L’ATTO PROPRIO DELLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE

J. V.
BAINVEL

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ

LA SUA DOTTRINA E LA SUA STORIA







PARTE SECONDA

SPIEGAZIONI DOTTRINALI

(continuazione)



CAPITOLO TERZO



L’ATTO PROPRIO DELLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE


Una devozione si specifica
soprattutto per il suo oggetto; ma è pur sempre un insieme d’idee, di sentimenti,
di pratiche, in relazione con quest’oggetto. Per conoscerla sempre meglio, ci bisogna
dunque studiarla anche da questa parte, domandandoci quale è l’atto proprio
della devozione al sacro Cuore. La risposta può dedursi dall’oggetto e dal
fine della devozione, questo fine essendo determinato dalla natura dell’oggetto.
Ma, per non procedere unicamente a priori, dovremo pure esaminare i testi
e i fatti.

La questione dell’atto proprio potrebbe esprimersi benissimo così: Quali sono
il carattere e lo spirito proprio della devozione al sacro Cuore, quali ne sono le
pratiche speciali, secondo questo spirito e questo carattere? Si può riferir
tutto a questi due capi: fine e atto proprio della devozione, spiegandone lo spirito,
le pratiche ed il carattere.

I. –
SCOPO DELLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE

Quando Gesù mostrava
a santa Margherita Maria il suo cuore infiammato d’amore per gli uomini e, incapace
di contenere più a lungo quelle fiamme che lo consumavano, e desideroso di
far parte a tutti delle ricchezze del suo cuore, che cosa voleva? Attirare t’attenzione
degli uomini su questo amore, indurIi a rendergli omaggio, invitarli ad attingere
a questo cuore infinitamente ricco. Se, al dire della santa, egli si compiace grandemente
di essere onorato sotto la figura del suo Cuore di carne, che scopo vuole che ci
proponiamo nel rendergli questo onore? Si tratta del fine preciso e prossimo della
devozione, non già del fine ultimo e generale che è, evidentemente,
la gloria di Dio e la santificazione delle anime.

Egli vuole che ci proponiamo di onorare il suo amore e di corrispondergli, rendendo
amore per amore. La manifestazione del sacro Cuore a santa Margherita Maria è
la manifestazione dell’amore. Si può dunque collegare tutta la devozione a
questo. Da una parte, un amore che reclama corrispondenza d’amore, un amore tenero,
esuberante, che vuole ricambio proporzionato d’amore; dall’altra parte l’amore che
risponde all’invito dell’amore, l’amore desideroso di non essere troppo al disotto
dell’amore immenso che l’ha prevenuto e lo provoca. Se la devozione al sacro Cuore,
secondo la parola di Pio VI, ci conduce a venerare l’immensa vita e il prodigo (effusum)
amore di nostro Signore per noi, è evidente che ciò serve ad accendere
il nostro amore a questo focolare dell’amore. Il che è evidente.

Ricorderò qualche testo soltanto per mostrare che è proprio così.

La santa scriveva al P. Croiset: «Mi si mostrava di continuo un cuore che gettava
fiamme da ogni parte, con queste parole: Se tu sapessi quanto io abbia sete d’essere
amato dagli uomini, tu non risparmieresti nulla per questo. Io ho sete, io ardo dal
desiderio d’essere amato».

E precedentemente aveva scritto alla Madre di Saumaise: «Egli vivrà
malgrado i suoi nemici, e si farà padrone e possessore dei nostri cuori e
ne prenderà possesso; perché il fine principale di questa devozione
è di convertire le anime all’ amor suo».

E ancora al P. Croiset: «Egli mi fece vedere che il suo ardente desiderio d’essere
amato dagli uomini… gli aveva suggerito il desiderio di manifestare il suo cuore
agli uomini, con tutti i tesori d’amore, di misericordia, di grazia, di santificazione
e salute che conteneva, affinché tutti coloro che volessero rendergli e procurargli
l’onore, l’amore e la gloria che potessero, fossero arricchiti con abbondanza e profusione
di questi divini tesori del Cuore di Dio che ne è la sorgente e che si deve
onorare sotto la figura di questo cuore di carne… Questa devozione è come
un ultimo sforzo dell’amor suo che voleva favorire gli uomini in questi ultimi secoli,
con questa redenzione amorosa… per metterci sotto la dolce libertà dell’impero
del suo amore, che voleva stabilire nel cuore di tutti coloro che vorrebbero abbracciare
questa devozione».

È ben così che l’intendevano i promotori della devozione: «Il
fine della nuova devozione, diceva il postulatore del 1697, è di pagare un
tributo d’amore alla sorgente stessa dell’amore».

«Il primo fine che si ha in vista, diceva il P. Galliffet, postulatore del
1727, è di corrispondere all’amore di Gesù Cristo».

E il P. Croiset: «Non si trova qui, per parlare propriamente, che un esercizio
d’amore; l’amore ne è l’oggetto, l’amore ne è il motivo principale,
ed è l’amore che deve esserne il fine».

È ben così che l’intende la Chiesa. Essa dice nell’inno alle laudi:
«Quis non amantem redamet? Quis non redemptus diligat?». E nella
segreta della Messa Egredimini prega così: «Noi vi supplichiamo,
Signore, che lo Spirito Santo c’infiammi dell’amore che nostro Signore Gesù
Cristo ha fatto scaturire dal suo amore sulla terra, e che ha voluto tanto vedere
accendersi».

Quando Pio IX nel 1856, estendeva la festa del sacro Cuore a tutta la Chiesa, fu
per «fornire ai fedeli un incitamento (incitamenta) per amare e ripagare
in amore (adamandum et redamandum) il cuore di Colui che ci ha amato ed ha
lavato col suo sangue le nostre colpe». E, quando lo stesso Pontefice innalzò
la festa a un rito superiore, lo fece perché la devozione d’amore al cuore
del nostro Redentore si propagasse sempre di più e penetrasse più addentro
nel cuore dei fedeli, affinché «la carità che si è raffreddata
in molti, si rianimi al fuoco del divino amore». Si dice pure nel breve di
beatificazione di Margherita Maria: «Gesù non ha nulla così a
cuore come di accendere nel cuore degli uomini quella fiamma d’amore di cui il suo
proprio cuore è infiammato. Per meglio riuscirvi, ha voluto che si stabilisse
e si propagasse nella Chiesa, il culto del sacratissimo Cuore».

La medaglia commemorativa della beatificazione, coniata a Roma nel 1864, rappresenta
Gesù che mostra il suo cuore, con questa leggenda: Cor ut redametur exhibet.
Leone XIII ha ripetuto gli stessi insegnamenti nella Enciclica del 28 giugno 1889.
Egli scrive: «Gesù non ha desiderio più ardente che di vedere
acceso nelle anime il fuoco d’amore da cui il suo proprio cuore è consumato.
Andiamo dunque a Colui che non ci domanda altro come prezzo della sua carità,
che corrispondenza d’amore». Tutta la lettera è piena di questa idea.

È qui, d’altronde, che ci riconducono sempre i documenti che si riferiscono
al sacro Cuore, e nulla è più frequente che incontrare, citata in questo
senso la parola del divin Maestro: «Sono venuto a portare il fuoco nella terra,
e che cos’altro desidero se non che si accenda?».

Aggiungiamo che, siccome la devozione è un compenso d’amore all’amore sconosciuto
e oltraggiato, così quest’amore si presenta naturalmente come un amore di
riparazione. Così, come vedremo, i documenti ci parlano in pari tempo e di
riparazione e d’amore.


II. –
L’ATTO PROPRIO DELLA DEVOZIONE


È questa una questione
su la quale si è discusso qualche volta. Per noi è stata già
risolta da quel che precede; l’atto proprio della devozione, è, evidentemente
l’atto d’amore. Gesù ci dà il suo cuore per avere il nostro. La devozione
all’amore è, essenzialmente, una devozione d’amore. La sua divisa è:
Nos ergo diligamus Deum, quoniam ipse prior dilexit nos (Gv 4,19).
E ancora: Sic nos amantem quis non redamaret? All’amore, rispondiamo con l’amore.

Ma, notiamolo bene, per questo appunto che si presenta come una risposta all’amore,
quest’amore ha dei caratteri speciali, determinati in gran parte dall’amore che vuol
riconoscere rispondendo ad esso.

Io non parlo del colore indescrivibile che gl’imprime il sentimento sempre presente
della distanza fra noi e l’Amico divino, la cognizione di ciò che Egli è
e di quel che noi siamo; Egli ci mette, a suo riguardo, in un’attitudine analoga
a quella degli Apostoli dopo la risurrezione, al mattino della pesca miracolosa.
Mangiando sotto i suoi sguardi la piccola refezione che egli stesso aveva preparato
loro, non osavano domandargli chi fosse, ben sapendo che era Gesù. Egli addolcisce
tutte le relazioni fra lui e noi per fondere insieme la condiscendenza infinita che
senza abbassarsi discende alla più intima familiarità, e il rispetto
affettuoso che osa amare semplicemente, senza dimenticare l’audacia di volgere in
alto i propri affetti. Voglio indicare certi tratti più speciali di questo
amore, tali come li richiede la devozione.

È un amore reciproco che non dimentica mai d’essere amato. Se si fosse tentati
di dimenticarlo, uno sguardo al sacro Cuore, ce lo ricorderebbe subito.

Quest’amore reciproco è, malgrado le distanze, un amore d’amicizia, un amore
di familiarità, di fratellanza intima e tenera. Ciò dipende in parte,
senza dubbio, dal fatto che l’amore del sacro Cuore per noi si presenta come un amore
umano, sotto forme sensibili, alla misura, per così dire, del nostro cuore.
Ma ciò dipende soprattutto dal fatto che questo amore, essendo quello di Gesù,
del Verbo incarnato, non possiamo dimenticare che egli ha voluto immedesimarsi nella
nostra famiglia per immedesimarci nella sua, e che, essendo Dio, ha voluto farsi
uomo per fare dell’uomo un Dio.

Quest’amore reciproco, pertanto, non dimentica che una parte ha prevenuto, che Gesù
ha fatto i primi passi e che non ci resta che corrispondere. Si ferma dunque a studiare
questo amore che previene a tutto quello che ha fatto; cerca, pur sapendo di non
arrivar mai, di corrispondere alla tenerezza e all’ardore di quest’amore, con tutta
la sua potenza di tenerezza e di ardore, alla sua generosità, con tutta la
sua forza di abnegazione disinteressata, ecc…. In una parola si sforza, in una
lotta ineguale, di rispondere con la perfezione dell’amore, all’amore perfetto che
l’ha prevenuto.

Ma l’amore di Gesù, come si è rivelato a santa Margherita Maria, è
un amore sconosciuto e oltraggiato. Ed è questo che dà tutta la sua
importanza all’atto di riparazione, al culto del sacro Cuore. Questo posto fatto
alla riparazione è tale che, qualche volta, sembra presentarsi come il primo
atto e il più essenziale della devozione. E pertanto non è così.

Prima di tutto, la riparazione, tale come ci apparisce qui, è una riparazione
d’amore, non già una riparazione di giustizia e di espiazione, e si traduce
per mezzo della ammenda onorevole che si rivolge precisamente all’amore sconosciuto
e oltraggiato. L’amore è messo dunque in prima linea. Aggiungiamo che anche
nei testi la riparazione è sempre messa al secondo posto. Vi si dice che il
fine principale della devozione è l’amore; la riparazione viene dopo, e come
atto speciale d’amore verso l’amore misconosciuto e oltraggiato. L’amore, la consacrazione,
o dono amoroso di sé al Sacro Cuore, la vita tutta per lui, e in lui, hanno
uníimportanza infinitamente maggiore negli scritti e nelle apparizioni di santa Margherita
Maria che non ne abbiamo la riparazione e l’ammenda onorevole. E, se anche fosse
altrimenti, non bisognerebbe, per questo; invertire l’ordine. Per la forza stessa
delle cose, la riparazione non viene che dopo e come prova speciale di amore.

Altri atti, oltre le pratiche san cari ai devoti del sacro Cuore: Comunione riparatrice,
devozione all’Eucaristia, ora santa, devozione alla Passione, ecc. Care al loro amore
perché chieste espressamente da Gesù ai suoi amici fedeli, nella persona
della sua devota prediletta, perché praticate o indicate da lei stessa come
gradite al cuore del divino Amico, perché manifestazioni spontanee di un amore
tenero, delicato, generoso. Tutto questo proviene naturalmente dalla natura propria
di questa devozione. Sono gli aspetti dell’amore. Niente è estraneo all’amore
di quel che è rivelazione, traduzione d’amore. Ma tutto quello che si fa,
tutto quello che si soffre, si riferisce all’amore come alla sua sorgente e al suo
termine. Leggete quello che dice san Paolo della carità (1 Cor 13,5
e segg.). Vi trovate come una descrizione della vera devozione al sacro Cuore, poiché
vi trovate la descrizione del vero amore. Lo spirito della devozione è dunque
uno spirito d’amore. Tutte le pratiche che ne sono animate, tutte ci guidano a lui.

Dappertutto dove incontriamo la devozione al sacro Cuore incontriamo questo carattere
dell’amore.

È per amore che si stringe a Gesù per studiarvi il suo amore, dalla
culla al Calvario; non arrestandosi ai fatti esteriori che per le tracce dell’amore.
È pure per amore che compatisce alle sue pene, che gli rende omaggio vedendolo
sconosciuto, che gode delle sue gioie e ,dei suoi trionfi come se fossero suoi, che
vive di lui, infine, e si sforza di piacergli, amandolo sempre più, per innestargli
il proprio amore e rendendosi sempre più amabile ai suoi occhi per soddisfare
questo amore.

È, a dir vero, ai predicatori e agli autori ascetici che appartiene sviluppare
tutte queste considerazioni, ma era pur necessario accennarle per farsi un’idea più
giusta e vera della devozione.

Le anime devote troveranno nella loro devozione stessa di che nutrirsene e penetrarsene.
Ed è a misura che se ne nutrono e se ne penetrano, che la loro devozione cresce
e diviene in loro una sorgente inesauribile di considerazioni amorose e di amore
sempre più tenero, sempre più operoso.










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