Tre ricordi per quando un altro ci ha data qualche disgusto

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

 

 

***

TRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA

***

CAPO XIV. Di tre ricordi e avvertimenti, dei quali abbiamo da valerci quando un altro ci ha data qualche occasione di disgusto

 ***

1. Reprimere ogni sentimento di vendetta
2. Non nutrire interna avversione.
3. Non dimostrar la esternamente
4. Essere più cortesi con chi ci ha offeso.

***

1. Da quel che si è detto possiamo raccogliere tre ricordi ed avvertimenti, dei quali ci abbiamo da valere quando il nostro fratello ci abbia offesi, ovvero ci abbia data qualche occasione di disgusto. Il primo è, che abbiamo da tenerci molto lontani dal desiderio di vendicarci. Tutti siamo fratelli e membri di un medesimo corpo, e niun membro percosso da un altro si vendicò mai di quello; né vi è stato mai fanciullo alcuno tanto pazzo, che per essersi morsicata la lingua, si sia cavati con collera i denti, dai quali egli ricevé il male. Sono tutti i membri come d’una stessa famiglia: dappoichè si è fatto un male, non se ne facciano due. Così abbiamo da dire noi altri quando uno ci offende: questi è mio corpo: perdoniamogli; non gli facciamo, né gli desideriamo male: giacché vi è stato un danno, non ve ne siano due in questo corpo della religione. «Non rendendo male per male» (Rom. 12, 17).

Non parlo di vendetta in cosa grave; perché qui nella religione molto alieni sono ed hanno da esser tutti da tal cosa; ma parlo di cose leggiere, quali pare a qualcuno di potere desiderare ti fare senza peccato grave. Dice uno: io non ho desiderato che venisse male al mio fratello; ma certamente avrei voluto dirgli due parole che le avesse sentite e si fosse accorto che fece male in quel particolare. Un altro sente gusto della riprensione e della penitenza che viene data a quello con cui ha qualche amarezza d’animo. Un altro ha non so che di gusto o di compiacenza che ad uno non sia andata bene la tal cosa, e che ne sia rimasto mortificato e umiliato. Questa è vendetta e mala cosa: costui non ha perdonato di tutto cuore e dirà con qualche scrupolo quella parte dell’orazione del Pater Noster: rimetti a noi, Signore, i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Certo questo sarebbe qui qualche cosa di più fra noi altri, che non sarebbe nel mondo fra i mondani. «Non dire: farò a lui quello che ha fatto a me» (Prov 24, 29), dice il Savio: non desiderare al tuo fratello l’equivalente a quello che egli ha fatto a te; perché questo è desiderio di vendicarti.

2. Il secondo ricordo ed avvertimento è, che non solo abbiamo da tenerci lontani dal desiderare alcuna sorta di vendetta di colui che ci ha offesi; ma abbiamo ancora da guardarci da un’altra cosa, che agli uomini del mondo par lecita. Sogliono dire quei del mondo: Io non voglio male al tale; ma non sarà mai ch’io lo possa più mirar con buon viso. Se ne restano colà entro del loro cuore con una certa acrimonia e avversione rispetto a colui che li ha ingiuriati, così che sempre fissa tengono nella mente la di lui ingiuria. E questa è una cosa che, come essi dicono, non se la possono digerire. Nei secolari questa è tenuta per una mala cosa, e anche alle volte dubitiamo se in rigore abbiano soddisfatto all’obbligo del perdono; perché questo suole esser cagione che non parlino all’offensore e che diano qualche scandalo. Or quanto peggior errore sarebbe che qui fra noi altri fosse qualche cosa simile a questa, e che restasse nel nostro cuore qualche amarezza o disgusto contro il nostro fratello, né lo guardassimo più come lo guardavamo per il passato (Gen. 31, 2). Questa è cosa molto aliena dallo stato religioso. «Qualunque amarezza e animosità é ira… sia rimossa da Voi dice l’Apostolo San Paolo. Ma siate benigni gli uni verso gli altri, misericordiosi, facili a perdonarvi Scambievolmente, come Dio ha perdonato a voi per Cristo». E questo abbiamo da fare molto di cuore. Sai quanto di cuore? dice S. Paolo: «Come anche il Signore a voi perdonò, così anche voi» (Col. 3, 13).

Guardate quanto di cuore Dio ci perdona, quando ci pentiamo e gli chiediamo perdono dei nostri peccati! Non resta in Dio sdegno alcuno, né mal occhio, né faccia corrucciosa verso di noi, ma restiamo amici come prima. Così ci vuoI bene e ci ama Dio, come se non l’avessimo mai offeso, e non ci rinfaccia i peccati passati, né si ricorda più di essi. «E già più non mi ricorderò dei peccati e delle loro iniquità» (Hebr. 10, 17). «E getterà tutti i nostri peccati nel profondo del mare» (Mich. 7, 19). In questa maniera dunque abbiamo da perdonare noi altri, e in questa abbiamo da dimenticarci delle ingiurie. Non ha da restar in noi avversione né malocchio di sorta alcuna col nostro fratello; ma abbiamo da restare come M mai egli non ci avesse offesi, né fosse mai passata cosa alcuna fra di noi. Se vuoi che Dio perdoni a te in questo modo, perdona tu ancora così al tuo fratello: e se no, temi quello che dice Cristo nostro Redentore nel suo Vangelo: «Nella stessa guisa farà con voi il mio Padre celeste, se di cuore non perdonerete ciascuno al proprio fratello» (Matth. 18, 35). Così pure: «perdonate e sarà a voi perdonato… perché colla stessa misura, onde avrete misurato, sarà rimisurato a voi» (Luc. 6, 37).

3. Il terzo ricordo ed avvertimento, col quale si dichiara meglio il precedente, è questo. Dice S. Basilio (S. BASIL. Serm. ascet. n. 2) che, come non abbiamo da avere affezione particolare ad alcuno, perché queste amicizie particolari sono cagione di molti inconvenienti, come diremo appresso; così né anche abbiamo da avere avversione a chi che siasi; perché queste avversioni anch’esse cagionano inconvenienti grandi. E qual maggiore inconveniente che se entrasse qui fra di noi (il che Dio non permetta) questo linguaggio: Il tale non sta bene col tale: da che accadde la tal cosa non si trattano più come prima; non legano più insieme: stanno in rotta? Sconcerti sono questi che bastano per rovinare la religione. Perché se Cristo nostro Redentore vuole che siamo conosciuti per suoi discepoli nell’amarci l’un l’altro, chi non farà questo, ma il contrario, non sarà discepolo di Cristo né buon religioso.

Or per rimedio di questo inconveniente, siccome quando senti in te qualche affezione particolare verso qualcuno, hai da procurare con diligenza di soffocarla al suo primo nascere, acciocché non getti radice nel tuo cuore, né s’impadronisca di esso: e particolarmente avvertono i maestri della vita spirituale che bisogna allora aver molta cura, che non si manifesti questa volontà ed affezione particolare, né si dimostri nelle opere, né possa alcuno conoscerla, né accorgersene; perché questo è quello che suole scandalizzare ed offendere grandemente: così ancora, quando sentirai in te qualche avversione o disgusto contro qualcuno, hai da procurare di ributtarlo subito, usando in ciò ogni diligenza, acciocché non faccia presa né getti radice nel tuo cuore. E particolarmente hai da procurare che in niun modo si possa scorgere nelle tue azioni che hai questa avversione, o tentazione; perché questo è quello che: può cagionare grande scandalo e molti inconvenienti. E non solo hai da procurare che non possano gli altri avvedersi di questa cosa; ma che non se ne possa nemmeno avvedere quel medesimo con cui l’hai.

S’intenderà questo assai bene col non dipartirci da quell’esempio medesimo delle amicizie particolari che preso abbiamo per spiegarci. Siccome vi sono alcuni i quali procurano che dell’affezione particolare che portano a qualche persona altri non s’accorgano, per evitare la taccia e lo scandalo che in ciò potrebbero dare; ma alla medesima persona, alla quale portano tale affezione, la significano in molte cose, quando chiaramente, quando dissimulatamente; la qual cosa è molto mala e perniciosa; così ancora vi sono alcuni i quali, sebbene si guardano dal fare che altri si possano accorgere che stanno risentiti col loro fratello, per evitare la taccia e lo scandalo che con ciò potrebbero dare; nondimeno alla medesima persona che li ha offesi lo dimostrano nel sembiante e nel trattare, ritirandosi da essa, non trattandola come prima e mostrandosi con quella severi e sostenuti nelle occasioni che si porgono. E a bello studio vogliono che quella persona conosca che stanno risentiti per quello che ella fece. E questa ancora è molto mala cosa, perché è una specie di vendetta che fanno del loro fratello. Da tutte queste cose dobbiamo astenerci grandemente.

4. A questo effetto, siccome quando abbiamo qualche tentazione i Santi ci consigliano che, per riguardo al pericolo in cui allora ci troviamo, stiamo più avvertiti e con maggior vigilanza, acciocché la tentazione non ci tiri dietro a sé e ci faccia far qualche cosa a suo genio; così ancora quando sentirai in te qualche avversione o qualche dispiacere o disgusto verso qualcuno, hai da star più avvertito e da essere. più circospetto; acciocché quell’avversione o quel disgusto non ti tiri dietro a sé e ti faccia sfuggir di bocca qualche parola, o ti trasporti in qualche azione che dimostri il risentimento e la tentazione che hai, e dia motivo di offesa al tuo fratello. Anzi allora hai da sforzarti più che mai di fargli benefici, pregando Dio per lui, dicendo bene di lui e aiutandolo in quello che occorrerà, secondo il consiglio del Vangelo, e secondo quello che dice l’Apostolo S. Paolo, che col far bene si ha da vincere e superar il male. «Non voler essere vinto dal male, ma.. vinci col bene il male… poiché così facendo radunerai carboni ardenti sopra la sua testa» (Epist. ad Romanos, 12, 21 et 20). Questo sarà adunar carboni accesi d’amore e di carità sopra il capo del tuo fratello. ,

Racconta Tommaso da Kempis (THOM. A KEMPIS, in Vita Henrici Brun. n. 5) d’un sacerdote servo di Dio e di un suo compagno nello stesso monastero, che andando ad un altro convento per certo negozio, trovò per strada un secolare, col quale andò parlando famigliarmente e vennero a trattare di cose di Dio. E fra questi ragionamenti il secolare uscì a dirgli, che gli voleva palesare una cosa in altro tempo avvenutagli. E fu che eragli occorso, e ciò per più volte, che quando stava udendo la santa Messa non poteva mai vedere il Santissimo Sacramento nelle mani del sacerdote. Da principio, credendo che questo avvenisse perché stesse assai discosto e che per la debolezza della sua vista non arrivasse a poterlo vedere, si accostò all’altare e al sacerdote che celebrava; ma con tutto questo neppure gli riusciva di poter veder nulla, e questa cosa gli durò più di un anno. Quindi trovandosi perplesso e confuso per non sapere di ciò la cagione, aggiunse che, rientrato in se stesso, si deliberò di comunicare la cosa in confessione ad un buon sacerdote; il quale, dopo di averlo esaminato con prudenza, trovò che stava in inimicizia con un suo prossimo per certa ingiuria che da esso aveva ricevuta e che per nessuna cosa del mondo aveva mai egli voluto perdonare. E considerando il buon confessore la malizia e durezza del cuore di costui, parte con riprenderlo, parte con esortarlo, gli fece conoscere il gran pericolo in cui stava; e che se non perdonava di cuore le ingiurie, era vanità pensar di ricevere il perdono dei suoi peccati; e che questa era stata la cagione per la quale non aveva potuto vedere il Santissimo Sacramento. Udito questo, egli, compunto nel suo cuore è ubbidendo al consiglio del buon confessore, perdonò al suo nemico; e finita la sua confessione, e ricevuta la penitenza e l’assoluzione, entrò in chiesa, udì la Messa e vide senza difficoltà alcuna il Santissimo Sacramento. E in rendimento di grazie non si saziava di benedire il Signore per questo beneficio e per gli altri che meravigliosamente egli opera colle sue creature.