Chi prega si salva, chi non prega si danna (1ª parte)


«DEL
GRAN MEZZO DELLA PREGHIERA»


di
S. Alfonso M. De’ Liguori









S.Alfonso









Dedica
a Gesù ed a Maria




INTRODUZIONE



CAPO I



DELLA NECESSITA DELLA
PREGHIERA

I. – LA PREGHIERA È
NECESSARIA ALLA SALUTE, DI NECESSITA DI MEZZO.




II. – SENZA LA PREGHIERA
È IMPOSSIBILE RESISTERE ALLE TENTAZIONI E PRATICARE I COMANDAMENTI.




III. – DELLA INVOCAZIONE
DEI SANTI.


È utile ricorrere
alla intercessione dei Santi?




È conveniente
ricorrere alle anime del Purgatorio?




Dell’obbligo
di pregare per le anime del Purgatorio.




L’invocazione
dei Santi è necessaria.




Della intercessione della Madonna.




Conclusione.



CAPO
II



DEL VALORE DELLA PREGHIERA

I.
– DELL’ECCELLENZA DELLA PREGHIERA E DEL SUO POTERE PRESSO DIO.




II.
– DELLA FORZA DELLA PREGHIERA CONTRO LE TENTAZIONI.




III.
– DIO È SEMPRE PRONTO AD ESAUDIRCI.




IV.
– DOMANDIAMO A DIO COSE GRANDI.


È
meglio pregare che meditare.




Conclusione.

CAPO III



DELLE CONDIZIONI DELLA PREGHIERA

I.
– PREGARE PER SE STESSO.


Ha
Dio promesso di esaudire la preghiera fatta per gli altri?




Dobbiamo
pregare per i peccatori.

II.
– CHIEDERE COSE NECESSARIE ALLA SALUTE ETERNA.




III.
– PREGARE CON UMILTÀ.


Quanto
l’umiltà sia necessaria alla preghiera




Dobbiamo
preferire la via comune alla via straordinaria

IV.
– PREGARE CON FIDUCIA.


Eccellenza
e necessità della fiducia.




Fondamento
della nostra fiducia.




Anche
i peccatori debbono aver fiducia.

V.
– PREGARE CON PERSEVERANZA.


Necessità
della perseveranza.




Occorre
chiedere di continuo la perseveranza finale.




Motivi
per cui Dio differisce di concederci la perseveranza finale.




Conclusione:
che non dobbiamo mai cessare di pregare.

ESERCIZI
DEVOTI DA PRATICARSI.


Atti
da farsi ogni mattino.




In
alzarsi la mattina.




Cominciando
a lavorare o studiare.



Andando a mensa.



Dopo il pranzo.



Quando suona l’ora.



Nelle cose avverse.



In tempo di tentazioni.



Quando conosce o dubita di qualche difetto o peccato commesso.




Atti
da farsi ogni sera.




Modo
di sentire la Messa.




Apparecchio alla Confessione.


Atto
prima della Confessione.


Atto
dopo la Confessione.

Apparecchio alla santa Comunione.


Atti
prima della Comunione.


Atti
dopo la santa Comunione.





Del gran mezzo della preghiera


Per conseguire la salute
eterna e tutte le grazie che desideriamo







Al Verbo Incarnato Gesù Cristo

diletto dall’eterno Padre benedetto del Signore, autore della vita, re della gloria,
Salvatore del mondo, aspettato dalle genti, desiderio dei colli eterni, Padre celeste,
giudice universale, mediatore tra Dio e gli uomini, maestro delle virtù, agnello
senza macchia, uomo dei dolori, sacerdote eterno e vittima d’amore, speranza dei
peccatori, fonte delle grazie, pastore buono, innamorato delle anime,



ALFONSO



peccatore quest’opera consacra








Dedica
a Gesù ed a Maria




O Verbo Incarnato, voi avete dato il sangue e la vita per ottenere alle nostre
preghiere (come già avete promesso) tanto di valore, che impetrano quanto
chiedono; e noi, oh Dio! siamo così negligenti della nostra salute che neppure
vogliamo domandare le grazie che ci abbisognano per salvarci! Voi, con tal mezzo
di pregare, ci avete data la chiave di tutti i vostri divini tesori, e noi per non
pregare vogliamo restare miseri quali siamo! Deh, Signore, illuminateci e fateci
conoscere quanto valgono appresso il vostro Eterno Padre le suppliche fatte in nome
di Voi e per i vostri meriti. Io vi consacro questo mio libretto, beneditelo Voi,
e fate che tutti quelli che l’avranno nelle mani s’invoglino a sempre pregare, e
si adoprino ad infiammare anche gli altri affinché si valgano di questo gran
mezzo della loro salute.

A Voi anche raccomando questa mia operetta, o gran madre di Dio Maria: Voi proteggetela
con ottenere a tutti coloro, che la leggeranno, lo spirito di pregare con ricorrere
sempre in tutti i loro bisogni al vostro Figlio, ed a Voi, che siete la dispensatrice
delle grazie, e siete la Madre della misericordia, che non sapete lasciare scontento
alcuno che a Voi si raccomanda, e siete all’incontro la Vergine potente, che ottenete
da Dio ai vostri servi, quanto chiedete.



INTRODUZIONE


Io ho dato alla luce diverse
operette spirituali, ma stimo di non aver fatta opera più utile di questo
libretto, in cui parlo della preghiera, per essere ella un mezzo necessario e sicuro,
al fine di ottenere la salute, e tutte le grazie che per quella ci bisognano. Io
non ho questa possibilità, ma se potessi, vorrei di questo libretto stamparne
molte copie, quanti sono tutti i fedeli che vivono sulla terra, e dispensarle ad
ognuno, affinché ognuno intendesse la necessità, che abbiamo tutti
di pregare per salvarci.

Dico ciò, perché vedo da una parte quest’assoluta necessità
della preghiera, tanto per altro inculcata da tutte le Sacre Scritture, e da tutti
i Santi Padri; ed al contrario vedo, che i cristiani poco attendono a praticare questo
gran mezzo della loro salute. E quel che più mi affligge, vedo che i predicatori
e confessori poco attendono a parlarne ai loro uditori e penitenti; e vedo che anche
i libri spirituali, che oggidì corrono per le mani, neppure ne parlano abbastanza.
Mentre invece tutti i predicatori, confessori e tutti i libri, non dovrebbero insinuare
altra cosa con maggior premura e calore, che questa del pregare. Essi infatti inculcano
tanti buoni mezzi alle anime per conservarsi in grazia di Dio: la fuga delle occasioni,
la frequenza dei Sacramenti, la resistenza alle tentazioni, il sentir la divina parola,
il meditare le Massime eterne, ed altri mezzi (non lo nego) utilissimi: ma
a che servono, io dico, le prediche e meditazioni e tutti gli altri mezzi che danno
i maestri spirituali senza la preghiera, quando il Signore si è dichiarato
che non vuol concedere le grazie se non a chi prega? Chiedete ed otterrete (Gv
16,24). Senza la preghiera (parlando secondo la Provvidenza ordinaria) resteranno
inutili tutte le meditazioni fatte, tutti i nostri propositi, e tutte le nostre promesse.
Se non preghiamo saremo sempre infedeli a tutti i lumi ricevuti da Dio, ed a tutte
le promesse da noi fatte. La ragione sta qui: che a fare attualmente il bene, a vincere
le tentazioni, ad esercitare le virtù, insomma ad osservare i divini precetti
non bastano i lumi da noi ricevuti, e le considerazioni e i propositi da noi fatti,
ma vi è bisogno di una grazia attuale di Dio; e il Signore questo aiuto attuale
(come appresso vedremo) non lo concede, se non a chi prega. I lumi ricevuti, le considerazioni
ed i buoni propositi concepiti, servono a stimolarci a pregare nei pericoli e nelle
tentazioni per ottenere il divino soccorso, che ci preservi poi dal peccato. Ma se
allora non preghiamo, saremo perduti.



Ho voluto, lettore mio, premettere questo mio sentimento a tutto quello che appresso
scriverò, affinché ringraziate il Signore, che, per mezzo di questo
mio libretto, vi dona la grazia di riflettere maggiormente sull’importanza di questo
gran mezzo della preghiera; poiché tutti quelli che si salvano (parlando degli
adulti), ordinariamente per questo unico mezzo si salvano. E perciò dico,
ringraziatene Dio; perché è una misericordia troppo grande quella che
Egli fa a coloro ai quali dà la luce e la grazia di pregare. Io spero che
voi, amato mio fratello, dopo aver letta questa breve operetta, non sarete più
trascurato d’ora innanzi a ricorrere sempre a Dio coll’orazione, quando sarete tentato
ad offenderlo. Se mai per il passato vi trovaste aggravata la coscienza di molti
peccati, intendiate che questa n’è stata la cagione: la trascuratezza di pregare
e di cercare a Dio l’aiuto per resistere alle tentazioni, che vi hanno assalito.
Vi prego intanto di leggerlo e rileggerlo e con tutta l’attenzione, non già
perché è frutto del mio ingegno, ma perché egli è mezzo
che il Signore vi porge per bene della vostra eterna salute: dandovi con ciò
ad intendere in modo particolare, che vi vuol salvo. E dopo averlo letto; vi prego
di farlo leggere ad altri (come potrete) amici o paesani, con cui converserete. Or
cominciamo in nome del Signore.

Scrisse l’Apostolo a Timoteo:
Raccomando adunque prima di tutto, che si facciano suppliche, orazioni, voti,
ringraziamenti
(1 Tm 2,1). Spiega l’Angelico san Tommaso (2, 2.ae,
q. 83, art. 17), che l’orazione è propriamente il sollevare la mente
a Dio. La postulazione poi è propriamente la preghiera; la quale, quando
la domanda contiene cose determinate, come quando diciamo: Muoviti, o Dio, in
mio soccorso…
si chiama supplica. La obsecrazione è una pia adiurazione,
ossia contestazione, per impetrare la grazia, come quando diciamo: Per la tua
croce e passione, liberaci, o Signore.
Finalmente l’azione di grazie è
il ringraziamento per i benefici ricevuti, col quale, dice san Tommaso, che noi meritiamo
di ricevere benefici maggiori: Rendendo grazie meritiamo beni maggiori. L’orazione
presa in particolare, dice il santo Dottore, significa il ricorso a Dio; ma presa
in generale, contiene tutte le altre parti di sopra nominate; e tale noi l’intenderemo
nominandola da qui in avanti col nome di orazione o di preghiera.

Per affezionarci poi a questo gran mezzo della nostra salute quale è la preghiera,
bisogna considerare, quanto sia ella a noi necessaria, e quanto valga ad ottenerci
tutte le grazie che da Dio desideriamo, se sappiamo domandarle come si deve. Quindi
parleremo prima della necessità e del valore della preghiera,
e poi delle condizioni della medesima, affinché ella riesca efficace
appresso Dio.

CAPO
I



DELLA NECESSITA DELLA PREGHIERA



I. – LA PREGHIERA È NECESSARIA ALLA SALUTE,

DI NECESSITA DI MEZZO.



Fu già errore dei pelagiani il dire, che l’orazione non è necessaria
a conseguire la salute. Diceva l’empio loro maestro Pelagio, che l’uomo in tanto
solamente si perde, in quanto trascura di riconoscere le verità necessarie
a sapersi. Ma gran cosa! diceva Santo Agostino: «Pelagio d’ogni altra cosa
voleva trattare, fuorché dell’orazione» (De natura et orat. c. XVII),
ch’è l’unico mezzo, come teneva ed insegnava il santo, per acquistare la scienza
dei santi, secondo quel che scrisse già S. Giacomo: «Se alcuno di
voi è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente
e non lo rimprovera, e gli sarà concesso»
(Gc 1,5).

Sono troppo chiare le Scritture, che ci fan vedere la necessità che abbiamo
di pregare, se vogliamo salvarci. Bisogna sempre pregare, né mai stancarsi
(Lc 18,1). Vegliate ed orate per non cadere in tentazione (Mt 26,41).
Chiedete ed otterrete (Mt 7,7). Le suddette parole bisogna, chiedete, orate,
come vogliono comunemente i teologi, significano ed importano precetto e necessità.
Vicleffo diceva, che questi testi s’intendevano non già dell’orazione, ma
solamente della necessità delle buone opere, sicché il pregare in suo
senso non era altro che il bene operare: ma questo fu suo errore e fu condannato
espressamente dalla Chiesa. Onde scrisse il dotto Leonardo Lessio, «non
potersi negare senza errare nella fede, che la preghiera agli adulti è necessaria
per salvarsi; constando evidentemente dalle Scritture, essere l’orazione l’unico
mezzo per conseguire gli aiuti necessari alla salute
» (De Iust. 1, 2, c.
37, dub. 3, n. 9).

La ragione è chiara. Senza il soccorso della grazia, noi non possiamo fare
alcun bene. Senza di me non potete far nulla (Gv 15,5). Nota S. Agostino
su queste parole, che Gesù Cristo non disse: niente potete compire, ma
niente potete fare.
Per darci con ciò ad intendere il nostro Salvatore,
che noi senza la grazia, neppure possiamo cominciare a fare il bene. Anzi scrisse
l’Apostolo: Da per noi neppure possiamo avere desiderio di farlo (2 Cr 3,5).
Se dunque non possiamo neanche pensare al bene, tanto meno possiamo desiderarlo.
Lo stesso ci significano tante altre Scritture. Lo stesso Dio è quegli
che fa in tutti tutte le cose
(1 Cr 12,6). Farò che camminiate nei
miei precetti, ed osserviate le mie leggi, e le pratichiate
(Ez 36,27). In
modo che, siccome scrisse san Leone I: «Noi non facciamo alcun bene, fuori
di quello che Dio con la sua grazia ci fa operare
». Onde il Concilio di
Trento nella Sess. 6, can. 3, disse: «Se alcuno avrà detto, che senza
una preventiva ispirazione, ed aiuto dello Spirito Santo, l’uomo può credere,
sperare, amare o pentirsi, come bisogna, per ottenere la grazia della giustificazione,
sia scomunicato
» (Sess. 6, can. 3).

L’autore dell’Opera imperfetta, parlando dei bruti ci dice che il Signore
altri ha provveduto di corso, altri di unghie, altri di penne, affinché possano
così conservare il loro essere; ma l’uomo poi l’ha formato in tal stato, che
esso solo, Dio, fosse tutta la di lui virtù (Hom. 18). Sicché
l’uomo è affatto impotente a procurarsi la sua salute, poiché ha voluto
Iddio, che quanto ha, e può avere, tutto lo riceva dal solo aiuto della sua
grazia.

Ma questo aiuto della grazia, il Signore per provvidenza ordinaria, non lo concede
se non a chi prega, secondo la celebre sentenza di Gennadio: «Crediamo che
niuno giunga a salute, se Dio non lo invita; niuno invitato operi la salute, se non
è da Dio aiutato; niuno meriti aiuto, se non per mezzo della preghiera
»
(De Eccl. dogm. cap. 26). Posto dunque da una parte, che senza il soccorso
della grazia niente noi possiamo; e posto dall’altra che tale soccorso ordinariamente
non si dona da Dio se non a chi prega, chi non vede dedursi per conseguenza, che
la preghiera ci è assolutamente necessaria alla salute? È vero che
le prime grazie, le quali vengono a noi senza alcuna nostra cooperazione, come sono
la vocazione alla fede, alla penitenza, dice S. Agostino, che Dio le concede anche
a coloro che non pregano; tuttavia il santo tiene poi per certo che le altre grazie
(e specialmente il dono della perseveranza) non si concedono se non a chi prega (De
Dono pers. c. 16
).

Ond’è che i teologi comunemente con san Basilio, san Giovanni Crisostomo,
Clemente Alessandrino, ed altri col medesimo S. Agostino, insegnano che la preghiera
agli adulti è necessaria non solo di necessità di precetto, come abbiamo
veduto, ma anche di mezzo. Vale a dire che di provvidenza ordinaria, un fedele senza
raccomandarsi a Dio, con cercargli le grazie necessarie alla salute, è impossibile
che si salvi. Lo stesso insegna san Tommaso dicendo: «Dopo il battesimo
poi è necessaria all’uomo una continua orazione, affine di entrare in cielo;
poiché quantunque per mezzo del battesimo si rimettano i peccati, ciò
nondimeno rimane il fomite del peccato che ci fa guerra internamente e il mondo e
i demoni, che ci guerreggiano esternamente
» (3 p. q. 39, art. 5). La ragione
dunque, che ci fa certi, secondo l’Angelico, della necessità che abbiamo della
preghiera, eccola in breve: Noi per salvarci dobbiamo combattere e vincere: Colui
che combatte nell’agone non è coronato, se non ha combattuto secondo le leggi
(1 Tm 2,5). All’incontro senza l’aiuto divino non possiamo resistere alle forze
di tanti e tali nemici: or questo aiuto divino solo per l’orazione si concede; dunque
senza orazione non v’è salute.

Che poi l’orazione sia l’unico ordinario mezzo per ricevere i divini doni, lo conferma
più distintamente il medesimo santo dottore in altro luogo dicendo che il
Signore tutte le grazie che ab aeterno ha determinato di donare a noi,
vuol donarcele non per altro mezzo che per l’orazione
(2, 2.ae, q. 83, 2).
E lo stesso scrisse S. Gregorio: «Gli uomini pregando meritano di ricevere
ciò che Dio avanti i secoli dispone loro di dare
» (Lib. i. Dial.
cap. 8). Non già, dice S. Tommaso, è necessario di pregare, affinché
Iddio intenda i nostri bisogni, ma affinché noi intendiamo la necessità,
che abbiamo di ricorrere a Dio, per ricevere i soccorsi opportuni per salvarci, e
con ciò riconoscerlo per unico autore di tutti i nostri beni (Ibid. ad
1 et 2). Siccome dunque ha stabilito il Signore che noi fossimo provveduti di pane
col seminare il grano, e del vino col piantare le viti; così ha voluto che
riceviamo le grazie necessarie i alla salute per mezzo della preghiera, dicendo:
“Chiedete ed otterrete, cercate, e troverete” (Matth. 7,7).

Noi insomma, altro non siamo che poveri mendicanti, i quali tanto abbiamo, quanto
ci dona Dio per elemosina. Io per me sono mendico e senza aiuto (Ps. 39,18).
Il Signore, dice S. Agostino, bene desidera e vuole dispensare le sue grazie,
ma non vuol dispensarle se non a chi le domanda (In Ps. 102). Egli si protesta
con dire: «Chiedete ed otterrete». Cercate, e vi sarà dato;
dunque dice santa Teresa, chi non cerca, non riceve. Siccome l’umore è necessario
alle piante per vivere e non seccare, così dice il Crisostomo, è necessaria
a noi l’orazione per salvarci. In altro luogo, dice il medesimo santo, che: «siccome
il corpo senza dell’anima non può vivere, così l’anima senza l’orazione
è morta, e manda cattivo odore
» (De or. D. l. i.). Dice,
manda cattivo odore, perché chi lascia di raccomandarsi a Dio, subito comincia
a puzzare di peccati. Si chiama anche l’orazione cibo dell’anima perché «senza
cibo non può sostentarsi il corpo, e senza l’orazione, dice S. Agostino, non
può conservarsi in vita l’anima
» (De sal. doc. c. 28). Tutte
queste similitudini che adducono questi santi Padri, denotano l’assoluta necessità,
ch’essi insegnano d’esservi in pregare per conseguire la salute.


II. – SENZA LA PREGHIERA È IMPOSSIBILE RESISTERE ALLE TENTAZIONI E PRATICARE
I COMANDAMENTI.



L’orazione inoltre è l’arma più necessaria per difenderci dai nemici:
chi di questa non s’avvale, dice S. Tommaso, è perduto. Non dubita il Santo
di ritenere che Adamo cadde perché non si raccomandò a Dio allora che
fu tentato (P. I. q. 94, a. 4). E lo stesso scrisse S. Gelasio parlando degli
angeli ribelli: «Che cioè ricevendo invano la grazia di Dio, senza
pregare non seppero rimanere fedeli
» (Epist. adversus Pelag. haeret.).
San Carlo Borromeo in una lettera Pastorale (Litt. pastor. De or. in com.)
avverte, che tra tutti i mezzi che Gesù Cristo ci ha raccomandati nel Vangelo,
ha dato il primo luogo alla preghiera: ed in ciò ha voluto che si distinguesse
la sua Chiesa e Religione dalle altre sette, volendo che ella si chiamasse specialmente
casa d’orazione. La casa mia sarà chiamata casa d’orazione (Mt 21,13).

Conclude S. Carlo nella suddetta lettera, che la preghiera è il principio,
il progresso e il complemento di tutte le virtù. Sicché nelle tenebre,
nelle miserie e nei pericoli, in cui ci troviamo (diceva re Giosafat) non abbiamo
in che altro fondare le nostre speranze, che in sollevare gli occhi a Dio e dalla
sua misericordia impetrare colle preghiere la nostra salvezza (2 Cron 20,12).
E così anche praticava Davide; non trovando altro mezzo per non esser preda
dei nemici, che pregare continuamente il Signore a liberarlo dalle loro insidie:
«Gli occhi miei sono sempre rivolti al Signore perché Egli trarrà
dal laccio i miei piedi
(Sal 24,15). Sicché altro egli non faceva
che pregare dicendo: «A me volgi il tuo sguardo, e abbi pietà di
me, perché io son solo e son povero»
(Ibid. 24,16). «Gridai
a te: dammi salute affinché osservi i tuoi precetti»
(Sal 118,146).
Signore, volgete a me gli occhi, abbiate pietà di me, e salvatemi: mentre
io non posso niente, e fuori di Voi non ho chi possa aiutarmi.

Ed infatti come potremmo noi resistere alle forze dei nostri nemici, ed osservare
i divini precetti, specialmente dopo il peccato di Adamo, che ci ha resi così
deboli ed infermi, se non avessimo il mezzo dell’orazione, per cui possiamo già
dal Signore impetrare la luce e la forza bastante per osservarli? Fu già bestemmia
quella che disse Lutero, cioè che dopo il peccato di Adamo sia assolutamente
impossibile agli uomini l’osservanza della divina legge. Giansenio ancora disse che
alcuni precetti ai giusti erano impossibili secondo le presenti forze che hanno.
E sin qui la sua proposizione avrebbe potuto spiegarsi in buon senso; ma ella fu
giustamente condannata dalla Chiesa per quello che poi vi aggiunse, dicendo che mancava
ancora la grazia divina a renderli possibili. È vero, dice S. Agostino, che
l’uomo per la sua debolezza non può già adempiere alcuni precetti con
le presenti forze e con la grazia ordinaria, ossia comune a tutti; ma ben può
con la preghiera ottenere l’aiuto maggiore, che vi bisogna per osservarli: «Iddio
non comanda cose impossibili, ma nel comandare ti avvisa di fare quel che puoi, e
chiedere quel che non puoi, ed aiuta affinché tu lo possa
» (De
nat. et grat. cap.
XLIII). È celebre questo testo del Santo, che poi fu
adottato e fatto dogma di fede dal Concilio di Trento (Sess. VI, cap. II). Ed ivi
immediatamente soggiunse il santo Dottore: «Vediamo in che modo… (cioè,
come l’uomo può fare quel che non può). Per mezzo della medicina
potrà quello che non può per la sua infermità
» (Ibid.
cap. LXIX). E vuol dire che con la preghiera otteniamo il rimedio alla nostra debolezza;
poiché pregando noi, Iddio ci dona la forza a far quel che noi non possiamo.

Non possiamo già credere, segue a parlare S. Agostino, che il Signore, abbia
voluto imporci l’osservanza della legge, e che poi ci abbia imposto una legge impossibile;
e perciò dice il Santo, che allorché Dio ci fa conoscere impotenti
ad osservare tutti i suoi precetti, egli ci ammonisce a far le cose difficili con
l’aiuto maggiore che possiamo impetrare per mezzo della preghiera (Sess. VI, cap.
LXIX). Ma perché, dirà taluno, ci ha comandato Dio cose impossibili
alle nostre forze? Appunto per questo, dice il Santo, affinché noi attendiamo
ad ottenere con l’orazione l’aiuto per fare ciò che non possiamo (De gr.
et lib. arb. c.
16). E in altro luogo: «La legge fu data affinché
domandassimo la grazia; la grazia fu donata, affinché fosse adempita la legge
»
(De sp. et lit. c. 19). La legge non può osservarsi senza la grazia;
e Dio a questo fine ha dato la legge, affinché noi sempre lo supplicassimo
a donarci la grazia per osservarla. In altro luogo dice: «La legge è
buona per chi ne usa legittimamente. Che vuol dire dunque servirsi legittimamente
della legge?
» (Serm. 156).

E risponde: «riconoscere per mezzo della legge la propria infermità
e domandare il divino aiuto onde conseguire la salute
» (Serm. 156).
Dice dunque S. Agostino, che noi dobbiamo servirci della legge, ma a che cosa? a
conoscere per mezzo della legge (a noi impossibile) la nostra impotenza ad osservarla,
affinché poi impetriamo, col pregare, l’aiuto divino che sana la nostra debolezza.

Lo stesso scrisse S. Bernardo, dicendo: «Chi siamo noi, e qual è
la nostra forza che possiamo resistere a tante tentazioni? Questo certamente ricercava
Iddio che, vedendo noi la nostra debolezza, e che non abbiamo in pronto altro aiuto,
ricorressimo con tutta umiltà alla sua misericordia
» (Serm. v.
De Quadrag.
). Conosce il Signore, quanto utile sia a noi la necessità
di pregare, per conservarci umili e per esercitarci alla confidenza: e perciò
permette che ci assaltino nemici insuperabili dalle nostre forze, affinché
noi con la preghiera otteniamo dalla sua misericordia l’aiuto a resistere.

Specialmente, si avverta che niuno può resistere alle tentazioni impure della
carne, se non si raccomanda a Dio quando è tentato. Questa nemica è
sì terribile, che quando ci combatte, quasi ci toglie ogni luce: ci fa scordare
di tutte le meditazioni e buoni propositi fatti e ci fa vilipendere ancora le verità
della fede, quasi perdere anche il timore dei castighi divini: poiché ella
si congiura con l’inclinazione naturale, che con somma violenza ne spinge ai piaceri
sensuali. Chi allora non ricorre a Dio, è perduto. L’unica difesa contro questa
tentazione è la preghiera; dice S. Gregorio Nisseno: «L’orazione
è il presidio della pudicizia
» (De or. Dom. I.). E lo disse
prima Salomone: ‘Tosto ch’io seppi come non poteva essere continente se Dio non
mel concedeva, io mi presentai al Signore, e lo pregai”
(Sap 8,21).
La castità è una virtù che non abbiamo forza di osservare se
Dio non ce la concede, e Dio non concede questa forza, se non a chi la domanda. Ma
chi la domanda certamente l’otterrà.

Pertanto dice S. Tommaso contro Giansenio, che non dobbiamo dire essere a noi impossibile
il precetto, poiché quantunque non possiamo noi osservarlo con le nostre forze,
lo possiamo nondimeno con l’aiuto divino (1, 2, q. 109, a. 4, ad 2). Né
dicasi, che sembra un’ingiustizia il comandare ad uno zoppo che cammini diritto;
no, dice S. Agostino, non è ingiustizia, sempre che gli sia dato il modo di
trovare rimedio al suo difetto; onde se egli poi segue a zoppicare, la colpa è
sua (De perfect. iust. c. III).

Insomma, dice lo stesso santo Dottore, che non saprà mai vivere bene chi non
saprà ben pregare (S. 55. in app.). Ed all’incontro, dice S. Francesco
d’Assisi, che senza orazione non può sperarsi mai alcun buon frutto in un’anima.
A torto dunque si scusano quei peccatori che dicono di non aver forza di resistere
alla tentazione. Ma se voi, li rimprovera S. Giacomo, non avete questa forza, perché
non la domandate? Voi non l’avete, perché non la cercate (Gc 4,2).
Non vi è dubbio, che noi siamo troppo deboli per resistere agli assalti dei
nostri nemici, ma è certo ancora, che Dio è fedele, come dice l’Apostolo,
e non permette che noi siamo tentati oltre le nostre forze: “Ma fedele è
Dio, il quale non permetterà che voi siate tentati oltre il vostro potere,
ma darà con la tentazione il profitto, affinché possiate sostenere”
(1 Cr 10,13). Commenta Primasio: «Con l’aiuto della grazia
farà provenire questo, che possiate sopportare la tentazione
». Noi
siamo deboli, ma Iddio è forte: quando noi gli domandiamo l’aiuto, allora
egli ci comunica la sua fortezza, e potremo tutto, come giustamente vi prometteva
lo stesso Apostolo dicendo: “Tutte le cose mi sono possibili in Colui che
è mio conforto”
(Fil 4,13). «Non ha scusa dunque,
dice S. Giovanni Crisostomo, chi cade perché trascura di pregare, poiché
se avesse pregato, non sarebbe restato vinto dai nemici
» (Serm. De Moyse).

III.
– DELLA INVOCAZIONE DEI SANTI.



È utile ricorrere alla intercessione dei Santi?



Qui cade poi il dubbio, se sia necessario il ricorrere ancora all’intercessione
dei Santi, per ottenere le divine grazie. In quanto al dire che sia cosa lecita ed
utile l’invocare i Santi, come intercessori ad impetrarci per i meriti di Gesù
Cristo, quel che noi per nostri demeriti non siamo degni di ottenere; questa è
dottrina già della Chiesa, come ha dichiarato il Concilio di Trento (In
Decr. de invoc. Ss.
).

Tale invocazione era condannata dall’empio Calvino, ma troppo ingiustamente. Se è
lecito e profittevole l’invocare in nostro soccorso i santi viventi, e pregarli che
ci assistano con le loro azioni, come faceva il profeta Baruch che diceva: E per
noi pure pregate il Dio nostro…
(Bar 1,13). E S. Paolo: Fratelli,
pregate per noi
(1 Ts 1,25). E Dio medesimo volle, che gli amici di Giobbe
si raccomandassero alle di lui orazioni, acciocché per i meriti di Giobbe
egli li favorisse: Andate a trovare Giobbe mio servo… e Giobbe mio servo farà
orazioni per voi, e in grazia di lui non sarà imputata in voi la vostra stoltezza
(Gb 42,8). Se è lecito dunque raccomandarsi ai vivi, perché
non ha da esser lecito l’invocare i Santi, che in cielo più da vicino godono
Dio? Ciò non è derogare all’onore che a Dio si deve, ma duplicarlo,
com’è l’onorare il re non solo nella sua persona, ma ancora nei suoi servi.
Che perciò dice S. Tommaso, essere bene che si ricorra a molti Santi, «perché
con le orazioni di molti alle volte si ottiene ciò che non si consegue per
l’orazione di un solo
». Che se poi dicesse taluno: ma che serve ricorrere
ai Santi affinché preghino per noi, quando essi già pregano per tutti
coloro che ne sono degni? Risponde lo stesso santo Dottore, che alcuno non sarebbe
già degno che i Santi preghino per lui, ma ne è appunto fatto degno,
perché ricorre con devozione al Santo medesimo (In 4 Sent. d. 45, q. 3
a. S.).



È conveniente ricorrere alle anime del
Purgatorio?




Si controverte poi, se giovi il raccomandarsi alle anime del Purgatorio. Alcuni
dicono che le anime purganti non possono pregare per noi, indotti dell’autorità
di S. Tommaso, il quale dice che quelle anime stando a purgarsi tra le pene, sono
a noi inferiori, e perciò, non sono in stato di pregare, ma bensì che
si preghi per esse (2, 2.ae, q. 83, a. 2). Ma molti altri Dottori, come il
Bellarmino, Silvio, il Cardinale Gotti ecc., molto probabilmente l’affermano, dovendosi
piamente credere, che Dio manifesta loro le nostre orazioni, affinché quelle
sante anime preghino per noi, e così tra noi e loro si conservi questo bel
commercio di carità, cioè che noi preghiamo per esse, ed esse per noi.
Né osta, come dicono Silvio e Gotti, quel che ha detto l’Angelico, di non
essere le anime purganti in stato di pregare: perché altro è il non
essere in stato di pregare, altro il non poter pregare. È vero, che quelle
anime sante non sono in stato di pregare, perché, come dice S. Tommaso, stando
a patire sono inferiori a noi, e più presto bisognose delle nostre orazioni;
nulladimeno in tale stato ben possono pregare, perché sono anime amiche di
Dio. Se mai un padre ama teneramente un figlio, ma lo tiene carcerato, affine di
punirlo di qualche difetto commesso, il figlio allora non è in stato di pregare
per sé, ma perché egli non può pregare per gli altri? E non
sperare di ottenere ciò che chiede, sapendo l’affetto che gli porta il padre?
Così essendo le anime del Purgatorio molto amate da Dio, e confermate in grazia,
non v’è impedimento che possa loro vietare di pregarlo per noi. La Chiesa
per altro non suole invocarle, ed implorare la loro intercessione, perché
ordinariamente esse non conoscono le nostre orazioni. Ma piamente si crede, come
si è detto, che il Signore faccia loro note le nostre preghiere, ed allora
esse che sono piene di carità, non lasciano certamente di pregare per noi.
Santa Caterina di Bologna, quando desiderava qualche grazia, ricorreva alle anime
del Purgatorio, e ben presto si vedeva esaudita. Anzi attestava, che molte grazie
che non aveva ottenute per intercessione dei Santi, le aveva poi conseguite per mezzo
delle anime del Purgatorio.



Dell’obbligo di pregare per le anime del Purgatorio



Ma qui mi si permetta di fare una digressione a beneficio di quelle sante anime!
Se vogliamo noi il soccorso delle loro orazioni, è bene che ancora noi attendiamo
a soccorrerle con le nostre orazioni ed opere. Dissi, è bene, ma anche deve
dirsi essere questo uno dei doveri cristiani, poiché richiede la carità,
che noi sovveniamo il prossimo quando il prossimo sta in necessità del nostro
aiuto, e noi possiamo aiutarlo senza grave incomodo. Or è certo che i nostri
prossimi sono ancora le anime del Purgatorio, le quali benché non siano più
in questa vita, nulladimeno non lasciano d’essere nella comunione dei Santi, dice
S. Agostino. E più distintamente lo dichiara S. Tommaso a nostro proposito,
dicendo che la carità dovuta verso i defunti, i quali sono passati all’altra
vita in grazia, è un’estensione di quella stessa carità, che dobbiamo
verso i nostri prossimi viventi (In Ps. 37). Ond’è che noi dobbiamo soccorrere
secondo possiamo quelle sante anime come nostri prossimi. Ed essendo le loro necessità
maggiori di quelle degli altri prossimi, maggiore ancora per questo riguardo par
che sia il nostro dovere di sovvenirle.

Ora in quali necessità si ritrovano quelle sante prigioniere? È certo,
che le loro pene sono immense. «Il fuoco che le cruccia, dice S. Agostino,
è più tormentoso di qualunque pena, che possa affliggere l’uomo
in questa vita
» (In 4 Sent. d. 45, q. 2, s. 2). E lo stesso stima
S. Tommaso, aggiungendo essere quello il medesimo fuoco dell’inferno. E ciò
è in quanto alla pena del senso, ma assai più grande è poi la
pena del danno, cioè la privazione di Dio, che affligge quelle sue sante spose;
mentre quelle anime, non solo dal naturale, ma anche dal soprannaturale amore, di
cui ardono verso Dio, sono tirate con tal impeto ad unirsi col loro Bene, che vedendosi
poi impedite dalle loro colpe, provano una pena sì acerba che se esse fossero
capaci di morte, morirebbero in ogni momento. Sicché, secondo dice il Crisostomo,
questa pena della privazione di Dio tormenta immensamente più che la pena
del senso. Ond’è che quelle sante spose vorrebbero patire tutte le altre pene,
anziché esser private d’un sol momento di quella sospirata unione con Dio.
Dice pertanto il maestro Angelico, che la pena del Purgatorio eccede ogni dolore
che può patirsi in questa vita. E riferisce Dionisio Cartusiano, che un certo
defunto, poi risorto per intercessione di S. Girolamo, disse a S. Cirillo Gerosolimitano,
che tutti i tormenti di questa terra sono sollievi e delizie a rispetto della minor
pena, che v’è nel Purgatorio. E soggiunse, che se un uomo avesse provato quelle
pene, vorrebbe più presto soffrire tutti i dolori di questa vita che hanno
patito gli uomini fino al giorno del giudizio, che patire per un giorno solo la minor
pena del Purgatorio. Onde scrisse il nominato S. Cirillo, che quelle pene, in quanto
all’asprezza, sono le stesse che quelle dell’Inferno; in questo solo differiscono,
che non sono eterne.

Le pene dunque di quelle anime sono troppo grandi; dall’altra parte non possono aiutarsi
da sé; esse, secondo quel che dice Giobbe, sono in catena ed annodate dai
lacci di povertà
(Gb 36,8). Sono già destinate al regno
quelle sante regine, ma sono trattenute sin tanto che non giunge il termine della
loro purga; sicché non possono aiutarsi (almeno a sufficienza, se vogliamo
credere a quei Dottori, i quali vogliono che quelle anime ben possano anche con le
loro orazioni impetrare qualche sollievo) per sciogliersi da quelle catene, finché
non soddisfano interamente la divina giustizia. Così appunto disse dal Purgatorio
un monaco Cistercense al sacrestano del suo monastero: «Aiutatemi, vi prego,
con le vostre orazioni, perché io da per me niente posso ottenere
».
E ciò è secondo quel che dice S. Bonaventura, cioè che quelle
anime sono sì povere, che non hanno come soddisfare.

All’incontro essendo certo, anzi di fede, che noi possiamo coi nostri suffragi, e
principalmente con le orazioni approvate od anche praticate dalla Chiesa, sollevare
quelle sante anime; io non so come possa essere scusato da colpa, chi trascura di
porgere loro qualche aiuto, almeno con le sue orazioni. Ci muova almeno a soccorrerle,
se non ci muove il dovere, il gusto che si dà a Gesù Cristo, in vedere
che noi ci applichiamo a sprigionare quelle sue dilette spose, acciocché le
abbia seco in Paradiso. Ci muova almeno finalmente l’acquisto dei gran meriti che
possiamo fare, con usare questo grande atto di carità verso di quelle sante
anime, le quali all’incontro sono gratissime, e ben conoscono il gran beneficio che
noi loro facciamo, sollevandole da quelle pene, e ottenendo con le nostre orazioni
l’anticipo della loro entrata alla gloria; onde non lasceranno, allorché elle
saranno ivi giunte, di pregare per noi. E se il Signore promette la sua misericordia
a chi usa misericordia al suo prossimo: beati i misericordiosi, perché
questi troveranno misericordia
(Mt 5,7), con molta ragione può sperare
la sua salute chi attende a sovvenire quelle sante anime così afflitte, e
così care a Dio. Gionata, dopo aver procurata la salute degli Ebrei con la
vittoria che ottenne dei nemici, fu condannato a morte da Saul suo padre per essersi
cibato del miele, contro l’ordine da lui dato. Ma il popolo si presentò al
re, e disse: E dovrà adunque morire Gionata, il quale ha salvato Israele
(1 Re 14,45). Or così appunto dobbiamo sperare che se mai alcuno di noi
ottiene con le sue orazioni, che un’anima esca dal Purgatorio e vada in Paradiso,
quell’anima dirà a Dio: Signore, non permettere che si perda colui che mi
ha liberato dalle pene. E se Saul concesse la vita a Gionata per le suppliche del
popolo, non negherà Iddio la salute eterna a quel fedele per le preghiere
di un’anima che gli è sposa. Inoltre, dice S. Agostino, che coloro che in
questa vita avranno più soccorso quelle sante anime, nell’altra, stando nel
Purgatorio, farà Dio che siano più soccorsi degli altri.

Si avverta che il più gran suffragio per le anime purganti è il sentir
la Messa per esse, ed in quella raccomandarle a Dio per i meriti della Passione di
Gesù Cristo, dicendo così: Eterno Padre, io vi offro questo sacrificio
del Corpo e Sangue di Gesù Cristo, con tutti i dolori ch’egli patì
nella sua vita e morte; e per i meriti della sua Passione vi raccomando le anime
del Purgatorio e specialmente… ecc. Ed è atto di molta carità raccomandare
nello stesso tempo anche le anime di tutti gli agonizzanti.



L’invocazione dei Santi è necessaria



Quanto si è detto delle anime purganti circa il punto, se esse possono
o no pregare per noi, e se pertanto a noi giovi o no il raccomandarci alle loro orazioni,
non corre certamente a rispetto dei Santi. Poiché in quanto ai Santi non può
dubitarsi essere utilissimo il ricorrere alla loro intercessione, parlando dei Santi
già canonizzati dalla Chiesa, che già godono la vista di Dio. Nel che
il credere fallibile la Chiesa, non può scusarsi da colpa o da eresia, come
vogliono S. Bonaventura, il Bellarmino, ed altri, o almeno prossima all’eresia, come
tengono il Suarez, l’Azorio, il Gotti ecc., poiché il sommo Pontefice nel
canonizzare i Santi, principalmente come insegna l’Angelico (Quodlib. 9, art.
16, ad. l), è guidato dall’istinto infallibile dello Spirito Santo.

Ma ritorniamo al dubbio di sopra proposto, se vi sia anche obbligo di ricorrere all’intercessione
dei Santi. lo non voglio entrare a decidere questo punto, ma non posso lasciare di
esporre una dottrina dell’Angelico. Egli primieramente in più luoghi rapportati
di sopra, e specialmente nel libro delle Sentenze, suppone per certo esser tenuto
ciascuno a pregare; poiché in altro modo non possono, come asserisce, ottenersi
da Dio le grazie necessarie alla salute, se non si domandano (in 4 sent. d. 15, q.
4, a. l). In altro luogo poi dello stesso libro, il Santo propone appunto il dubbio:
Se dobbiamo pregare i Santi, affinché interpellino per noi (in 4 sent. dist.
q. 3, a. 2). E risponde così (per far bene capire il sentimento del santo
bisogna riferire l’intero suo testo): «È l’ordine divinamente istituito
nelle cose (secondo Dionisio), che per via dei mezzi ultimi si riconducano a Dio.

«E però i Santi che sono nella Patria, essendo vicinissimi a
Dio, l’ordine della divina legge richiede questo, che noi, i quali rimanendo nel
corpo pellegriniamo lungi dal Signore, veniamo ricondotti a Lui per la mediazione
dei Santi. Il che appunto avviene, quando per mezzo di essi la divina bontà
diffonde gli effetti suoi. E perché il nostro ritorno a Dio deve corrispondere
al procedimento della bontà di lui verso di noi;
(Siccome i benefici di
Dio ci provengono mediante i suffragi dei Santi), così fa d’uopo che noi
siamo ricondotti a Dio, affinché di nuovo riceviamo i benefici di Lui per
la mediazione dei Santi. E quindi è che noi li stabiliamo nostri intercessori
appresso Dio e quasi mediatori quando loro domandiamo che preghino per noi
».


Si notino quelle parole: l’ordine della divina legge richiede questo; e specialmente
poi si notino le ultime: siccome per intercessione dei Santi provengono in noi i
benefici del Signore; così fa d’uopo che noi ci riconduciamo a Dio affinché
dì nuovo riceviamo benefici per la mediazione dei Santi.

Sicché secondo S. Tommaso, l’ordine della divina legge richiede, che noi mortali
per mezzo dei Santi ci salviamo, col ricevere per mezzo loro gli aiuti necessari
alla salute. Ed all’opposizione che si fa l’Angelico, cioè: che par superfluo
ricorrere ai Santi, mentre Iddio è infinitamente più di loro misericordioso
e propenso ad esaudirci, risponde, che ciò ha disposto il Signore, non già
per difetto della sua clemenza, ma per conservare l’ordine retto, ed universalmente
stabilito di operare per mezzo delle cause seconde.

E secondo quest’autorità di S. Tommaso, scrive il continuatore di Tournely
con Silvio, che sebbene solo Dio deve pregarsi come autore delle grazie, nulladimeno
noi siamo tenuti di ricorrere anche all’intercessione dei Santi, per osservare l’ordine
che circa la nostra salute il Signore ha stabilito, cioè che gl’inferiori
si salvino implorando aiuto dai superiori.



Della intercessione della Madonna



E se così corre parlando dei Santi, similmente deve dirsi dell’intercessione
della divina Madre, le cui preghiere appresso Dio valgono certamente più che
quelle di tutto il Paradiso. Dice infatti S. Tommaso, che i Santi a proporzione del
merito con cui si guadagnarono le grazie, possono salvare molti altri; ma Gesù
Cristo e Maria SS. si sono meritati tanta grazia, che possono salvare tutti gli uomini
(Expos. in salut. Ang.). E S. Bernardo parlando di Maria SS. scrisse: «Per
te abbiamo accesso al Figlio, o inventrice di grazia, madre di salute, affinché
per tuo mezzo ci riceva Colui, che per tuo mezzo fu dato a noi
» (In
adv. Dom.
1, 2). Col che volle dire: siccome noi non abbiamo l’accesso
al Padre se non per mezzo del Figlio che è mediatore di giustizia; così
non abbiamo l’accesso al Figlio se non per mezzo della Madre, ch’è mediatrice
di grazia, e che ci ottiene con la sua intercessione i beni che Gesù Cristo
ci ha meritati.

E in conseguenza di ciò il medesimo S. Bernardo in altro luogo dice, che Maria
ha ricevuto da Dio due pienezze di grazia. La prima è stata l’Incarnazione
nel suo seno del Verbo eterno fatto Uomo. La seconda è stata la pienezza delle
grazie, che per mezzo delle preghiere d’essa divina Madre noi riceviamo da Dio. Quindi
soggiunse il Santo: «Iddio pose in Maria la pienezza di ogni bene in guisa
che se in noi è qualche speranza, qualche grazia’ qualche salute, riconosciamo
ridondare da Lei, che ascende dal deserto ricolma di delizie. Orto di delizie, affinché
d’ogni parte si spargano e si dilatino gli aromi di Lei, i carismi, cioè,
delle grazie
» (Serm. De Aquaed.).

Sicché quanto noi abbiamo di bene dal Signore, tutto lo riceviamo per mezzo
dell’intercessione di Maria. E perché mai ciò? perché (risponde
lo stesso S. Bernardo) così vuole Dio. Ma la ragione più specifica
si ricava da ciò che dice S. Agostino. Egli scrisse, che Maria giustamente
si dice nostra madre, perché ella ha cooperato con la sua carità, affinché
nascessimo alla vita della grazia nei fedeli, come membri del nostro capo Gesù
Cristo (De S. Virginit. e. 6). Ond’è che siccome Maria ha cooperato
con la sua carità alla nascita spirituale dei fedeli, così vuole Dio,
ch’ella cooperi anche alla sua intercessione a far loro conseguire la vita della
grazia in questo mondo, e la vita della gloria nell’altro. E perciò la Santa
Chiesa ce la fa chiamare e salutare con termini assoluti: la vita, la dolcezza, e
la speranza nostra.

Quindi S. Bernardo ci esorta di ricorrere sempre a questa divina Madre, perché
le sue preghiere sono certamente esaudite dal Figlio: «Fa’ ricorso a Maria;
lo dico francamente, certo il Figlio esaudirà la Madre
». E poi soggiunse:
«Questa, o figlioli, è la scala dei peccatori, questa la mia massima
fiducia, questa tutta la ragione di mia speranza
» (Serm. De Aquaed.).
La chiama scala il Santo, perché siccome nella scala non si ascende
al terzo gradino, se prima non si mette il piede al secondo; e non si giunge al secondo,
se non si mette piede al primo, così non si giunge a Dio che per mezzo di
Gesù Cristo, e non si giunge a Gesù Cristo che per mezzo di Maria.
La chiama poi la massima sua fiducia, e tutta la ragione di sua speranza,
perché Iddio, come suppone, tutte le grazie che a noi dispensa, vuol che
passino per mano di Maria. E conclude finalmente dicendo, che tutte le grazie che
desideriamo, dobbiamo domandarle per mezzo di Maria, perché ella ottiene quando
cerca, e le sue preghiere non possono essere respinte.

E con sentimento conforme a san Bernardo parlano anche sant’Efrem: «Noi
non abbiamo altra fiducia se non quella che è da te, o Vergine sincerissima
»
(De Laud. B. M. V.). San Ildefonso: «Tutti i beni che la divina Maestà
decretò di loro compartire, stabilì di consegnarli nelle tue mani.
Perciocché a te sono affidati i tesori e gli ornamenti delle grazie
»
(De Cor. Virg. c. 15). S. Germano: «Se tu ci abbandoni, che sarà
di noi, o vita dei Cristiani?
» (De Zon. B. V.). S. Pier Damiani:
«Nelle tue mani sono tutti i tesori delle divine commiserazioni»
(De Nat. S. I.). S. Antonio: «Chi domanda senza di essa tenta di
volare senza ali
» (P. 4 tit. 15. c. 22). San Bernardino da Siena
in un luogo dice: «Tu sei la dispensatrice di tutte le grazie; la nostra
salute è in tua mano
». In altro luogo non solo dice, che per mezzo
di Maria si trasmettono a noi tutte le grazie, ma anche asserisce, che la Beata Vergine,
da che fu fatta madre di Dio, acquistò una certa giurisdizione sopra tutte
le grazie, che a noi si dispensano (Serm. De Nativ. B. M. V. c. 8). E poi
conchiude: «Perciò si è che tutti i doni, le virtù,
le grazie si dispensano per le mani della medesima a chi vuole, e come vuole
».
Lo stesso scrisse S. Bonaventura: «Tutta la divina natura essendo stata
nell’utero della Vergine, ardisco dire, che questa Vergine dal cui seno come da un
oceano della divinità derivano i fiumi di tutte le grazie, acquistò
una tal quale giurisdizione sopra tutte le effusioni delle grazie
».

Onde poi molti teologi fondati sulle autorità di questi santi piamente e giustamente
hanno difesa la sentenza, che non vi è grazia che a noi si dispensa, se non
per mezzo dell’intercessione di Maria; così il Vega, il Mendozza, il Paciucchelli,
il Segneri, il Poirè, il Crasset, e molti altri autori col dotto Padre Natale
di Alessandro, il quale scrisse: «Dio vuole che tutti i beni aspettiamo
da Lui, mediante la potentissima intercessione della Vergine Madre, quando la invochiamo
come conviene
» (Epist. 76 in calce, t. 4, Moral.). E ne adduce in
conferma il riferito passo di S. Bernardo: «Questo è il volere di
Colui che il tutto volle darci per Maria
» (Serm. De Aquaed.). E
lo stesso dice il P. Contensone, il quale sulle parole di Gesù in croce dette
a S. Giovanni: Ecco la tua madre, così soggiunse: «Quasi dicesse,
niuno sarà partecipe del mio sangue se non per intercessione di mia madre.
Le piaghe sono fonti di grazie, ma a nessuno deriveranno i rigagnoli, se non per
il canale di Maria. O Giovanni discepolo, tanto sarai da me amato, quanto avrai amato
Lei
» (Theol. ment. et cord. t. 2, 1. 10. d. 4. C. l.). Del resto è
certo, che se Dio gradisce, che noi ricorriamo ai Santi, tanto più gli piacerà
che ci avvaliamo dell’intercessione di Maria, acciocché ella supplisca col
suo merito la nostra indegnità, secondo parla S. Anselmo. Parlando poi S.
Tommaso della dignità di Maria, la chiama quasi infinita (1 part. q. 25. a.
6. ad 4.). Onde a ragione dicesi, che le preghiere di Maria sono più potenti
appresso a Dio, che le preghiere di tutto il Paradiso insieme.



Conclusione



Terminiamo questo primo punto, concludendo insomma da tutto quel che si è
detto, che chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna. Tutti
i beati, eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono
perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti. E questa è,
e sarà la loro maggiore disperazione nell’inferno, l’aversi potuto salvare
con tanta facilità, quant’era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora
non essere i miseri più a tempo di domandarle.


prossima