La malizia della vanagloria

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO III. DELLA RETTITUDINE E PURITÀ D’INTENZIONE CHE DOBBIAMO AVERE NELLE OPERE NOSTRE


CAPO II. In che consista la malizia di questo vizio della vanagloria.


1. Rapisce a Dio l’onore.
2. Similitudini.  


1. La malizia di questo vizio consiste in questo; nel volere l’uomo vanaglorioso usurparsi ed arrogarsi la gloria e l’onore che è proprio di Dio: «Al solo Dio onore e gloria» (Tim. 1, 17). Egli non vuol dare la sua gloria ad altri; ma tutta se la riserva per sé. «La gloria mia ad altri non la cederò» (Isai. 42, 8; 48, 11). E così S. Agostino dice: «Signore, colui che vuoI essere lodato per quella cosa che è vostro dono, e nel bene che fa non cerca la gloria vostra, ma la sua; è ladro ed assassino e simile al demonio, che volle rubare la vostra gloria» (S. AUG. Solil. c. 15).
   In tutte le opere di Dio vi sono due cose; vi è utilità e vi è onore e gloria, che risulta dalla tal opera; e consiste nell’esser l’artefice dell’opera lodato, stimato ed onorato per essa. Or Iddio in questa vita ha ordinato e vuole che così si eseguisca; cioè, che tutta l’utilità delle opere sue sia dell’uomo; ma che tutta la gloria sia per lo stesso Dio. «Tutte le cose le ha fatte il Signore per se stesso» (Prov 16, 4); ed altrove: «Il Signore ha creato tutte le genti per lode, onore e gloria sua» (Deut. 26, 19). Perciò tutte le cose ci stanno predicando la sua sapienza, la sua bontà, la sua provvidenza; e quindi si dice che i cieli e la terra sono pieni della sua gloria (Ps. 18, 2; Isai. 6, 3).
   Or quando uno nelle buone opere vuole la gloria e le lodi degli uomini per sé, viene a pervertire quest’ordine posto da Dio nelle opere buone e a fare ingiuria al medesimo Iddio, volendo e procurando che gli uomini, i quali si avrebbero da occupare sempre in onorare e lodare Dio, si occupino in lodare e stimare lui stesso; e volendo anche e procurando che i cuori degli uomini, fatti da Dio per vasi che abbiano a star pieni dell’onore e della gloria dello stesso Dio, stiano pieni dell’onore e della stima sua propria: il che è rubar anche a Dio i cuori, e come uno scacciar Dio dalla sua propria casa ed abitazione. Or che maggior male si può trovare, che il furto dell’onore di Dio e dei cuori degli uomini? E mentre dite loro colla bocca, che riguardino Dio, voler col cuore che divertano gli occhi da Dio e li volgano verso di voi? Il vero umile non vuol vivere nel cuore di creatura alcuna, ma solamente in quello di Dio; né vuole che alcuno si ricordi di lui, eccetto che Dio solo; né che alcuno si occupi in pensare ad esso, ma a Dio, e che Iddio solo alberghino e tengano tutti nei loro cuori.

 

   2. Si conoscerà anche meglio la gravezza e malizia di questo vizio dal seguente esempio, o piuttosto similitudine. Se una donna maritata si componesse ed ornasse per piacere ad altri che a suo marito, ben si vede quanto grande ingiuria in ciò gli farebbe. Ora le opere buone sono certi ornamenti, coi quali componiamo ed adorniamo l’anima nostra: e così se le fai per piacere ad altri che a Dio, che è lo sposo di essa, gli fai ingiuria grande. Di più, guarda quanto brutta cosa sarebbe che un cavaliere stimasse assai l’essersi esposto a un piccolo travaglio per amore e servizio di un re, il quale si fosse egli stesso esposto per amore dello stesso cavaliere a travagli e ignominie senza paragone maggiori; e quanto vituperosa cosa parrebbe, che il tal cavaliere si gloriasse e vantasse con altri di quella bagattella che avesse fatta pel suo re. Quanto male comparirebbe questa azione presso a tutti, e specialmente se il re, senza alcun aiuto di lui, avesse patito tutto quel travaglio; e il cavaliere avesse fatto quel poco con grande aiuto e favore del re medesimo, con aggiunta di grazie grandi, promesse prima e indi poi ricevute?
   Tutto questo può ciascuno di noi applicare a se medesimo, per quindi noi tutti concepire grande vergogna dello stimarci e vanagloriarci di quel che facciamo, e molto più del lodarci e vantarci di cosa alcuna. Poiché in paragone di quello che Dio ha fatto per noi, e di quello che noi avremmo da fare per lui, è vergogna grande che sia così poco quello che facciamo. Si scopre anche la malizia di questo vizio dall’annoverarlo che fanno i teologi e i Santi per uno dei sette vizi, che comunemente chiamano capitali, per esser capi e principi degli altri peccati. Alcuni contano otto vizi capitali, e dicono che il primo è superbia e il secondo vanagloria; ma l’opinione e sentenza comune dei Santi, e quella che è ricevuta dalla Chiesa, è che i vizi capitali sono sette: e dice S. Tommaso (S. THOM. 2-2, q. 132, a. 4) che il primo di essi è la vanagloria, e che la superbia è radice di tutti e sette, secondo quel detto del Savio: «Il primo di tutti i peccati è la superbia» (Eccli. 10, 15).