PRESUNZIONE E SCORAGGIAMENTO

I
PROGRESSI DELL’ANIMA NELLA VITA SPIRITUALE

di P. Frederick Willliam Faber d’O.

(1814-1863)









CAPO II

PRESUNZIONE E SCORAGGIAMENTO.


Avete
veduto nel capo precedente che mi sono fatto nella mente una specie di carta geografica,
o meglio psicografica della vita spirituale. La divisi in tre regioni d’estensione
molto ineguale e d’interesse ben diverso. Vi è primieramente la regione dei
primordii, tempo stupendo, così stupendo che nessuno può farsene pienamente
capace finchè non l’ha passato e voltasi quindi al guardarlo. Stendesi quindi
un ampio tratto di deserto, pieno di tentazioni, di lotte, di fatica, luogo di lavoro
e di patimento, con angeli buoni e cattivi svolazzanti in ogni direzione, sentiero
difficile a scorgersi e suolo malfermo sotto i passi, e con incontri frequenti di
Gesù portante la croce. Questa regione è dieci o dodici volte più
lunga della prima. Alfine viene una regione di monti rocciosi ma belli, vestiti di
selve ed animati da rigagnoli, piacevoli ma selvaggi, e soggetti a quelle tremende
tempeste od a quegli appannamenti della splendida natura, i quali formano il carattere
distintivo delle regioni montane. Quest’ultima è la regione, d’intensa preghiera,
di coraggiosa crocifissione di se stesso, dei mistici cimenti, e della sublimità
del distacco sovrumano e dell’abbiezione, la cui rarefatta e sottile atmosfera non
può essere respirata che da anime scelte.

Mi unii ad un’anima uscita omai dalla regione limitare e di fresco entrata nel vasto
deserto centrale, le cui estese pianure di stanchevole arena congiungono i verdi
campi dei principianti coi selvosi monti delle anime per lungo tempo provate e mortificate.
Iddio chiama a sè sulle sommità del monte altri nel loro primo fervore;
altri dopo che sono maturati nella grazia. La maggior parte muore nel deserto, alcuni
in un punto del pellegrinaggio, altri in un altro. È sicuro che per ciascuno
di noi non vi è che un solo momento propizio per morire; e quello è
l’istante preciso, in cui Iddio vuole che la morte ci raggiunga. Ma come la grande
massa dei devoti muore mentre essi traversano il deserto centrale; così io
intendo parlare di questo deserto , il deserto di costante e paziente perseveranza
nelle umilianti pratiche di soda virtù.

Per poco che una persona tenda alla perfezione è parte prediletta della creazione
di Dio, ed a Lui cara come la pupilla del suo occhio. Quindi tutto quanto la riguarda
ha importanza. Era dunque importante che le fosse somministrato qualche segno con
cui potesse con qualche probabilità conoscere il progresso che fa nella vita
spirituale. Ma tali persone spesso credono essere segni di progresso certe cose che
in se stesse sono insignificanti; e così cadono in illusioni che le fanno
deviare dal retto sentiero, le stancano e poi le ripongono sulla via molte miglia
indietro del luogo donde errarono. Questi falsi segni formeranno il soggetto di questo
capo. Il considerarli è tanto più importante perché ci fanno
conoscere molti fatti della vita spirituale, la cui conoscenza ci interessa vivamente.

A questo punto del suo viaggio l’anima trovasi assediata da due opposte tentazioni.
Talora è assalita dall’una, e talora dall’altra, secondo la diversità
d’amore e la differenza, di carattere. Queste tentazioni sono lo scoraggiamento e
la presunzione; ed è nostro principale affare il tenerci a, questo punto in
guardia contro queste due cose.

Lo scoraggiamento è un’inclinazione ad abbandonare ogni sforzo nella vita
devota a cagione delle difficoltà che l’assediano e delle nostre già
numerose cadute nella medesima. Ci vien meno il cuore, e, parte per disdegno, parte
per vero dubbio sulla nostra propria capacità di perseverare, cominciamo a
divenir queruli ed irritati con Dio, e quindi smettiamo dei nostri sforzi in mortificare
noi stessi ed in piacergli. Somiglia al peccato della disperazione; benché
veramente non sia peccato. È una specie d’ombra della disperazione, e ci fa
cadere in innumerevoli peccati veniali nella prima mezz’ora che cediamo. È
una prova, che noi confidavamo troppo nelle nostre proprie forze, e che avevamo di
noi stessi un’opinione più alta di quanto avevamo motivo d’avere. Se fossimo
stati veramente umili saremmo stati meravigliati di non aver fatto peggio invece
della sorpresa di non aver fatto meglio. Molte sono le anime chiamate alla perfezione,
e che non raggiungono la meta per il solo ed unico guasto arrecato dallo scoraggiamento.

Eppure le persone che studiansi essere spirituali vanno in modo speciale soggette
allo scoraggiamento a causa della loro grande sensibilità. La loro attenzione
essendo più che mai inchiodata a due cose, ai piccoli doveri ed osservanze,
ed ai motivi interni, sono da entrambi resi sommamente sensibili. La coscienza, quando
agisce in essa lo Spirito Santo, diviene così delicata e sensitiva, che sente
l’attrito di piccole debolezze, che mai prima sembrarono debolezze ; e non solamente
il loro sentimento di peccato trovasi intenerito, ma anche più vivo è
il senso della pena inflitta dal peccato. La difficoltà ed oscurità
del lavoro in cui sono impegnate aumenta ancor più la loro sensibilità,
tanto più che esse sono lungi dal trovar sostegno da coloro che le circondano,
dovendo anzi attendersi d’essere tenute per indiscrete ed entusiaste, singolari ed
affettate anche da coloro che passano per buona gente, ma che hanno la disgrazia
d’essere buoni a loro modo e non a modo di Dio. Altronde, la pietà primordiale
non è mai savia. E come mai potrebbe essere savia se l’esperienza sola può
renderla tale? Il mondo si lagna degli sbagli dei principianti nella vita devota,
e non s’accorge che essi fanno sbagli perché non sono ancora disgiunti dal
mondo o contrari al mondo, come piacendo a Dio saranno ben presto. Uno di tali sbagli
è quello d’esagerare i loro propri falli, il che conduce dritto allo scoraggiamento.
Inoltre essi cercano di uniformarsi a modelli sublimi, quali sono Gesù ed
i Santi; e quando vi lavorarono nel miglior loro possibile modo e fecero ciò
che per essi è realmente bene, deve pur ancora tanto al disotto della loro
mira che non possono evitare di provar disinganno. Qual cosa mai cimenta più
lo Spirito e la pacatezza quanto il giocare sempre con perdita? Eppure che altro
mai può accadere a chi si propose d’assomigliarsi al suo Crocifisso?

Ma il colmo di tutto questo scoraggiamento è che renda languido e melanconico;
appunto le peggiori cose che ci possano accadere, perché rendono totalmente
impossibile qualunque cosa che abbia dell’eroico. Se un lottatore che tiene fortemente
afferrato l’avversario è preso da subitaneo languore, è perduto; perché
la vittoria dipende dall’azione dei suoi muscoli e dalla fermezza delle suo braccia.
Un’armata vittoriosa può battere un’armata tripla in numero, perché
la gioia della vittoria è una grande possa morale. Così l’essere languido
e scuorato così per tempo ci riesce veramente fatale ; ed è appunto
in queste due cose che consiste il veleno dello scoraggiamento.



Quanto alla presunzione, la credo meno comune dello scoraggiamento. Bisogna proprio
essere sciocco per essere presuntuoso in religione. Però possiamo anche essere
sciocchi senza accorgercene. Santa Teresa dice che l’umiltà è la prima
condizione per menar una vita comunemente buona; ma che il coraggio è la prima
condizione per quelli che aspirano a qualche grado di perfezione. Ora la presunzione
non è mai disgiunta da coraggio; ed è perciò che dobbiamo guardarcene
cautamente. Possiamo inciamparvi in molti modi diversi, dei quali ne accennerò
qualcuno. Un proverbio dice che il primo assalto è metà della battaglia.
Non credo che questo valga in materia spirituale, e la ragione della mia opinione
è il grande numero delle persone chiamate alla vita devota ed interiore, che
poi cedono e desistono. Il difetto non fu nei primi atti, i quali furono abbastanza
vigorosi, amanti ed umili. Il difetto venne più tardi, e fu o perché
si ristuccarono della mortificazione, o perché caddero in una comune superstizione
riguardo alla grazia, e quando la loro infondata aspettazione non si realizza, esse
se ne disgustarono. Questa superstizione consiste nei credere che la grazia operi
come un incanto od un anestetico, quasi senza il concorso della mostra propria volontà.
Uno non si alzerà a tempo debito il mattino. Ei dice che non può; questo
è un assurdo, perché nessuna forza fisica lo tiene coricato nel suo
letto. Il fatto è che egli non vuole alzarsi, non preferisce alzarsi; per
lui un tale atto di virtù, una tale ubbidienza non merita neppure così
poco disagio. Si scusa dicendo che la sera precedente e nella notte fece la risoluzione
d’alzarsi al mattino seguente, e chiese alle anime del Purgatorio di farlo alzare.
Il mattino spunta; l’aria è fredda; la meditazione ha poca attrattiva; dolce
è il dormire. Nessun’aniina del purgatorio venne a trarlo dal letto, ad aprirne
le cortine, ad accendergli il fuoco ed a fargli il resto per farlo alzare. Non è
dunque un affare tutto suo particolare. Ei fece la sua parte, ci la compì
nella notte precedente, ma la grazia non ha operato. Che cosa ne può mai egli
? Questo non è che un saggio di molti altri accidenti analoghi. Moltissimi
sono coloro che sarebbero stati prossimi ai santi, e sono prossimi ai peccatori per
questa superstizione singolare riguardo alla grazia. Ciò che ci manca non
è la grazia, è la volontà. Siamo forniti di grazia mille volte
più di quanto vi corrispondiamo. Iddio per parte sua non viene mai meno. Ciò
che manca è la volontà vigorosa e persistente per parte nostra.

Ma torniamo al punto nostro. Nella vita devota non avverasi che il primo assalto
valga metà della battaglia. Ma noi invece ci crediamo che lo sia. La lentezza
estrema e misteriosa dei movimenti di Dio ci rende impazienti, e supponiamo che opra
cominciata equivalga ad opra compita. Sapendo ciò che fecero i santi quando
dopo lunghe austerità consumarono la loro unione con Dio, poi quanto questa
è ottenibile sulla terra, diventiamo presuntuosi, e vogliamo imitarli in questa
loro ultima parte senza discernerne lo spirito. Oppure scambiamo il vigore della
grazia divina colla forza della nostra propria volontà; e così rivolgiamo
contro Dio qualche speciale conseguimento di forza soprannaturale, che Egli si degnò
di concederci. L’esperienza non ci ha ancora convinti che ciascuna vittoria spirituale
riportata costa molte disfatte. Ma ce ne convinceremo presto, perocchè questa
è una ricca fonte d’umiltà. Vi è inoltre piacere singolare ed
un elevante sentimento di potenza che accompagnano sensibilmente per lungo tempo
la cooperazione della grazia. Proviamo in noi tale sensazione nei nostri primi fervori,
e non svanisce tosto dopo questi; e noi ci illudiamo credendo che questo sia un abito
di solida virtù. Oppure ci appoggiamo alle nostre buone opere, ed allora sorge
da esse una nebbia che ce le fa parer doppie. Oppure incauti amici ci lodano notando
che siamo di fresco divenuti ben devoti, e si credono di farei una gentilezza mentre
sovvertono l’opra di Dio nella nostra anima. Tutti questi casi ci spingono alla presunzione,
la presunzione ci induce ad eccessi indiscreti, questi ultimi ispirano fiducia in
noi stessi, la quale determina una inevitabile reazione totale contro il vivere interiore.

Benché appartenga, piuttosto ai principî della vita spirituale, non
dobbiamo tuttavia omettere di notare che nei primi periodi della nostra devota carriera,
e specialmente negli avanzi dei nostri primi fervori, vi sono alcune cose che molto
somigliano a ciò che lodiamo nella vita di santi provetti. Il fatto è
che termina in noi l’oscillazione ed assumiamo il nostro normale apiombo. Dio ha
già fatto più di quanto Egli vuol fare per una continuazione. I nostri
primordi sono talora tanto soprannaturali quanto possano esserlo i complementi. Non
dobbiamo attenderci che il lungo intervallo tra i due estremi sia di egual genere.
Noi dobbiamo ormai avvezzarci a far senza una gran parte della sensibile soavità,
delle segrete manifestazioni di Dio, di fervide aspirazioni, le quali cose forse
ci fecero talvolta supporre che siamo omai santi. Ora questa somiglianza dei nostri
primordi con certi lineamenti d’uno stato più inoltrato ci adesca talora in
una segreta presunzione. Non abbiamo idea di quanto sarà poscia sopra di noi
pesante la pressione del tempo, né di quanto sia lungo il cammino da farsi,
benché i monti sembrino così Vicini. Senza alcun nuovo dovere da adempiere,
senza alcuna nuova tentazione, anzi farò il caso ancor più stringente,
con meno doveri e meno tentazioni, quella sola continuazione d’andare contro la nostra
inclinazione che comprendesi nell’idea di servizio di Dio, è una soma sul
nostro tergo più faticosa a portarsi e più opprimente di quanto potevamo
immaginarci. La perseveranza è il più grande dei cimenti, il più
pesante dei carichi, la più schiacciante di tutte le croci.

Questi due pericoli di scoraggiamento e di presunzione ci spingono in opposti sbagli
nel nostro progresso spirituale. E dunque importante di star in guardia contro certi
sintomi che saranno dallo scoraggiamento presi per prove che non progrediamo, e dalla
presunzione per prove che molto progrediamo, quando in realtà, in sé
considerati, non provano né l’uno né l’altro. Vengo ora a considerare
cinque di questi segni incerti di progresso, esaminando ciascuno sotto il doppio
aspetto di presunzione e di scoraggiamento.



1. Se esaminiamo noi stessi per un dato tempo, scorgiamo che o vinciamo o non vinciamo
un nostro difetto dominante. Noi ci crediamo di vincerlo; ma consideriamo la cosa
pacatamente. Può esservi nella riuscita una prova solo apparente di progresso,
perché le nostre tentazioni in quel dato momento possono per varie cause essere
più deboli. Satana, colla sua innata furberia e perspicacia può prevedere
che noi ci esamineremo e che riposeremo sul risultato del nostro esame; e volendo
infondere in noi una falsa fiducia, la quale è sempre come il bel tempo per
le suo imprese, ci può battere in ritirata colle sue forze e lasciarci in
una momentanea tranquillità. Oppure i nostri difetti possono mutarsi per causa
di qualche cambiamento nella nostra vita esterna, o per l’influenza degli anni, o
per qualunque altra causa. Che i nostri difetti mutino è certo, e questi cambiamenti
producono alcuni dei più notevoli fenomeni della vita spirituale. Oppure anche
per qualche piccola infedeltà alla grazia, la sensibilità e la delicatezza
della nostra coscienza può trovarsi per castigo un poco assopita; e quindi
possiamo trovarci meno consci dei nostri difetti e delle nostre mancanze. Chi è
che non ha subito di questi castighi? Non vi è dunque motivo a presunzione
al solo scorgere che abbiamo fatto meno cadute in un solito difetto. Ma per altra
parte non vi è neppure motivo a scoraggiamento se ultimamente abbiamo commesso
più frequenti cadute. Prima di poterne dedurre una conclusione fondata si
devono fare attente osservazioni per lungo tempo. Forse, e per varie ragioni, ci
troviamo ora più consci di prima riguardo ai nostri falli. Oppure Dio può
permettere che cadiamo affine di tenerci umili, o per celarci il progresso che forse
faremo in altra direzione. Od anche il nostro grande nemico fece un più energico
assalto contro di noi da quel lato. Forse non camminiamo solamente in una regione
pericolosa, ma ci troviamo impegnati a sostener un assalto. Non ci conosciamo dunque
abbastanza per ragionevolmente scoraggiarci a causa di questo primo segno.



2. Diventiamo presuntuosi o scuorati secondo che proviamo o no sensibile dolcezza
delle nostre pratiche religiose. Ma la presunzione dovrebbe rammentarsi che questa
sensibile dolcezza deriva spesso da cause fisiche, da buona salute, da bel tempo,
da buon umore. Un’ora di preci sotto l’azzurro cielo e le inebbrianti aure del Mediterraneo
è cosa più agevole che un’ora di preci nell’umida e giallastra nebbia
di Londra; ed anche quando la soavità sensibile è un’operazione della
grazia, è talora un testimonio di debolezza ed un indizio di spirituale infanzia.
È un’esca con cui Iddio degnasi attrarci in avanti quando noti abbiamo virtù
abbastanza soda da distinguere tra lui ed i suoi doni, e poi servirlo per amor suo
e non di tali doni. È un’esca da subito ingoiarsi, perché produce buoni
frutti. Ma pure è un dono di Dio, e non progresso nostro. Allo stesso tempo
è molto irragionevole lo scoraggiarsi per l’assenza di questa sensibile dolcezza,
perché è un dono e non una virtù; e Dio lo largisce a chi vuole,
quando vuole, e nella misura che vuole. Anzi, anche il non largirlo è talora
un favore; perché mira ad innalzare l’anima ad uno stato più elevato,
ad abilitarne l’amore, ed aumentare le sue occasioni di meritare. Anche quando non
si largisce per castigo può essere un favore. Spesso i devoti cedono allo
scuoramento perché si persuadono che un dato segno nella vita spirituale è
un sintomo di punizione divina. Veramente una persona devota, quando è scontenta,
è la più irragionevole nella classe dei malcontenti. Io non trovo nulla
di scoraggiante nell’essere punito da Dio. Al contrario quando Dio ci punisce, ci
riconosce, ed il non essere riconosciuti da Dio sarebbe cosa la più terribile.
Inoltre, quando Egli punisce, la sua punizione è quella di un padre, e la
forza delle percosse ed il numero delle sferzate non sono in realtà che la
misura della sua affezione in punire. Non dobbiamo mai desiderare che Dio allontani
da noi i suoi castighi. Sarebbe un desio che Egli potrebbe appagare, e che sarebbe
da noi alla fine pagato caro. Iddio ha un interesse in noi ed ha per noi intenzioni
totalmente pietose quando degnasi di castigarci. Mentre l’una delle sue mani impugna
la sferza, l’altra è piena di grazie speciali, che saranno da noi ricevute
quando la natura trovasi sufficientemente addolorata e mortificata.



3. Un’altra cosa, a cui siamo soliti dare troppa importanza, è il provare
o non provare che la preghiera mentale o la meditazione diviene più facile.
Perché ordinariamente la meditazione è in se stessa così difficile,
che qualunque apparenza di crescente agevolezza in farla, desta tosto un sentimento
di presunzione. Ma noi dobbiamo rammentarci che l’abito della preghiera è
cosa ben diversa dalla grazia della preghiera, e la meditazione è un metodo
così discorsivo di preghiera che è facilissimo il formarsene l’abito
senza venirne profondamente penetrati o senza che influisca nella nostra vita interiore.
Ci si presentano continuamente esempi dì questo in persone che non omettono
mai la loro meditazione mattutina, e che pur non sembrano migliori per ciò,
non vivono più mortificate, non vincono le loro passioni dominanti, non frenano
la loro lingua, né divengono più raccolte. Non è che l’abito
della preghiera non sia cosa eccellente, ma non è il dono della preghiera,
ed incliniamo ad esagerarne l’importanza confondendo l’abito col dono. Può
anche talora accadere che i soggetti delle nostre meditazioni siano per noi più
agevoli siccome più omogenei alla nostra indole. Questo può accadere
pel corso dei tempi diversi dell’anno ecclesiastico. Può essere Natale, Quaresima,
o Corpus Domini. Perchè taluni possono facilmente meditare sulla Passione
e non possono meditare affatto sull’Infanzia; altri trovano riposo e provano devozione
nelle narrazioni e nelle parabole evangeliche, e non trovano lo stesso meditando
sui misteri del Signore. Oppure lo stato di salute del nostro corpo può essere
migliore, il nostro sonno più profondo, le nostre circostanze più liete;
o può essere l’eccitamento di qualche grande solennità imminente o
di fresco passata che influisce in noi e ci serve d’aiuto. Tutto questo deve impedirci
di presumere se per ciò solo la nostra meditazione è più scorrevole
e liscia. Allo stesso tempo non abbiamo ragione di scoraggiarci se la meditazione
invece di divenir più facile sembra divenirci impossibile. Acquistare agevolezza
in far preghiera mentale è opera lunga, ed acquistasi più colla mortificazione
che non con l’abitudine; ed il nostro progresso nelle mortificazioni, mentre deve
essere costante e senza ritegno, deve pure allo stesso tempo essere graduale e cauto,
e che manchi piuttosto per difetto che per eccesso, a causa della nostra codardia.
Inoltre, come dimostrerò in seguito, le meditazioni aride sono spesso le più
profittevoli, e naturalmente l’aridità è appunto ciò che le
rende difficili. Più ancora, per mettere il caso agli estremi, non v’è
necessariamente il minimo peccato veniale nel difetto di prontezza alla preghiera;
ed è sicuramente gran cosa per noi in tale tempo, richiamando alla memoria
i tempi anteriori, che la grazia di Dio ci preservi dall’offenderlo. Non è
segno di poca levatura l’essere grandemente lieto unicamente per l’assenza del peccato.
Stanno in serbo per noi cose migliori; ma che Dio ci conceda che mentre ci spingiamo
avanti non perdiamo mai la semplicità di questa soddisfazione! Non ammetto
che abbiamo sempre ragione di lasciarci scoraggiare neppure dai nostri peccati; ma
è sicuro che non dobbiamo mai scoraggiarci per qualunque cosa che non sia
peccato.



4. Siamo spesso inclinati a ragionar sui fenomeni della tentazioni ed a rassicurarci
o cadere sfiduciati secondo ciò che scorgiamo in tale ragione. Ma anche quando
il cielo apparisce senza nubi e sereno, non abbiamo ragione di rassicurarci. Le nostre
tentazioni possono in un data tempo essere in minor numero, come ho già detto.
Possono anche talora essere meno attraenti in conseguenza di qualche mutazione avvenuta
nelle nostre esterne circostanze. Oppure la nostra mente può essere assorbita
da qualche interessante occupazione che interamente la possegga e la distragga dalle
tentazioni, senza che contenga nulla di meritorio e di soprannaturale. È vero
che talora il mondo ci è o di aiuto o di impedimento colle sue molteplici
distrazioni. Esse sono di ostacolo a molti peccati, benché molto impediscano
il raccoglimento. È questo che rende la solitudine pericolosa a chi non è
di provata virtù. Ma supponiamo una vera tempesta di tentazioni agitarsi a
noi d’intorno. Lo scoraggiamento sarebbe in questo caso tanto irragionevole quanto
la presunzione nell’altro. La violenza delle tentazioni è segno certo della
rabbia infernale, e Satana non suole adirarsi per nulla. Quando la Sacra Scrittura
parla dell’ira di Satana, ne dà per ragione che egli non ne ha che un tempo
breve. Noi lo avremo provocato col nostro modo di tenerci fedeli a Dio, o si adirerà
pei segni di speciale amore che Dio ci fa splendere sul capo e che Satana può
essere capace di discernere meglio di noi stessi. Se le tentazioni ci spaventano
piuttosto per la loro continuità ed ostinazione come se fossero risolute a
non lasciarci fino a che ci abbiano fatti cadere, dobbiamo sicuramente star in guardia,
ma con gioia e gratitudine. Giacché la continuazione stessa della tentazione
è una prova che allora almeno non le si è consentito. Il cane continua
a latrare, dice S. Francesco di Sales, perché non fu lasciato entrare. Inoltre,
e questo può essere in conseguenza della naturale sagacia e previdenza di
Satana, un accesso di tentazioni nuove ed insolite è spesso indizio essere
imminente un tempo di grazie speciali. Dobbiamo dunque pugnar fino all’alba, come
Giacobbe.



5. Noi proviamo più o meno vivamente l’effetto dei Sacramenti secondo la diversità
dei tempi. Vi sono certamente dei tempi, nei quali sembra quasi che i Sacramenti
siano per distruggere la nostra fede, tanta è la sensibilità con cui
vediamo, udiamo, gustiamo, tocchiamo, maneggiamo e realizziamo la grazia. Questo
avverasi segnata mente riguardo alla confessione ed alla Comunione. Non vi è
qui tuttavia luogo a presumere. La grazia dei Sacramenti non è merito nostro,
ed il loro sensibile effetto può talora essere evidente, ma però l’essere
sensibili può al momento derivare da altre cause fisiche o mentali. Oppure
a accade che Dio vedendoci insolitamente deboli, può largirci una grazia straordinaria
e renderla sensibile per ravvivare più efficacemente la parte più snervata
della nostra anima. Tuttavia, se i Sacramenti diventano insipidi perdendo quel poco
di sensibile sapore che prima avevano per la nostra anima, non dobbiamo scoraggiarci
quasi fosse imminente sventura. Non è una prova che non riceviamo in abbondanza
la grazia sostanziale dei Sacramenti. I santi provarono le stesse cose anche dopo
essere divenuti santi. Però, benché questo vi porti forse un po’ più
vicino ai monti, la pura fede è sempre di gran lunga il maggiore degli esercizi
spirituali.

Forse direte che questo capo non è soddisfacente ; tutta materia negativa.
Ma non siete ancora giunti a comprendere che la pace interna è ciò
che più di tutto vi manca, e che nulla può procurarla meglio che un
maneggiar saviamente e con perizia queste due tentazioni, la presunzione e lo scoraggiamento.
Inoltre, se era importante di sapere quali erano i segni del progresso, non è
cosa di poco momento il conoscere ciò che non è della classe di tali
segni, specialmente se vi sono cose che pretendano di esserlo.






Testo tratto
da: P. F. Faber d’O., I progressi dell’anima nella vita spirituale, Torino:
Marietti, 1906 (trad. della III ed. Inglese, 1859), pp. 10-22.