Due avvertimenti per far bene l’orazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO XIV. Di due avvertimenti, i quali ci aiuteranno grandemente a far bene l'orazione e a cavar frutto da essa.

 

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1. L'orazione è mezzo per il nostro profitto.
2. Autorità della Scrittura e dei Padri.
3. E rimedio generale per ogni necessità spirituale.
4. Prima di arare prevedere il frutto da cavare.
5. Pratica di ciò.
6. Da qualunque meditazione puoi cavare lo stesso frutto.

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1. Per far bene l'orazione e per cavar da essa il frutto che si conviene, per la prima cosa ci aiuterà grandemente il persuaderci a tenere fermo questo fondamento, che l'orazione non è fine, ma mezzo che pigliamo pel nostro profitto e perfezione. Sicché non ci dobbiamo fermare nell'orazione, come in termine e fine; perché la nostra perfezione non sta nell'avere grande consolazione, particolare tenerezza, o alta contemplazione; ma nell'acquistare una perfetta mortificazione e vittoria di noi stessi e delle nostre passioni e appetiti, riducendoci, quanto però ci sia possibile, alla perfezione di quel felice stato della giustizia originale nel quale fummo creati, quando la carne e l'appetito stavano totalmente soggetti e conformi alla ragione, e la ragione a Dio. E abbiamo da pigliare l'orazione come mezzo per arrivare a questo. Come nella fucina il ferro diventa molle col fuoco, per potersi lavorare e piegare e farsene quel che si vuole; così ha da essere nell'orazione. Ci si rende molto dura e molto difficile la mortificazione, il rompere la nostra propria volontà, il sopportare quel travaglio e quel sinistro incontro che ci si presenta? Bisogna fare ricorso alla fucina dell'orazione, e ivi col calore e col fuoco della divozione e coll'esempio di Cristo si va mollificando il cuore, per poterlo lavorare e accomodare a tutto quello che sarà di bisogno per servire maggiormente a Dio. Questo è l'ufficio dell'orazione, e questo è il frutto che abbiamo da cavare da essa; e per questo sono fatti i gusti e le consolazioni che il Signore in essa ci vuol comunicare. Non sono fatte le consolazioni per fermarci in esse; ma per potere con maggior prontezza e speditezza correre per la strada della virtù e perfezione.

2. Questo ci volle significare lo Spirito Santo in quello che avvenne a Mosè quando usciva dal parlare con Dio. Dice la sacra Scrittura che uscì con un raro splendore nella faccia. E nota che quello splendore era a guisa di corna, nelle quali suole stare la fortezza degli animali; per dimostrarci che dall'orazione abbiamo da cavare forza e vigore per bene operare. Questo stesso c'insegnò Cristo nostro Redentore col suo proprio esempio la notte della sua passione, ricorrendo all'orazione una, due e tre volte, per prepararsi al travaglio che gli era già tanto vicino: non perché egli ne avesse necessità, come nota S. Ambrogio (S. AMBR. Expos. Luc. l. 10, n. 57), ma per dar esempio a noi altri di quello che dobbiamo fare in simili occasioni. E dice il sacro Vangelo, che ivi gli apparve un angelo che lo confortò; onde uscì dall'orazione tanto confortato, che subito disse ai suoi discepoli (Matth. 26, 46): Levatevi su e andiamo ad incontrare i nostri nemici; ché già è vicino colui che m'ha da dare in poter loro. Egli stesso va loro incontro e si mette nelle loro mani (Isa. 53, 7).

Tutto questo serve ad insegnarci che abbiamo da pigliar l'orazione per mezzo da poter vincere le difficoltà che ci si presentano nella via della virtù. S. Giovanni Crisostomo (S. Io. CHRYS. Expos. in Ps. 4, n. 4) dice che l'orazione è come un temprare e accordare la cetra del nostro cuore per fare buona musica a Dio. A questo effetto andiamo all'orazione, a temprare il nostro cuore e ad accordare e moderare le corde delle nostre passioni ed affetti e di tutte le nostre azioni, acciocché ogni cosa vada compassata colla ragione e con Dio. E questo è quello che ogni giorno diciamo, o sentiamo dire nei ragionamenti e nelle esortazioni spirituali, che la nostra orazione ha da essere orazione pratica, cioè indirizzata all'azione: perché ha da essere per spianare le difficoltà e per vincere le ripugnanze che occorrono nella via spirituale. E perciò lo Spirito Santo la chiamò prudenza (Prov 9, 10), perché la prudenza serve per operare, a differenza della scienza dei dotti, che serve solamente per sapere. E così dicono i Santi che l'orazione è un rimedio generale ed efficacissimo contro tutte le nostre tentazioni e contro quante necessità e scabrose occasioni ci possono venire: e una delle principali lodi dell'orazione è questa.

3. Teodoreto nella sua Storia Religiosa riferisce (TEOD. Relig. hist. n. 16) che un santo monaco diceva che i medici guariscono le infermità del corpo, ciascuna col suo particolare rimedio; e che molte volte per guarirne una applicano molti rimedi, perché tutti sono rimedi imperfetti e di virtù finita e limitata; ma l'orazione è un rimedio generale ed efficacissimo per tutte le necessità, per resistere a tutte le tentazioni e conflitti del nemico e per acquistare tutte le virtù; perché applica all'anima un bene infinito, che è Dio, e in esso si fonda e s'appoggia. E così chiamano l'«orazione onnipotente». E Cristo nostro Redentore contro tutte le tentazioni ci diede questo rimedio dell'orazione: «vegliate ed orate, affinché non entriate nella tentazione» (Matth. 26, 41).

4. Il secondo avvertimento, il quale ci servirà assai per mettere in pratica il precedente, è che, come quando andiamo all'orazione abbiamo da portare preveduti i punti che si hanno da meditare; così ancora abbiamo da portare preveduto il frutto che dovremo cavare da essa. Ma potrebbe dire qualcuno: come saprò io il frutto che ho da cavare dall'orazione, prima di cominciarla, per portarlo preveduto? Vorrei che mi dichiaraste un poco meglio questa cosa. Mi piace. Non abbiamo noi detto poco fa che andiamo a fare orazione per cercare rimedio alle nostre necessità spirituali e per conseguire vittoria di noi medesimi e delle nostre passioni e male inclinazioni; e che l'orazione è un mezzo che pigliamo per la, nostra riforma ed emendazione? Dunque prima di portarsi all'orazione ciascuno ha da trattare con se stesso molto posatamente e interrogarsi: Qual è la maggiore necessità spirituale che io mi abbia? Che cosa è quella che impedisce il mio profitto e che fa maggior guerra all'anima mia? E questo è quello che ha da portare preveduto e dinanzi agli occhi, per insistere in esso e cavarlo per frutto dall'orazione: e il prevedere e preparare i punti della meditazione ha da essere con indirizzarli a questo fine.

5. Per esempio, io sento in me una grande inclinazione ad essere riputato e stimato, e a vedere che si faccia conto di me; e sento che mi tirano grandemente dietro a sé i rispetti umani; e che quando mi si porge l'occasione di essere poco stimato, mi turbo e ne sento gran dispiacere, e forse anche talvolta ne mostro i segni. Questo mi pare che sia quello che mi fa maggior guerra, e quello che più impedisce il mio profitto e la pace e quiete dell'anima mia, e mi fa cadere in maggiori errori. Ora, se in questo sta la tua maggiore necessità; nel vincere e sradicare questo sta il tuo rimedio. E questo è quello che hai da portare preveduto, e quello che hai da tenere dinanzi agli occhi; e questo è il frutto che ti hai da prefiggere di cavare dall'orazione.

E così è inganno l'andarsene uno a trattare con Dio nell'orazione, e andarsene a caso, per cavarne quel frutto che ivi gli verrà in mente, come un cacciatore che tira alla ventura. Dia ove si voglia, e seguane quello che seguir ne può, lasciando da parte quella cosa della quale ha più bisogno. Eh, che non andiamo all'orazione per dare di piglio a quello che prima ci verrà alla mano, ma a quello che più ci bisogna. L'infermo che va alla spezieria, non dà di mano a quella cosa nella quale prima s'incontra; ma a quella della quale ha bisogno per la sua infermità. Sta uno pieno di superbia sino alle viscere, un altro d'impazienza, un altro di giudizio proprio e di propria volontà, come si vede molto bene quando se ne porge l'occasione, ed egli coglie ogni giorno se stesso col furto in mano; e se ne va all'orazione a frascheggiare, a trattenersi in concetti pellegrini e a dare di mano a quel che gli viene prima incontro e che più gli gusta, beccando or qua or là. Non è buona strada questa per profittare. Deve sempre l'uomo fare più conto di quella cosa della quale ha maggiore necessità, e procurare il rimedio al suo bisogno, poiché a quest'effetto va all'orazione.

S. Efrem, il novello Dottore della Chiesa, apporta a questo proposito l'esempio di quel cieco del Vangelo che ricorse a Cristo, gridando ad alta voce che avesse misericordia di lui. Considera come, domandandogli Cristo che cosa voleva che gli facesse, subito gli rappresentò il suo maggior bisogno e quel che gli dava maggior pena, ch'era il mancamento della vista: e a questo chiese rimedio: «Signore, che io veda!» (Luc. 18, 41; Marc. 10, 51). Domandò forse, dice S. Efrem, qualche altra cosa di quelle delle quali realmente aveva pur bisogno? Disse egli forse: Signore, dammi un vestito, che sono povero? Non dimandò questo, ma lasciando stare tutto il resto, pensò alla necessità maggiore che aveva. Or così, dice il Santo, abbiamo da fare noi altri nell’orazione, pensando al maggior nostro bisogno e insistendo e perseverando in questo sino ad avergli provveduto (S. EPHR. SYR, De panoplia, v. 3, p. 222-23).

6. Acciocché in questo non vi sia scusa, è da notarsi che, sebbene quando colui che va a far orazione intenda di cavarne affetti di alcune particolari virtù che gli mancano, ha da procurare ordinariamente che i punti e la maniera che sceglierà per meditare siano convenienti e proporzionati a muovere la volontà più presto e con maggiore fermezza e fervori a questi tali affetti, sicché più facilmente ne cavi il frutto che desidera; è nondimeno anche necessario che sappiamo, che qualsivoglia esercizio che si fa, o mistero che si medita, può uno applicarlo al suo bisogno, perché l'orazione è come la manna celeste, che a ciascuno riesce di quel sapore che vuole, Se vuoi che abbia per te sapore di umiltà, questo sapore troverai nella considerazione dei peccati, della morte, della passione del Redentore e dei benefici ricevuti; se vuoi ricavarne dolore e confusione dei tuoi peccati, questo sapore l'avrai da qualsivoglia di queste cose; se vuoi cavarne pazienza, questo sapore ancora lo gusterai in ciascuna d'esse: e così dicasi di tutto il resto.