L’esame di coscienza

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO VII. DELL'ESAME DELLA COSCIENZA

 

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CAPO I. Quanto sia importante l'esame della coscienza

 

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1. E raccomandato dai Santi.
2. Danni del trascurarlo.
3. Anche i filosofi ne conobbero l'efficacia.
4. Molto inculcato da S. Ignazio.
5. Stima che dobbiamo farne

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1. Uno dei principali e più efficaci mezzi che abbiamo pel nostro profitto è l'esame della coscienza: e come tale ce lo raccomandano i Santi. S. Basilio, il quale è stato dei più antichi che abbiano dato regole ai monaci, comanda che ogni sera facciano questo esame (S. BASIL. Serm. ascet. et serm. de ascet. discipl. n. 10). S. Agostino nella sua regola comanda il medesimo (S. AUG. Serm. 338. c. 1). S. Antonio abate insegnava e ingiungeva assai questo esame ai suoi religiosi (S. ATHAN. Vita S. Ant. abb.)3. S. Bernardo (S. BERN. De inter. dom. c. 36), S. Bonaventura (S. BONAV. De exter. etc. l. 1. c. 41), Cassiano (CASSIAN. coll. 5, c. 14) e tutti comunemente convengono in caldamente raccomandarlo.

S. Giovanni Crisostomo (S. Io. CHRYS. Hom. Non esse ad orat. concion. n. 4) tra gli altri, sopra quelle parole del reale profeta David, «pentitevi nei vostri letti» (Ps. 4, 5), trattando di questo esame e consigliando che si faccia ogni sera prima d'andar a dormire, ne adduce due buone ragioni. La prima, acciocché nel giorno seguente ci troviamo più disposti e preparati a guardarci dai peccati e dal cadere nelle colpe nelle quali siamo caduti oggi; perché essendoci noi oggi esaminati e pentiti di esse, e avendo fatto proponimento di emendarci, chiara cosa è che questo ci servirà di qualche freno per non tornar a commetterle domani. La seconda, che ancora per questo medesimo giorno d'oggi ci sarà di qualche freno l'averci ad esaminare la sera; perché il sapere che in questo medesimo giorno abbiamo da render conto, ci farà stare sopra di noi e vivere più circospettamente. Come un padrone, dice il Santo, non comporta che il suo spenditore lasci di dar ogni giorno i suoi conti, acciocché questo non dia occasione di procedere con trascuraggine e di dimenticarsi, onde poi il conto non si possa veder netto; così anche sarà ragionevole che noi altri rivediamo ogni giorno i conti a noi stessi, acciocché la trascuraggine e la dimenticanza non vengano ad imbrogliarli.

Il novello dottore della Chiesa S. Efrem (S. EPHR. SYR. Serm. ascet. Roma, v. 1, p. 54-55) e S. Giovanni Climaco (S. IO. CLIM. Scala parad. grad. 20) vi aggiungono una terza ragione, e dicono che, come i mercanti diligenti ogni giorno bilanciano e fanno conto delle perdite e dei guadagni di quel giorno, e se trovano d'aver fatta qualche perdita, procurano di rimediare ad essa e di ripararla con molta diligenza; così noi altri dobbiamo ogni giorno esaminarci e vedere i conti delle nostre perdite e dei nostri guadagni; acciocché la perdita non vada avanti né si dia fondo al capitale, ma lo rimettiamo e vi rimediamo subito. S. Doroteo (S. DOROTH. Doctr. 11, n. 5) vi aggiunge un'altra utilità grande, la qual è che, esaminandoci noi e pentendoci ogni giorno dei nostri errori e mancamenti, non si radicherà in noi il vizio e la passione, né verrà a crescere l'abito cattivo e la cattiva consuetudine.

2. Per contrario si dice dell'anima, che non è diligente e sollecita in esaminarsi, che è simile alla vigna dell'uomo pigro, della quale dice il Savio che passò per essa e vide che la siepe d'intorno era caduta e che ogni cosa era piena di ortiche e di spine. «Passai pel campo di un infingardo e per la vigna di un uomo stolto; e vidi come tutto era pieno di ortiche, e le spine l'avevano coperta quant'ella è grande, e la muraglia a secco era rovinata» (Prov. 24, 30). Così sta l'anima di colui che non ha cura di esaminare la sua coscienza; sta come una vigna che non si lavora, divenuta un disertaccio pieno d'erbacce cattive e di spine. Questa cattiva terra della nostra carne mai non lascia di germogliare erbe cattive; onde bisogna sempre stare col sarchiello in mano sbarbando la mala erba che spunta. Serve dunque l'esame di sarchiello per levare via e sbarbare il vizio e la malvagità che cominciava a germogliare, e per non lasciar che passi avanti né getti radici.

3. E non solo i Santi, ma anche i filosofi gentili col lume naturale conobbero l'importanza ed efficacia di questo mezzo. Il filosofo Pitagora, come riferiscono S. Girolamo (S. HIERON. Apol. adv. libro Ruf. l. 3, n. 39) e S. Tommaso (S. THOM. De regim. princ. 1. 4, c. 22), fra gli altri documenti che dava ai suoi discepoli metteva questo per molto principale, che ciascuno avesse due tempi del giorno determinati, uno la mattina e un altro la sera, nei quali si esaminasse e seco stesso facesse i conti di tre cose; che cosa ho fatto; come l'ho fatto e che cosa ho lasciato di fare di quel che doveva, rallegrandosi del bene e pigliandosi dispiacere del male. Lo stesso raccomandano Seneca, Plutarco, Epitteto ed altri.

4. Per questo il nostro Santo P. Ignazio, fondato nella dottrina dei Santi, nella ragione e nell'esperienza, ci ingiunge l'esame della coscienza come uno dei più principali ed efficaci mezzi di quanti possiamo usare dalla parte nostra pel nostro profitto, e ce lo pose per regola. «Usino dice, tutti ogni giorno il solito esame di coscienza»; e in un altro luogo dice; che ciò si faccia due volte il giorno (Const. p. 3. c. l, § 11; Summ. 6, Epit. 182, § 1. n. 2). E in certo modo stimava più l'esame che l'orazione; perché coll'esame si ha da andar mettendo in esecuzione quello che per frutto si cava dall'orazione, che è la mortificazione delle proprie passioni e l'estirpazione dei vizi e difetti. E S. Bonaventura dice che l'esame della coscienza è il più efficace mezzo che possiamo adoperare dal canto nostro pel nostro profitto. Onde nella Compagnia se ne fa tanto conto, che a suono di campanella siamo chiamati ad esso due volte il giorno, una la mattina e l'altra la sera: e così siamo invitati all'esame come all'orazione; acciocché nessuno lasci di farlo né la mattina né la sera.

E né anche si contentò il nostro S. Padre che usassimo noi altri di quest'esame; ma volle ancora che lo persuadessimo a coloro le cui coscienze venivamo a dirigere (Const. p. 7, c. 4; lit. F). Onde i buoni operai della Compagnia, subito che cominciano a trattare con alcuno, gl'insegnano a fare l'esame generale della coscienza, e anche il particolare, per levar via qualche mala consuetudine, come di giurare, di dir bugie, di maledire o di altra cosa simile, come facevano i nostri primi Padri, e particolarmente leggiamo del Beato Pietro Fabro, che questa era una delle prime divozioni che dava a quelli che si mettevano sotto la sua direzione. E del nostro S. Padre si legge che non si contentava di proporre questo mezzo dell'esame particolare a quella persona che egli voleva guarire di qualche vizio; ma che di più, acciocché non si dimenticasse di metterlo in esecuzione, le ingiungeva che prima del pranzo e prima d'andare a letto desse conto a qualche persona confidente, che egli stesso assegnavale, e che le dicesse se aveva fatto l'esame, e come, e se nella maniera che esso glielo aveva ordinato. E sappiamo ancora che trattenne lungo tempo i suoi compagni nei soli esami e nella frequenza dei Sacramenti; parendogli che se questo si faceva bene, bastasse per conservarsi nella virtù (RIBAD. Vita S. Ign. 1. 5, c. 10; 1. 2, c. 4).

5. Di qui abbiamo da cavare una stima e un apprezzamento tanto grande di quest'esercizio di esaminar due volte il giorno le nostre coscienze, che lo teniamo per un mezzo importantissimo ed efficacissimo pel nostro profitto, e come tale l'usiamo ogni giorno: e quel dì nel quale ciò mancheremo di fare, siamo persuasi di aver mancato in una cosa molto principale della nostra religione. Non v'ha da essere occupazione alcuna bastante a farci lasciar questo esame: e se uno, forzato da qualche necessaria occupazione, non avesse potuto farlo all'ora assegnata, ha da procurare di farlo quanto più presto potrà, come sarebbe dopo il pranzo, prima d'ogni altra cosa. Nemmeno l'infermità e la indisposizione, che basta per dispensarci dal far lunga orazione, ha da bastare per dispensarci dal far gli esami. E così conviene. che tutti sappiamo che gli esami non si hanno da lasciar mai, né il particolare, né il generale. E ha ben materia l'infermo da far l'esame particolare, considerando come si conformi alla volontà di Dio nell'infermità e nei dolori che gli manda; come accetti i rimedi che gli ordina il medico, i quali alle volte sono più disgustosi e più penosi che la stessa infermità; e come sopporti con pazienza i mancamenti che gli pare si facciano con lui da quelli che lo assistono e servono.