Quale ha da essere l’unione che abbiamo avere coi nostri fratelli

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO IV. Quale ha da essere l’unione che abbiamo avere coi nostri fratelli.
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1. Deve assomigliare all’unione delle membra in un corpo.
2. Rallegrarsi con chi si rallegra e piangere con chi piange.
3. La diversità di gradi non deve pregiudicare l’amore scambievole.
4. Dobbiamo aiutarci e servirci l’un l’altro.


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   1. I gloriosi Santi e dottori della Chiesa Basilio e Agostino ci dichiarano molto bene qual esser debba l’unione che dobbiamo avere coi nostri fratelli, con quella similitudine e allegoria che apporta il glorioso Apostolo S. Paolo del corpo umano e dell’unione e conformità che le membra hanno fra di loro. Guarda, dicono, l’unione e conformità che è fra le membra del nostro corpo, e come si aiutano e si servono l’un l’altro; l’occhio il piede; il piede la mano; come la mano difende il capo; e quando ti viene pesto il piede, la lingua dice, guarda che mi pesti il piede; come corrono tutti a favorire e soccorrere la parte offesa: il che si vede bene quando riporti qualche ferita, o soffri qualche altra necessità. Ciascun membro piglia per sé quel che gli bisogna dell’alimento, e dà all’altro quello che gli avanza: ed è pur da notarsi quella simpatia, così chiamata dai medici, per cui se ti duole lo stomaco, si risente il capo, e quando guarisce un membro, tutto il corpo se ne rallegra e ricrea (I Cor 12, 12 segg.).
   S. Agostino (S. AUG. Serm. 105, n. 1) va molto bene ponderando questa cosa. Qual cosa è in tutto il corpo che sia più lontana dagli occhi che il piede? eppure subito che il piede urta in una spina, e questa se gli ficca dentro, gli occhi cercano la spina, subito il corpo si china, e la lingua domanda, ove è? e la mano s’adopera in cavarla fuori. «Sono sani gli occhi, la mano, il corpo, il capo, la lingua, e ancora il piede in tutto il rimanente è sano; solamente duole in quello, poco più che un punto, dove è la spina». Eppure il compatiscono tutti i membri, e corrono ad aiutarlo con ogni sollecitudine; e quando guarisce, tutti se ne ricreano. Or in questa maniera abbiamo da portarci noi altri coi nostri fratelli, tenendo cura l’uno dell’altro e compatendoli nel loro travaglio come se fosse nostro proprio.
   2. Queste due cose dice S. Basilio (S. BASIL., Reg. brev. tract. Interr. 175) che sono le principali nelle quali si scorge l’amore e la carità di uno verso l’altro; che ci attristiamo delle afflizioni e dei travagli spirituali e corporali dei nostri prossimi e li compatiamo per essi, e ci rallegriamo del loro bene, secondo quel detto dell’Apostolo: «Rallegrarsi con chi si rallegra, piangere con chi piange» (Ep. ad Rom. 12, 15). Onde S. Giovanni Climaco (S. IO. CLIM. Scala parad. grado 4) dice: Se alcuno vorrà esaminare la carità e l’amor suo verso i prossimi, osservi se si rattrista per le disgrazie che loro accadono, e se si rallegra per le grazie che ricevono o pel profitto che fanno. Questa è una prova molto buona dell’amore dei prossimi. Diceva una Santa: Maggior grazia ricevé l’anima mia da Dio quando io piansi e mi dolsi dei peccati dei prossimi, che quando piansi i miei propri. Non perché non abbia l’uomo da sentire maggior dolore e da piangere più le sue proprie colpe che le altrui; ma per dimostrarci con questa esagerazione quanto piace a Dio questo esercizio di carità verso i prossimi.
 
   3. Ma si ha da considerare in questa similitudine che apporta S. Paolo, da un canto la diversità delle membra e la tanto differente natura e qualità loro, perché alcune sono occhi, altre piedi, altre mani, ciascuna delle quali ha il suo ufficio distinto; e dall’altro canto si ha da considerare l’unione e fratellanza tanto grande che è tra loro medesime. Ciascun membro è contento dell’ufficio suo, e non ha invidia all’altro del suo, ancorché sia più nobile ed elevato. Così abbiamo da fare noi altri; ciascuno ha da stare contento dell’ufficio che ha, senza avere invidia a quelli che hanno uffici e ministeri più alti. Un membro superiore non disprezza un altro inferiore; lo stima anzi, l’aiuta e lo custodisce quanto più può: così quelli che hanno ministeri alti non debbono disprezzare quelli che hanno ministeri e uffici inferiori, ma stimarli, aiutarli e tener molta cura di loro, come membri dei quali abbiamo necessità. Dice l’Apostolo S. Paolo: «Non può dir l’occhio alla mano: Non ho bisogno dell’opera tua: o similmente il capo ai, piedi: Non siete necessari per me. Anzi molto più sono necessarie quelle membra del corpo, le quali sembrano, più deboli» (I Cor 12, 21-22 et 25).
   E che sia il vero, guarda quanto necessari sono i piedi, e che danno non ne proveremmo se non li avessimo. E questo, dice S. Paolo, l’ha così ordinato Dio colla sua altissima sapienza e provvidenza, «acciocché non sia scisma nel corpo» né divisione fra i membri del corpo, ma molta unione e conformità. Così cammina la cosa in questo corpo della religione, che alcuni fanno ufficio di capo, altri di occhi, altri di piedi, altri di mani; e non può dire il capo, che non ha bisogno delle mani; né gli occhi, che non hanno bisogno dei piedi; anzi di questi pare che abbiano maggiore necessità per vivere e per far qualche cosa nella religione. E così siamo soliti di dire: questi sono i nostri piedi e queste le nostre mani, perché senza essi pare che non possiamo far cosa alcuna. E questa è stata altissima provvidenza di Dio, acciocché fra di noi non sia scisma, ma molta unione e conformità.

   4. Questo è il ritratto della vera unione e fratellanza; e di qui abbiamo da imparare come ci dobbiamo aiutare e servire l’un l’altro; che è una cosa colla quale si conserva e aumenta grandemente l’unione, e ce la raccomanda l’Apostolo S. Paolo: «Servite gli uni agli altri per la carità dello spirito» (Gal. 5, 13). Onde è una cosa molto lodevole nella religione l’esser uno ufficioso e amico di servire e di aiutare e di dar gusto a tutti; perché è segno di carità, di umiltà e di mortificazione. Non come alcuni, i quali, per non mortificarsi e per non pigliarsi un poco di fatica, né perder essi un poco del loro gusto, non sanno dar gusto né soddisfazione ai loro fratelli. Non è dubbio alcuno che Cristo nostro Redentore, in quel fatto tanto eroico di lavare che fece i piedi ai suoi discepoli, ci volle dar esempio di umiltà, ma di umiltà indirizzata all’esercizio della carità e della fratellanza. «Se adunque ho lavato i vostri piedi io, Maestro e Signore, dovete anche voi lavarvi i piedi l’un l’altro. Vi ho infatti dato l’esempio, affinché, come l’ho fatto io, facciate anche voi» (IO. 13, 14-15); cioè servirvi ed aiutarvi l’un l’altro con umiltà e carità.