a Lui.
Si divulgò poi per Nazareth la notizia che Giuseppe era partito; non ci fu
alcuno che ne ricercasse o ne andasse in traccia, anzi molti si rallegrarono di questo,
perché pensavano di godersi in pace quel tanto che gli avevano usurpato; e
così, dimenticato da tutti, non si fece più menzione di lui nella sua
patria, pagandolo tutti d’ingratitudine.

Il Santo Giovane lo riseppe, e ne godette molto, «perché, – diceva lui,
– così mi lasciano vivere in pace e stare con la mia quiete».



A Gerusalemme – Arrivato a Gerusalemme il nostro Giuseppe se ne andò
addirittura al Tempio, e qui, adorato il suo Dio, gli si offrì tutto di nuovo,
lo ringraziò della cura e dell’assistenza che gli aveva fatto nel viaggio
e lo pregò di manifestargli la sua volontà. Qui Dio gli parlò
di nuovo interiormente, ordinandogli quel tanto che doveva fare; e siccome il Santo
era stanco per il viaggio fatto, partì per andare a riposarsi un po’. Domandando
la benedizione a Dio, uscì tutto lieto dal Tempio, e andò in un albergo
a riposarsi e cibarsi secondo il bisogno. Nel sonno poi l’Angelo gli parlò
di nuovo, e gli confermò quel tanto che Dio gli aveva detto interiormente,
e gli ordinò che di quel denaro che aveva portato, ne avesse dato due parti
al Tempio, e della terza parte se ne fosse servito, metà per sé in
quei primi giorni, e l’altra metà l’avesse dispensata ai poveri; e così
fece. La mattina alzatosi per tempo, e fatte le sue solite orazioni, se ne andò
al Tempio, e diede il denaro in elemosina al Tempio con suo grande gusto, e qui si
mise a pregare lodando e ringraziando il suo Dio del beneficio che gli aveva fatto
nel manifestargli la sua volontà, offrendosi di nuovo pronto ad obbedire ad
ogni minimo cenno che gli venisse manifestato dall’Angelo. Trattenutosi un po’ in
orazione, partì dal Tempio, ed incominciò a fare dell’elemosina ai
poveri, ed in breve tempo dispensò tutto quello che doveva, secondo l’ordine
avuto.



Garzone di un falegname – Poi si mise a cercare una persona che gli facesse
provvisione del vitto necessario e che facesse l’arte di falegname, affinché
gliela insegnasse. Non stentò molto a trovarlo, disponendo Dio che il suo
servo trovasse subito il modo di effettuare l’ordine avuto; e si incontrò
con una persona timorata. Si accordò con questa di dargli la paga sufficiente,
e il nostro Giuseppe si mise ad imparare l’arte che gli riuscì molto facile,
non sentendo la fatica, perché l’amore con cui adempiva la divina volontà,
gli faceva sembrare tutto facile e gustoso; e quantunque stesse applicato ad imparare
l’arte, non tralasciò però mai i suoi soliti esercizi di preghiera
e recita dei salmi.



Sua sottomissione – Il santo Giovane stava con grande umiltà e sottomissione
soggetto in tutto e per tutto al padrone, gli obbediva con grande puntualità
ed esattezza, per la quale e per le sue rare virtù era molto amato dal padrone,
ed il nostro Giuseppe lo rimirava ed ossequiava come un suo superiore, e non parlò
mai della sua nascita, delle sue facoltà né di altra cosa. La sua lingua
non proferiva altre parole che quelle che erano veramente necessarie, tutto attento
ad imparare l’arte non divertendosi mai; e quando voleva andare al Tempio, ne domandava
il permesso al padrone, e se egli glielo dava, vi andava, se no, obbediva prontamente
privandosi di quella pia soddisfazione.



Sue eroiche virtù – Qui il nostro Giuseppe fece mostra delle sue eroiche
virtù, perché ne ebbe molte occasioni. Era spesso preso in giro dalle
persone oziose e vagabonde, che gli dicevano che tanto era stato ad imparare l’arte
e che fino ad allora aveva fatto il vagabondo, e lo schernivano. Il Santo Giovane
chinava la testa e non rispondeva parola alcuna, e quando vi si trovava presente
il padrone, che li riprendeva e li scacciava dalla bottega, allora Giuseppe lo pregava
di lasciarli stare, perché a lui non davano né fastidio né pena.
Fu singolare poi la modestia di Giuseppe, non alzando mai gli occhi per guardare
cose nuove e curiose; stava a Gerusalemme, e non sapeva quello che ci fosse di curioso
in città, né che cosa si facesse. Non fece altra strada, che dalla
bottega al Tempio e dal Tempio alla bottega, e nella bottega vi stava, non come un
giovane che pagava la sua dozzina, ma come un fattorino, servendo in tutto e per
tutto al padrone negli uffici più bassi. Il suo padrone si accorse come il
Santo Giovane faceva delle elemosine ai poveri, e un giorno gli parlò esortandolo
a tener da conto, perché anche lui era povero e aveva bisogno; per cui il
Santo gli rispose: «Lasciate che faccia l’elemosina ai poveri, perché
per me c’è Dio che ci penserà e provvederà ai miei bisogni»;
di questo il padrone restò molto edificato. Il nostro Giuseppe provava poi
un gusto inspiegabile nell’esercitare l’arte e nello stare così soggetto,
godendo di essere povero, vile e abietto agli occhi degli uomini; e di questo ne
godeva perché l’Angelo gli diceva come queste virtù erano care a Dio,
e che chi le praticava era molto amato da Dio. Tanto bastò perché il
nostro Giuseppe se ne invaghisse sempre più e le praticasse con tutto l’impegno.
Il nostro Giuseppe era allora dell’età di vent’anni, ed era cresciuto molto
nelle virtù e nell’amore verso il suo Dio. La sua mente non si allontanava
mai da Dio, unico oggetto del suo amore; e molto spesso, nell’atto stesso che lavorava,
restava estatico per la contemplazione delle divine perfezioni, delle quali ne ebbe
una grande intelligenza.

Erano poi frequenti i digiuni e le vigilie, stando spesso le notti in preghiera assorto
in Dio. Continuò ancora ad usare la sua solita carità verso i moribondi,
e poiché non poteva andare ad assisterli di persona, lo faceva con le continue
orazioni, raccomandandoli caldamente a Dio. Il nostro Giuseppe passò qualche
anno in questo tenore di vita, avendo già imparato l’arte. Aspettava che l’Angelo
gli manifestasse la volontà divina, e se doveva ritirarsi a stare da solo,
oppure continuare a stare nella bottega del padrone, quando il padrone si ammalò,
e colpito da una malattia mortale, terminò la vita felicemente.



Morte del padrone – Il nostro Giuseppe lo assistette con grande carità
ed amore come se fosse stato il suo proprio padre; fece molte suppliche a Dio per
la sua salvezza eterna, e Dio esaudì le preghiere fervorose del suo Giuseppe.
Rimasto in libertà, Giuseppe se ne andò al Tempio a pregare e a supplicare
il suo Dio affinché gli avesse manifestato la sua volontà ed in che
modo volesse essere servito da lui. In questa orazione ebbe un grande lume e fu molto
confortato con una consolazione interiore. La notte seguente l’Angelo gli parlò
nel sonno, e gli manifestò quel tanto che doveva fare per adempire la volontà
divina; cioè che si fosse ritirato a vivere da solo e che, comprando quel
tanto che era necessario per esercitare la sua arte, avesse continuato a vivere in
povertà; e così fece, rimanendo molto consolato per l’avviso datogli
dall’Angelo, e svegliatosi subito, si alzò e si prostrò a terra a lodare
e ringraziare Dio dell’avviso che gli aveva dato.