LA TESTIMONIANZA DEI CONVERTITI

LA TESTIMONIANZA
DEI CONVERTITI

INTRODUZIONE

Interesse della testimonianza
dei convertiti
. – Noi crediamo volentieri ai testimoni che si lasciano uccidere;
e per questo in apologetica meritano un posto particolare i martiri che, in punto
di morte, confessano la loro fède in Gesù Cristo. Ma perché
non dovremmo rivolgerci anche ad altri testimoni, verso coloro che, magnifico esempio
d’apologetica vivente, dopo lunghe riflessioni sono entrati o rientrati nella Chiesa
cattolica, ritenendo questa come l’unica capace di saziare la loro fame spirituale,
di calmare la loro inquietudine religiosa, di dare loro la certezza? Lo studio di
questi itinerari verso Roma, grazie a Dio cosi numerosi e diversi, è quanto
ci possa essere di più attraente e confortante. Forse proprio la loro diversità
li rende interessanti, e si direbbe che la Provvidenza abbia voluto dimostrare che
le vie conducenti alla Chiesa partono dai punti più diversi, onde si comprenda
che, da qualunque parte si arrivi, nel cammino della verità non s’incontreranno
mai ostacoli insormontabili.

“Ci sono mille e mille strade, scrive Ugo Benson, convertito di cui parleremo,
che conducono alla Città. Uno sarà guidato dal suono dell’organo, l’altro
dal profumo dell’incenso; uno se ne andrà tenendo una Bibbia in mano; questi
è uno storico, quegli un mistico, il terzo un filantropo; questi è
il peccatore che implora il perdono; quell’altro un uomo semplice che vuoi essere
illuminato; quello infine è un santo che reclama l’unione con Dio: uno è
condotto dalla mano di sua madre, l’altro si strappa agli amici per seguire Cristo.
Cosi se ne vanno, questi mille e mille, seguendo ciascuno la propria strada, ciascuno
mosso da una potenza che gli resta misteriosa, ma tutti finiscono con l’incontrarsi
davanti alla stessa porta, quella porta di cui si parla nell’Apocalisse, che tutti
devono varcare e che è fatta d’una sola perla…”. (A. De La Gorce, Robert
Hugh Benson, prêtre et romancier
, Plon, Paris 1928.

La conversione e il fatto della Chiesa. – D’altronde perché stupirci
di questa magnifica molteplicità? Il Concilio Vaticano ha parole che aprono
l’orizzonte sulle ricchezze delle ragioni di credere e sulla varietà delle
strade del ritorno. Dopo aver detto come Dio, per rendere il nostro assenso di fede
conforme alla ragione, dà a questa, oltre gli aiuti interiori dello Spirito
Santo, prove esteriori della rivelazione, cioè argomenti che consistono nei
fatti divini, e prima di tutto nei miracoli e nelle profezie…, il Concilio accenna
ai numerosi e mirabili segni, disposti da Dio nella Chiesa, per guidarci a constatare
fino all’evidenza la credibilità della fede cristiana. I Padri del Concilio
rilevano e precisano alcuni di questi segni o motivi, desumendoli dalla storia, dalla
natura e dalle qualità della Chiesa, che da sola è una testimonianza
inconfutabile della sua divina missione. (Denz. 1793-1794).

Vi sono certamente conversioni subitanee e violente, in cui sembra intervenire direttamente
e quasi istantaneamente la mano di Dio. Basta accennare la conversione di San Paolo
sulla via di Damasco oppure, poiché la conversione non significa soltanto
il passaggio dal non credere alla fede, la notte cruciale di Biagio Pascal il lunedì
23 novembre 1654.

Più vicino a noi, il 20 gennaio 1842, non abbiamo forse la folgorante conversione
d’Alfonso Ratisbonne nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte a Roma, dove l’israelita
accompagna un amico per una commissione in sacrestia, e da questi, al ritorno, è
trovato in lacrime e sconvolto per la visione avuta poco prima della Vergine Immacolata?
E ancora più recentemente, il giorno di Natale 1886 a Notre-Dame di Parigi,
“vicino al secondo pilastro dell’ingresso del coro, dal lato destro della sacrestia”,
Paul Claudel in un istante ha il cuore tocco e crede; e Max Jacob, un altro israelita,
il 7 ottobre 1909, nella sua camera di via Ravignan, è condotto subitamente
alla fede cattolica di Cristo, che gli appare a coperto d’una veste di seta gialla
con paramenti bleu”.

Questi però sono casi eccezionali. I convertiti del nostro tempo d’ordinario
sono stati attratti a Dio dalla considerazione della Chiesa cattolica, della sua
storia, unità, bellezza, fecondità passata o presente, dal suo riflesso
nella persona dei suoi santi o dei suoi membri.

Alcuni esempi di conversioni. – Come vedremo dal rapido studio di alcuni casi particolari,
emergerà appunto la parte preponderante avuta nelle conversioni dal fatto
della Chiesa, sia che un cuore inquieto, venendo da un’altra religione, trovi finalmente
nel cattolicesimo il riposo che invano cercava altrove, sia che l’esempio d’un santo,
la lettura d’un’opera, la familiarità con un cristiano sveglino il desiderio
di conoscere meglio questa Chiesa intravista, sia ancora che un’anima presa da un
certo ideale filosofia), artistico, umanitario, veda nella Chiesa romana il pieno
appagamento delle sue aspirazioni. Sembra che qui potremo avere le più belle
lezioni d’apologetica e le più belle testimonianze in favore della fede cattolica.
E poiché tali convertiti sono legione, ci accontenteremo d’alcuni nomi, di
cui cercheremo di fissare l’itinerario, di rilevare le ragioni che li hanno spinti
alla conversione, di precisare che cosa cercarono nella Chiesa e che cosa ebbero
la fortuna di trovare in essa.

CAPITOLO
I.

CARENZA DEL PROTESTANTESIMO: VON RUVILLE

Le conversioni dei protestanti.
– Forse è difficile trovare molti esempi di conversioni di luterani o di calvinisti
alla Chiesa romana, non perché siano scarsi (sono anzi numerosi), ma perché
la maggior parte di questi convertiti aveva abbandonato da lungo tempo qualsiasi
pratica e perfino ogni fede, tanto che si tratta d’un reale passaggio dall’ateismo
o dal razionalismo al cattolicesimo, come, per citarne uno tra molti, lo Stoddard
che descrisse il suo itinerario spirituale nel volume: Ricostruendo una fede perduta,
Milano 1928.

Ci sono tuttavia persone sinceramente credenti, che hanno sentito le deficienze del
protestantesimo e lo abbandonarono per la vera fede, come il dottor Alberto von Ruville,
professore dell’Università di Halle, storico apprezzato e autore d’un’importante
opera su La Baviera e il ristabilimento dell’impero tedesco e di studi su Guglielmo
Pitt. Le ragioni che condussero al cattolicesimo (1909) questo luterano «positivo,
risoluto e rigido», meritano la nostra attenzione, perché illuminano
in modo mirabile un difetto capitale del protestantesimo. Il Ruville narrò
la sua conversione in un libro tradotto anche in italiano: II mio ritorno,
Lib. Ed: Fiorentina, Firenze 1911.

Von Ruville e la natura della fede. – Pieno d’ammirazione verso la persona
di Cristo (che conobbe dalla celebre opera di Harnack, L’essenza del cristianesimo)
e in possesso, come dice egli stesso, della fede nel simbolo, Alberto von Ruville
non si sentiva più completamente a suo agio: «Quello che mi causava
fastidio, egli dice, era di dover riflettere tanto per avere una fede solida. La
mia restava, in sostanza, una fede di riflessione». Il protestantesimo gli
sembrava una religione puramente intellettuale, in cui predomina la riflessione:
forse alcuni possono inorgoglirsi e compiacersi d’una fede che a loro pare avere
un’essenza superiore e un po’ raffinata. Con lealtà e carità egualmente
grandi, von Ruville si dichiarava insoddisfatto di questa constatazione, poiché
il suo pensiero correva subito alla massa, alla povera gente, ai popoli ancor selvaggi
e incapaci d’una profonda riflessione: «Questa massa incolta, questi popoli
incivili dovranno rimaner privi della vera convinzione religiosa, delle benedizioni
divine, fintanto che l’istruzione non li abbia resi capaci di comprenderne completamente
il significato e l’intima natura? Sarebbe evidentemente un inconveniente gravissimo».
La vera fede non può e non dev’essere l’appannaggio di pochi. Eguale possibilità
dev’essere a data a tutti gli uomini per acquistare e conservare la fede vera, solida
e conforme al simbolo apostolico. In questo il protestantesimo appare singolarmente
deficiente, e von Ruville cerca invano di liberarsi da tali preoccupazioni che lo
assediano. Quanto al cattolicismo non si poteva affatto parlarne, poiché egli
era troppo imbevuto di luteranesimo per accettare l’infallibilità pontificia,
la transustanziazione, il celibato dei preti, senza parlare, naturalmente, delle
indulgenze (che conosceva solo da informazioni tendenziose) e del culto alla Santissima
Vergine, che in buona fede credeva idolatrico.

Migliore conoscenza del cattolicesimo. – Ma i pregiudizi cadranno dopo l’altro.
Von Ruville come storico si mette a studiare prima il papato. Di fronte alla confusione
dottrinale imperante nella Chiesa protestante, confusione che cancellava ogni confine
tra protestantesimo e paganesimo, arriva a comprendere la necessità díun punto
díappoggio che «se pure esiste, può essere solo il papato» e a
riconoscere, senza possibilità dì dubbio, gli speciali poteri che Cristo
affidò a Pietro. Poi lesse casualmente un’opera di teologia cattolica del
professore austriaco Reinhold, e s’accorse che, fin dalla sua giovinezza, era stato
istruito in modo assolutamente falso sulla Chiesa cattolica. «Il quadro»,
egli dice, «che ora mi veniva presentato, era assolutamente diverso e, sotto
certi aspetti, proprio il contrario di ciò che m’ero immaginato.

Tutto era cosi sapiente, cosi profondamente pensato, cosi logico! Caratteri questi
che non avevo mai trovato in tal grado nelle dottrine protestanti propriamente dette,
le quali, al confronto, mi apparivano un pasticcio malaccorto, in cui i lineamenti
migliori erano stati sacrificati. Riconobbi che i maestri, i pastori e i teologi,
ai quali ero debitore della mia scienza, non avevano capito nulla del cattolicesimo,
e tuttavia non esitavano a giudicarlo cattedraticamente e perfino a colpirlo di frequenti
sarcasmi».

La conversione. – Infine «il colpo diretto, presto o tardi inevitabile»,
gli fu dato dalla lettura della Simbolica di Möhler, che lo illuminò
completamente sulla transustanziazione, che gli restava oscura. «Allora conobbi
il miracolo misterioso della santa Eucaristia, e credetti». Non c’erano più
ostacoli, e il 6 marzo 1909 entrò nella Chiesa cattolica.

La libertà nel protestantesimo… – Trovò la libertà,
«Eccomi finalmente libero, gridai». Potrà sembrare strano, data
la troppo frequente abitudine di opporre l’intransigenza dottrinale e morale del
cattolicesimo al libero esame e al libero culto dei protestanti; ma von Ruville,
in pagine interessantissime, denuncia l’equivoco. «Verso i loro obblighi religiosi
i protestanti hanno la massima libertà, ma in senso negativo. Non hanno bisogno
d’andare in chiesa, di partecipare alla Cena, di fare preghiere; in sostanza non
hanno nessun dovere religioso da compiere, se non se lo impongono da se stessi, o
se non interviene la legge civile… Invece dal lato positivo la libertà è
notevolmente ristretta. Il protestante non può andare liberamente ogni giorno
in chiesa o quando gli piace, perché essa, fuori del tempo stabilito, è
chiusa… È già molto se gli permettono di partecipare alla Cena come
egli desidera, e per questo gli sono fissate scadenze misurate con avarizia… Si
considera sconveniente che uno in chiesa si occupi d’altri esercizi di devozione,
che faccia preghiere che non siano quelle della comunità, che s’inginocchi
davanti alle immagini o all’altare. Il protestante non deve venerare le reliquie,
nemmeno quelle autentiche, per quanto siano pii i pensieri che gli possono suggerire;
non deve mai implorare l’intercessione di persone sante, fossero pure gli apostoli
o la Santissima Vergine; non deve fare voti, o fondare ordini basati sui voti…
È prima di tutto obbligato ad astenersi da quanto viene considerato cattolico;
ed ecco spiegato perché il vero credente, il cristiano entusiasta delle cose
divine, che vorrebbe accostarsi al suo Salvatore e Maestro il più possibile,
si sente chiuso in una camicia di forza e aborrisce questa perpetua tutela. A che
gli serve dunque la libertà inferiore, la libertà dell’indifferenza,
dell’inazione?… Egli vuole agire, servire Dio, fare penitenza, offrire sacrifici,
proprio secondo l’uso comune; ma questo nella Chiesa protestante gli è proibito…».

…e nel cattolicesimo. – Invece, aggiunge von Ruville, «nella Chiesa
cattolica avviene tutto il contrario. Sono state fissate regole per la frequenza
alla chiesa, la recezione dei sacramenti, il modo di pregare e per molti altri esercizi
devoti. Se non vuole peccare, il cattolico deve osservare tali prescrizioni e quindi
è soggetto a restrizioni dal lato negativo. Perciò dal lato positivo
io godo d’una libertà quasi illimitata, per quanto essa non viene sminuita
da circostanze locali sfavorevoli. Nessuno penserà, nemmeno lontanamente,
di criticare gli esercizi di pietà che il cattolico compie in chiesa; la casa
di Dio gli è sempre aperta, tutti i giorni può assistere al santo sacrificio
della Messa… La comunione quotidiana non è affatto considerata un’esagerazione,
anzi è desiderata e consigliata; …il cattolico può venerare le reliquie
e cosi fortificare la sua pietà; può e deve rivolgersi a un santo o
alla Madre di Dio, per implorare la loro intercessione… La Chiesa sanziona con
gioia nuove forme liturgiche, purché concordino con le sue dottrine e spirino
la vera fede… Ovunque la Chiesa lascia germogliare, verdeggiare, fiorire le piante,
anche se talvolta hanno una fisionomia un po’ insolita e non giunge subito brandendo
le forbici potatoie. Che magnifica fioritura d’ordini religiosi, con innegabili e
potenti effetti sulla Chiesa e sui popoli, nei tempi antichi e moderni! La Chiesa
li ha lasciati sviluppare nella massima libertà…». Cosi, conclude
von Ruville, «la libertà, nel vero senso della parola, non è
un bene riservato ai protestanti, ma un bene che la Chiesa cattolica possiede molto
più largamente».

Proprio dunque per aver trovato nel protestantesimo (assieme al molto di bello e
di buono, che egli realmente riconosce) «gravi difetti», il dottor von
Ruville, desideroso di apportarvi un rimedio, giudicò possibile un solo mezzo»,
quello che s’esprime in quest’esortazione: ritorno alla Chiesa».

Alcune altre testimonianze. – Abbiamo uditala testimonianza di von Ruville
sulla carenza del protestantesimo, ma la sua è una voce tra mille. Citiamo
qualche altro nome celebre, limitandoci al secolo ventesimo.

Kund Krog-Tonning, pastore luterano professore all’Università di Christiania,
entrato nella Chiesa cattolica il 1900 e chiamato il “Newman della Norvegia”;
Sigrid Undset, norvegese, romanziera di fama mondiale e premio Nobel per la letteratura.
Erik Peterson, che attualmente insegna a Roma, discepolo di Harnack, collega di Karl
Barth a Bonn. Egli è passato al cattolicesimo dopo una lunga ricerca e personale
elaborazione della teologia, convinto che «senza autorità dommatica
non vi possa essere Chiesa alcuna; anzi, ciò che è ancor più
grave, non potrà aver luogo alcuna efficacia della Chiesa». P. Marchant,
giurista e ministro della pubblica istruzione d’Olanda, entrato nella Chiesa il 21
dicembre 1984. Dalla narrazione del suo itinerario spirituale emerge che egli è
pervenuto al cattolicesimo per la via del ragionamento puro: «credo perché
rifletto». Ragionando trovò, anche lui, che Cristo non aveva scritto
un libro, ma fondato una Chiesa, depositaria della buona novella; e la buona novella
si trovava intatta nel deposito della Chiesa di Roma. Di fronte ad essa stavano le
confessioni protestanti con le loro dottrine mutevoli in sé e contraddittorie
tra di loro, tali da non poter soddisfare uno spirito bramoso di una verità
definita ed eterna, quale non può non essere quella di Cristo. «L’imprecisione
e la incomprensione diventano pericolose» in teologia; e nei teologi protestanti
egli rilevava un procedere a tentoni, tra mutamenti e oscurità. Di deduzione
in deduzione, anche il Marchant è arrivato al punto da cui poi la grazia l’ha
preso a volo e portato nella pace della Verità.

CAPITOLO
II.

CARENZA DELL’ANGLICANESIMO: UGO BENSON E ILARIO KNOX

Anglicanesimo e anglo-cattolicesimo.
– In Gran Bretagna vediamo ogni giorno uomini di prim’ordine rifare l’itinerario
spirituale del cardinal Newman.

Pur sembrando, specialmente alle giovani generazioni, che l’anglicanesimo sia solo
una religione ufficiale e tradizionale, un’istituzione tipicamente britannica, come
il thè e il cricket, ci sono in esso molte anime realmente cristiane e religiose,
convinte d’essere nella verità e d’appartenere alla Chiesa. Tuttavia alcune
di esse percepiscono fino all’evidenza le deficienze di questa Chiesa n nazionale
“, e, spinte da un ardente desiderio di perfezione, abbandonano l’anglicanesimo,
e anche quello che esse chiamano l’anglo-cattolicesimo, si dichiarano incapaci di
rimanere in questa via media, che soddisfaceva Pusey e, alla fine, giungono al termine
obbligato di Roma. Per le stesse ragioni vennero al cattolicesimo, l’uno nel 1903
e l’altro nel 1917, Roberto Ugo Benson e Ronaldo Ilario Knox, che noi sceglieremo
come esempi, senza però separarli, prima di tutto perché le loro strade
sono quasi identiche, poi perché, mentre Benson riconosceva che l’agente principale
della sua conversione era stata la lettura di Newman, Knox dichiara d’aver ricevuto
la prima spinta dalla lettura d’un libro di Benson (Cfr. R. H. Benson, Confession
of a convert
, Longmans, London 1913; trad. franc. Les confessions d’un converti,
Perrin, Paris 1918; R. H. Knox, A spiritual Aeneid, Longmans, London 1919).

La loro posizione di fronte a Roma… – L’arcivescovo di Canterbury Edward
Benson passeggiava un giorno con suo figlio Roberto Ugo, nato nel 1871 e da poco
diacono della Chiesa anglicana, quando il giovane gli rivolse questa brusca domanda:
«I cattolici romani fanno parte della Chiesa di Cristo?» E il primate
d’Inghilterra gli rispose che secondo lui, «i cattolici romani avevano peccato
tanto gravemente nelle loro credenze, da aver perduto il diritto d’appartenere al
corpo di Cristo». Il dottor Knox, vescovo di Manchester, vent’anni più
tardi avrebbe probabilmente risposto alla stessa domanda in modo ancor più
intransigente, se il figlio Ronaldo Ilario, nato nel 1888, gliel’avesse fatta.

…e di fronte a Canterbury. – Se i due giovani avevano una posizione cosi
netta verso Roma (Benson giungeva a chiamare la Chiesa cattolica la missione italiana),
il loro giudizio sull’anglicanesimo ufficiale non lo era molto meno. Durante un viaggio
in Egitto, Benson medita sulla cappella anglicana che gli albergatori britannici
hanno fatto costruire a Luxor per i loro clienti. La cappella, egli dice, «non
è altro che a una specie d’appendice della vita europea importata da una determinata
nazione attraverso il mondo, un po’ come un tubo di caucciù, per dare ai turisti
di questa nazione un sovrappiù di confort, o per dare loro una sensazione
di familiarità». E Knox, divenuto pastore, nel 1913 farà un sermone
che susciterà scandalo, in cui, risalendo alle fonti dell’anglicanesimo, dichiarerà
che l’Inghilterra non ha affatto motivo d’essere fiera della riforma che ha creato
due Chiese, scindendo la veste senza cucitura, e inveirà contro la regina
Elisabetta in questi termini: «Solo una donna poteva inventare il consolidamento
della Riforma, perché solo una donna è capace di servirci una colazione
fredda con gli avanzi della cena calda del giorno prima, di rammendare le calze anziché
comperarle nuove, di tagliare i calzoni del marito per fare i calzoncini di suo figlio.
La Riforma d’Elisabetta fu una serie di accomodamenti, di ripieghi e di tagli da
cerimonia, non facendo altro che ridurre a pezzi e brandelli la Chiesa cattolica.
Il risultato non doveva essere né bello né ideale; era tutto incerato
e verniciato e stava unito solo i forza di pezzi di spago, ma stava proprio bene:
ecco tutto».

Fede dei nostri padri. – Perciò se l’anglicanesimo, come venne concepito
dalla Riforma, non può soddisfare, non sarà il caso di cercare che
cosa ci posta essere di buono nella religione dell’Inghilterra prima d’Enrico VIII
e d’Elisabetta? Cosi pensa Benson, che s’immerge nella lettura dei mistici inglesi
antichi, come Giuliana di Norwick e Riccardo Rolle e che, intonando il canto inglese
della Fede dei nostri padri, dichiara che per padri non intende né Cranmer,
né Latimer, né Ridley, o qualche loro simile, ma i santi del Medioevo.
Il suo primo libro (Benson comincia a coltivare le sue doti di scrittore), intitolato
La luce invisibile, una serie di racconti dove entrano la mistica e il meraviglioso
cristiano, pare l’opera d’un cattolico, e un critico lo definì «una
gita sulla via di Roma, un addio alla casa lasciata per sempre». Quest’opera
nel Natale del 1903 stimolerà il giovane Knox sulla via della conversione.

Cattolici senza Roma. – Tuttavia ambedue intendono rimanere membri della Chiesa
d’Inghilterra e, con il singolare compromesso di Pusey, vogliono tentare d’infondere
una nuova vita all’anglicanesimo agonizzante, introducendo cerimonie, pratiche, usi
presi dal cattolicesimo; entrambi si faranno adepti di quel ritualismo, che è
un miscuglio ibrido di due religioni, dove si recitano il breviario e il rosario,
in cui si celebra una strana Messa in inglese, si raccomanda la confessione, s’espone
quello che si crede il Santissimo Sacramento… sillogismo bizzarro che farà
di essi, come dirà Knox, dei «cattolici romani nella Chiesa d’Inghilterra»,
ai quali mancherà proprio e soltanto d’essere cattolici.

Sempre desideroso di far meglio, dopo la sua ordinazione anglicana Benson si rivolgerà
verso una di quelle «comunità», assai numerose, con cui i ritualisti
tentano di copiare l’ideale monastico del cattolicesimo, ed entrerà nella
Casa della Resurrezione a Mirfield (contea di York), fondata dal vescovo Gore. Per
cinque anni prende parte alla vita di quei monaci, analoghi ai nostri missionari
diocesani, predicatori che a si propongono di cattolicizzare l’Inghilterra con i
sacramenti. Knox, cappellano del Trinity College (Cambridge), senz’abbracciare lui
stesso il monachesimo, frequenterà assiduo altre comunità, come quella
dei Padri di Cowley, dove si cantano i salmi in inglese, ma in gregoriano; quella
dei Benedettini anglicani di Caldy, che alcuni anni più tardi si convertiranno
in blocco al cattolicesimo, e saranno ricevuti nella Chiesa da Dom Beda Camm, un
altro convertito. Cfr. Beda Camm, De l’anglicanisme au monachisme, Desclée,
Paris 1930.

Intanto nel loro spirito sorge un dubbio ostinato: la Chiesa anglicana è apostolica?
Il divorzio da Roma non ha spezzato brutalmente i legami che univano l’Inghilterra
alla vera tradizione religiosa? Assistendo alla prima Messa anglicana di suo fratello,
R. I. Knox esclama: «Noi eravamo stati educati assieme, d eravamo conosciuti
a Oxford, come accade raramente tra fratelli. Per me avrebbe dovuto essere la più
grande felicità vederlo prete, vederlo compiere per la prima volta l’augusto
mistero della nostra religione, nella stessa chiesa, allo stesso altare dove io,
tre anni prima, avevo compiuto gli stessi riti davanti a lui. E improvvisamente vidi
l’altra facciata del quadro. Se questo dubbio, quest’ombra di scrupolo cresciuto
nel mio spirito, è legittimo, supposto che sia legittimo, né lui né
io siamo preti, e questa non è una Messa, e questa non è l’Ostia redentrice;
gli accessori della cerimonia, gli splendidi paramenti, i fiori freschi appena sbocciati,
la misteriosa luce dei ceri sono soltanto la montatura d’una falsa pietra. Siamo
stati presi al laccio, ingannati, traditi, pensando che tutto questo valesse qualcosa.
Avremmo dunque lavorato sulla sabbia, avremmo combattuto per un’idea solo immaginaria,
in tutti questi anni di lotta. Durante l’angosciosa rivelazione era così lontano
da ogni santo pensiero, che all’ultimo Vangelo sentii formularsi nel mio spirito
una maledizione contro Enrico VIII. E cosi andai a baciare la mano al novello sacerdote…».
Anche Benson, egli pure torturato dai dubbi, finisce col lasciare la congregazione
di Mirfield, s’immerge nella lettura del Newman prima, poi nello studio delle origini
della Riforma d’Inghilterra, e ne trae una serie di romanzi storici appassionati,
dove passano, in secondo piano, i grandi martiri inglesi, San Tommaso More o il beato
Giovanni Campion, e si presentisce che alla testimonianza dei martiri presto risponderà
quella del convertito.

L’unica uscita. – Non ci stupiremo quindi vedendo Benson abiurare (11 settembre
1903) nelle mani d’un padre domenicano, e nemmeno ci sorprenderà il sapere
che, nel settembre 1917, R. I. Knox è partito per l’abbazia benedettina di
Farnborough per farvi un ritiro e che ne esce cattolico. Quest’ultimo esprime con
un paragone l’impressione che provò, dicendo che era come un uomo senza casa
in cerca d’un rifugio; scorgendo una casa era entrato nella rimessa della parte posteriore,
poi nelle dipendenze. Allora aveva cercato d’aprire dall’esterno la porta per entrare
nell’interno della casa, la serratura aveva funzionato, ma la porta era rimasta chiusa.
Infine aveva girato molte volte intorno all’edificio e, all’ultimo momento, quando
già lo vincevano la fatica e lo sconforto, avvicinatosi all’ingresso principale,
s’era accorto che la porta era sempre stata aperta e aveva avuto la sensazione d’entrare
in casa sua, nella libertà e nella pace.

Proprio quello che dirà Benson quando, domandandogli un protestante. «Che
cos’hai trovato nel cattolicesimo di quanto non avevi trovato nella religione abbandonata?»,
rispose: «La pace assoluta dello spirito». E in entrambi scoppia la gioia
d’appartenere non a una Chiesa che comunque siano la carità e la santità
di molti suoi membri, è soltanto una setta nazionale, ma a quella Chiesa universale
che il figlio dell’arcivescovo di Canterbury, divenuto Mons. Benson, descriverà
in una magnifica visione : «Io vedo una grande figura mistica distesa nel mondo.
La testa, coronata di spine, riposa a Roma; il corpo è ferito, mutilato, spogliato
delle sue brillanti vesti, ma vivo, steso per terra; le braccia e i piedi si spingono
attraverso i mari e i continenti; le dita delicate cercano, anime fino in Cina; il
cuore palpitante comunica un sangue comune di preghiera e di fede a tutte le nazioni,
unendole in una vita soprannaturale prima sconosciuta all’universo… Talvolta…
dalla bocca dolorante esce una parola che calma i clamori e risolve le discussioni.
Quest’essere immenso è vecchio di diciannove secoli; le membra che da mille
anni s’agitano nella febbre, giacciono calme sotto il controllo d’un cervello infallibile,
e il mondo, che prende gusto a torturarle, si stupisce della loro vitalità.
Infatti i nemici non hanno esaurito la loro malizia ed eccoli di nuovo all’attacco.
La grande figura mistica ha trasalito tutta quanta, perché tutto il corpo
soffre alla sofferenza d’un membro. Gli occhi stanchi si volgono al cielo come per
chiedere: «Per quanto tempo?» e la risposta è l’eco di quelle
parole pronunciate in Galilea, che diedero vita a quel corpo: «Tu sei Pietro.
Le porte dell’inferno non prevarranno. Io a te darò le chiavi del regno
dei cieli».

Altre testimonianze. – La signora Sheila Kaye-Smith, nota romanziera inglese,
potrebbe firmare queste righe, avendo un itinerario spirituale simile a quello di
Benson e di Knox. Legata da molti vincoli all’anglo-cattolicesimo, del quale nel
1925 scrisse un’apologia, e che le offrì la trama di parecchi romanzi, si
rende ben presto conto delle sue deficienze, vedendolo privo di santità, di
cattolicità, d’apostolicità; nello stesso 1925 s’accorge d’aver cercato
«il cattolicesimo in un cattivo posto», e attualmente, sottomessa a Roma
e ricordando il tempo in cui credeva di salvarsi nell’anglo-cattolicesimo, scrive:
«Mi sembra ora che noi siamo una squadra di bambini che piantano fiori nella
sabbia, affondandovi gambi raccolti nel giardino del vicino. Questi fiori non hanno
radici e non possono crescere se non nel terreno da cui furono strappati. Alla fine
verrà il mare e li spazzerà via tutti».

Certamente anche il grande scrittore Maurizio Baring segui un itinerario analogo,
ma non ha mai raccontato la sua conversione. Con passi scelti dalle sue opere, e
specialmente da Cat’s cradle, uno dei suoi migliori romanzi, si potrà
tuttavia comprendere che anche lui ha cercato la Realtà, l’Unità, l’Autorità,
la Profondità, e le ha trovate nella Chiesa di Roma.

A sua volta il Baring influì sulla conversione di non pochi amici, tra i quali
Gilbert Keith Chesterton, il cui ritorno alla Chiesa cattolica, nel 1922, ebbe risonanza
mondiale. Con l’aria paradossale con cui presentava lo svolgimento logico del suo
pensiero, Chesterton pose tra i fattori della sua conversione «i principali
maestri del protestantesimo» inglese: il decano Inge e il vescovo Benson. «È
evidente per me che una Chiesa, la quale voglia agire con autorità, debba
essere in grado di dare una risposta alle grandi questioni morali. Ora, posso io
ammettere il cannibalismo o l’assassinio dei neonati per ridurre la popolazione o
per consimili riforme scientifiche o progressive? Una Chiesa provvista di autorità
di magistero deve sapermi dire se si possa o no. Ma le Chiese protestanti sono in
un enorme disorientamento di fronte a questioni, quali la limitazione delle nascite,
il divorzio, lo spiritismo… Eccovi gente come il decano Inge che vien fuori a bandire
pubblicamente e perentoriamente quella che io considero una frode meschina e velenosa,
la quale rasenta l’infanticidio. So bene che ci sono, nella Chiesa anglicana e in
altre comunità protestanti, persone le quali denunciano questi gravi vizi
pagani allo stesso modo che faccio io: e il vescovo Gore ne parlerebbe con lo stesso
sdegno del Papa. Ma il guaio è che la Chiesa anglicana non ne parla con quello
sdegno Essa è scissa nell’agire; e io non so che fare di una Chiesa che non
è militante e non sa ordinare una battaglia, né sa combattere e marciare
in una direzione unica». Più tardi ebbe a spiegare le cinque ragioni
per le quali si sarebbe convertito se non si fosse dato il caso che convertito già
era. (Cfr. il suo volumetto La Chiesa cattolica e la conversione, Morcelliana,
Brescia 1953).

Pure degne di nota, perché maturate dopo lunghi studi e ricerche, le conversioni
dello storico Christopher Dawson, attualmente professore ad Oxford, che scoperse
nel cattolicesimo la religione dei primordi cristiani, rimasta immutata nei secoli;
di Arnold Lunn, figlio del moderatore della Chiesa metodista, come Benson era figlio
dell’arcivescovo di Canterbury; dei tre romanzieri Bruce Marshall, Evelyn Waugh e
Graham Green annoverati tra i più grandi scrittori inglesi di oggi.





tratto dall’Enciclopedia
di Apologetica
– quinta edizione – traduzione del testo APOLOGÉTIQUE
– Nos raisons de croire – Réponses aux objection

Ripreso e corretto da:
Apologetica Cattolica