Apostolato e preghiera

L’APOSTOLO
UOMO DI PREGHIERA













Nei vigneti,
i tralci non ricevono dai pali né dai fili di ferro la linfa che li tiene
vivi e fa produrre frutto; ma la ricevono dalla vite che li ha prodotti.

Così gli apostoli ricevono la grazia interna per loro stessi e per i fedeli,
non dalle opere esterne, ma da Gesù Cristo che nel Vangelo si proclama la
vera vite. (Gv 15,1)

L’apostolo poi riceve tanto più abbondante la grazia interna per sé
e per i fedeli, quanto più è unito alla vite cioè al Signore.

La vera efficienza dell’apostolato consiste nella vita interiore; e tale efficienza
è data alle opere apostoliche soprattutto dalla preghiera e dalla frequenza
ai S.S. Sacramenti, dalla pura e retta intenzione con la quale si esercitano, dalle
virtù soprannaturali, dallo zelo, umiltà, obbedienza allo spirito di
evangelica povertà e sacrificio.

È cosa certa che l’apostolato così compreso non proviene da un impulso
puramente naturale all’azione, ma è frutto di una solida formazione interiore;
è la necessaria espansione di un amore interno a Gesù Cristo e alle
anime, redente dal suo sangue prezioso, che si attua nello studio di imitare la sua
vita di preghiera, di sacrificio, di zelo inestinguibile.

Anni orsono una rivista per il clero indisse un referendum fra i fedeli; la prima
domanda dei quale diceva: Perché il sacerdote oggi è incompreso
da tanti fedeli?

Si ebbero diverse risposte, ma l’elemento da tutti sottolineato fu la necessità
di un clero santo S. Giovanni Calabria riferisce la seguente testimonianza
di una studentessa: il prete deve dimostrare Dio. Bisogna che noi costatiamo
che egli vive certamente di Dio; allora per l’ateo, Dio, che era impossibile, diventa
possibile. Non si può non essere turbati, sconcertati da un prete che è
realmente un testimone di Dio. Ad un prete la mediocrità non si perdona.
E quindi il Santo commenta L’attesa di una santità proporzionata ai
bisogni eccezionali dell’ora è più diffusa di quanto non si creda.
La delusione, il vuoto che tormenta tante anime, si traduce in un desiderio di carità
e di amore. che abbia le radici in realtà soprannaturali, perché sembra
che il mondo sia stanco di tutto e di tutti. Solo che affiori qualche cosa che abbia
sapore di santità e di soprannaturale, voi vedete sprigionarsi un interessamento
singolare che contrasta con lo stesso materialismo prevalente.

Il dotto e pio teologo Hurter S. J., Dopo aver esposto la dottrina della grazia attuale
interna aggiunge: Ne segue un corollario pratico molto importante. Da questa
verità si spiega infatti come spesso, celeberrimi predicatori, riportino grande
applauso per i loro discorsi, ma pochissimo frutto, mentre invece uomini semplici
e senza istruzione, ma santi, con discorsi molto semplici, conseguono la conversione
di molti peccatori. Infatti ottengono da Dio, con i meriti della loro vita santa,
con molte incessanti preghiere e lacrime, abbondante grazia interna per i loro ascoltatori,
che rende la grazia esterna della predicazione atta ed efficace alla salvezza. Da
ciò si vede con chiarezza di quanta importanza sia per l’apostolato, l’esercizio
della mortificazione e della preghiera.



L’apostolo deve quindi essere un uomo di orazione.



S. Giuseppe Cafasso ci spiega questa affermazione così: Uomo di orazione
vuoi dire un uomo che si è dato che si è consacrato alla preghiera,
non soltanto di nome ma che di essa ne fa la continua e giornaliera sua occupazione;
i suoi pensieri, i suoi discorsi, le operazioni sue tutte sono dirette alla preghiera.

Se l’apostolo pratica intensamente la preghiera e diventa uomo di preghiera, avrà
la forza di acquistare le, altre virtù di cui abbiamo fatto menzione prima.

Papa Pio XII in una esortazione al clero cattolico, insisteva molto sulla preghiera
in particolare su quella forma di essa che comunemente si chiama meditazione quotidiana
infatti diceva: Come lo stimolo alla perfezione sacerdotale è alimentato
e rinforzato dalla meditazione quotidiana, così dal trascurare questa pratica
trae origine la tiepidezza dello spirito, per cui la pietà diminuisce e langue,
e non soltanto cessa o è ritardato l’impulso alla santificazione personale,
ma tutto il ministero sacerdotale soffre non lievi danni. Perciò si deve con
fondamento asserire che nessun altro mezzo ha l’efficacia particolare della meditazione
e che la pratica quotidiana di essa è insostituibile… Dall’orazione mentale
non sia poi disgiunta l’orazione vocale e le altre forme di preghiera privata che
nella particolare condizione di ciascuno giovino ad attuare l’unione dell’anima con
Dio. Si deve tener presente che più che le molteplici preghiere vale la pietà
e il vero e ardente spirito di orazione.

Questo ardente spirito di orazione, se mai in altri tempi, oggi specialmente è
necessario, quando il così detto naturalismo ha invaso le menti
e gli animi e la virtù è esposta a pericoli di ogni genere, pericoli
che talvolta si incontrano nell’esercizio dello stesso ministero. Che cosa vi potrà
meglio premunire da queste insidie. che cosa potrà meglio elevare l’anima
alle cose celesti e tenerla unita con Dio che l’assidua preghiera e l’invocazione
dei divino aiuto?

In un altro documento il medesimo Sommo Pontefice diceva: La forza irresistibile
di ogni genere di apostolato cristiano è la pietà, di cui ha detto
S. Paolo che è utile a tutto, ed ha la promessa della vita presente
e di quella futura (I Timoteo 4,8).

La pietà è essa stessa il primo, il grande apostolato nella Chiesa
di Gesù Cristo; e chi pretendesse, in omaggio all’attività esteriore,
di ridurre il culto, o di averla in minore considerazione, mostrerebbe scarsa o nessuna
intelligenza dell’essenza dei Cristianesimo, dei suo nucleo sostanziale, che è
l’unione dell’anima con Dio nell’amore fattivo ed obbediente (Allocuzione ai
cooperatori salesiani 1952)

S. Bernardo scrivendo al B. Eugenio III papa, suo discepolo, lo avverte con schiettezza
che nemmeno il governo della S. Chiesa lo deve distogliere dall’unione con Dio ne
gli deve rubare il tempo dell’orazione.

Altrimenti le stesse occupazioni pontificali sarebbero una maledizione, una perdita
di tempo, un lavoro da stolti, uno svuotarsi della grazia; per i fedeli egli non
tesserebbe che tele di ragno e per parte sua arriverebbe alla durezza di cuore e
senza un miracolo della misericordia di Dio alla dannazione eterna. (De Considerazione
libro I cap. 2). Il lavoro apostolico non accompagnato dalla preghiera, dalla vita
interiore, riesce sterile, perdi gli apostoli, e può giungere a trasformarli
in emissari di Satana a dannazione di molte anime. La mancanza di preghiera e di
santità negli apostoli dei suoi tempi strappava al cuore dei dottore S. Bernardo
questo doloroso lamento: Pochi sono tra loro quelli che non nuocciono, e pochissimi
quelli che giovano.

L’austero S. Paolo della Croce fondatore dei Passionisti dice così: La
vera vita apostolica consiste nell’azione per le anime e nella continua orazione…
Senza orazione i missionari saranno più atti a distruggere che ad edificare;
più ad ammorbare il prossimo coi cattivo odore delle loro imperfezioni che
a profumarli coi buon odore delle foro cristiane e religiose virtù (Vox
Patris – Massime spirituali – Torino 1949). Chi abbandona l’orazione è
abbandonato da Dio diceva S. Vincenzo de Paoli.

In una lettera dei 1650 scriveva: La grazia della fedeltà alla vocazione
dipende dalla preghiera, e la grazia della preghiera da quello della fedeltà
all’ora della levata mattutina – S. Clemente Maria Hofbauer (redentorista)
affermava: Gli apostoli che non pregano, pur passando la loro vita in mezzo
a cose sante, come le prediche, l’amministrazione dei Sacramenti, i catechismi ecc.,
invece di convertire gli altri, diventano demoni essi stessi e si dannano.

Quindi non fa meraviglia quanto afferma autoritativamente il P. Baldassarre Alvarez,
direttore di S. Teresa d’Avila: L’apostolo tanto vale quanto prega.



L’esempio del Divin Maestro e dei santi



Mai nessun santo incominciando dal Divin Redentore e dai Santi Apostoli da Lui formati
nell’apostolato, sostituì la preghiera coi lavoro, e trasse pretesto dalle
molte occupazioni per diminuire l’orazione, ancor meno per lasciarla.

Il Vangelo di S. Luca (6,12) dice: Passava la notte pregando Dio. Gli
apostoli insegnano che la preghiera deve sempre procedere, in ordine sia di tempo
che di importanza, ogni altra attività, perfino la predicazione e l’amministrazione
dei Sacramenti. Si legge nella vita di S. Domenico di Guzman che il santo si angustiava
perché non raccoglieva frutti più abbondanti dalle anime che evangelizzava.

E un giorno la verità gli colpì il cuore: Tu semini ma non irrighi.
Il santo comprese e accrebbe la sua preghiera; l’efficacia apostolica fu diversa.
Non contenti di pregare loro, insistentemente i santi chiedono abbondanti e continue
preghiere anche agli altri, perché Dio fecondi il loro apostolato. Quante
volte e con quale insistenza S. Paolo in tutte le sue lettere domanda preghiere ai
fedeli perché Dio fecondi il suo lavoro ! I Santi più attivi e che
hanno fatto più di tutti per Dio e per le anime non hanno mai fatto economia
di orazione Quanto fu vasto e profondo l’apostolato di S. Francesco d’Assisi Ma egli
dava tanto tempo alla preghiera che di lui scrive Tommaso da Celano: Non era
più un uomo che pregava, ma un uomo diventato orazione.

Anche Sant’Ignazio di Loyola, dal giorno della sua conversione, fu un uomo di preghiera
E a misura che passavano i giorni, Gesù Cristo gli era sempre più presente.
Divenuto sacerdote, fondatore e generale di un ordine religioso, pressato da mille
impegni, il suo spirito di orazione crebbe e si avviò a tal segno che Alla
meditazione consacrava, anche da generale, con grande premura parecchie ore al giorno.
S. Sofia Barat, fondatrice e superiora generale di una importante congregazione religiosa
scriveva ad una superiora: Quando si sa regolare il tempo, se ne trova molto
di più di quello che si crede io che ho tanto da fare, ogni giorno riesco
a dedicare sei o sette ore all’orazione.

Il servo di Dio P. Giovanni Roothaan, divenuto generale della Compagnia di Gesù,
faceva un’ora di meditazione in più di quella prescritta agli altri religiosi,
protraeva più a lungo le pratiche di pietà, specie la recita dell’Ufficio
divino.

Il P. de Ravignan gesuita, grande apostolo e predicatore parlando ai seminaristi
disse: Cari amici credetemi, credete alla mia esperienza acquistata in trent’anni
di ministero: io affermo che tutte le delusioni, miserie, colpe, peccati, anzi le
crisi più tragiche che fanno deviare dal retto sentiero, derivano da un’unica
causa: dalla mancanza di perseveranza nella preghiera. Vivete una vita di preghiera,
imparate a trasformare e cambiare tutto in preghiera, i vostri dolori, le vostre
difficoltà e ogni tentazione che voi potete incontrareÖ



L’apostolo deve pregare molto anche per gli altri.



La Sacra Scrittura ci esorta a pregare per gli altri. S. Giovanni evangelista ci
dice: Chi sa che il proprio fratello commette peccato chieda e sarà
data la vita a quello che pecca (1 Gv 5,16). S. Giacomo: Pregate l’uno
per l’altro per essere salvi Gc 5,16 ). In modo speciale è forte la parola
di S. Paolo: Ti esorto prima di tutto a far preghiere, suppliche, invocazioni,
azioni di grazie per tutti gli uomini;… questo è bello ed accetto al cospetto
di Dio Salvatore nostro, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino, e pervengano
al riconoscimento della verità, (1 Tm 2,1).

S. Ambrogio afferma che i sacerdoti devono pregare giorno e notte per il popolo che
è loro affidato. S. Bernardo nel De Considerazione (lib. 4, cap.
4) dice al Papa B. Eugenio III: Scegli per il sacerdozio coloro che hanno familiare
la preghiera e che in ogni cosa confidano più in essa che nella propria sagacia
e attività.

Citiamo un esempio di ciò che può fare la preghiera di un apostolo.
L’austero fondatore dei Passionisti, S. Paolo della Croce, aveva predicato la s.
missione in una parrocchia della diocesi di Città della Pieve. Ma la missione
non riuscì e si chiuse in un vero fallimento. Per la predica di chiusura e
di addio il santo salì sul palco, ma non maledisse il popolo, non imprecò
fulmini e vendette sui peccatori ostinati Invece si inginocchiò con grande
umiltà davanti all’uditorio e disse: La santa missione è fallita,
ma la colpa non è vostra; è mia. Se fosse venuto tra voi un missionario
più santo, non un gran peccatore come me, se io avessi maggiormente pregato
e fatta più penitenza, voi vi sareste convertiti. La colpa è mia e
ve ne chiedo perdono. Ma cercherò di riparare i miei peccati ed il male che
vi ho fatto. Di ritorno al mio convento-ritiro pregherò e farò penitenza
per implorare dal Signore che vi mandi un missionario più santo, che vi converta
dai vostri peccati e vi conduca tutti in paradiso.

Qualche tempo dopo si trovava raccolto in chiesa. E un grande crocifisso esposto
alla pubblica venerazione, a vista di tutti, effuse gran copia di sangue dalle sue
piaghe. E tutti alla vista di quel prodigio, ravvisarono nel crocifisso il missionario
più santo, loro implorato dalle lacrime e dalle penitenze di S. Paolo della
Croce, e si convertirono.

La B. Filippina Duchesne (morta nel 1852 negli Stati Uniti d’America) divenuta inabile
ad ogni lavoro passa tutta la giornata pregando. Gli indigeni la chiamano la
donna che prega sempre. E proprio allora la vita cristiana fiorisce tra i poveri
pellirossa a tal segno, che rivivono i fervori dei primi cristiani.

Per animare l’apostolo contro le difficoltà che incontra nel non vedere coi
propri occhi qualche volta il frutto delle sue preghiere, riportiamo le parole di
Pio XII nel discorso che tenne agli sposi nel 1941: Pia, perseverante, soprannaturale
la preghiera che farete per voi stessi essa sarà sempre esaudita assicura
S. Tommaso (2a 2 a, q. 83 art. 15 ad 2), ma per gli altri, per quelle anime la cui
salvezza vi è così cara, la cui compagnia sperate e bramate della felicità
celeste, anime di sposo, di sposa, di figlio, di figlia, di padre, di madre, di amici,
di conoscenti? Che vale per loro la nostra preghiera? Che fa al trono di Dio? Qui
senza dubbio, interviene quella terribile possibilità inerente al libero arbitrio
dell’uomo, di resistere alle grazie multiformi e potenti che le vostre preghiere
avranno ottenute a quelle anime, ma i misteri infiniti dell’onnipotente misericordia
di Dio vincono ogni nostro pensiero e permettono a tutte le madri di applicare a
se stesse le parole di un pio vescovo a S. Monica che implorava il suo aiuto e versava
lacrime davanti a lui per la conversione dei suo figlio Agostino. Non può
essere che un figlio di queste lacrime vada perduto.

E quand’anche non vi fosse dato di vedere in questa vita con i vostri occhi il trionfo
della grazia nelle anime per le quali avete pregato e pianto a lungo, il vostro cuore
mai dovrebbe rinunciare alla ferma speranza che in quei misteriosi istanti in cui
nel silenzio dell’agonia di un morente, il Creatore si prepara a chiamare a sé
l’anima, opera delle sue mani, l’immenso amor suo non abbia al fin riportato, lungi
dai vostri sguardi quella vittoria per la quale la vostra riconoscenza lo benedirà
lassù in eterno.

S. Claudio de la Colombiere dice che solo dopo sedici anni di preghiere e lacrime
S. Monica ottenne la conversione dei figlio Agostino e che conversione e che penitenza!
Non poteva nemmeno immaginare



Un’utile osservazione



Dopo quello che si è detto sulla necessità della vita di preghiera
nell’apostolo, stiamo sempre attenti al più grave dei pericoli, per ogni anima
che si occupa della salvezza dei prossimo, cioè che il lavoro esterno assorba
lentamente tutte le energie, così che alla fine si abbandoni la vita interiore,
la preghiera.

In un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale, si trova assieme
un grosso gruppo di sacerdoti e di religiosi proveniente da diverse nazioni.

Per impiegare il tempo utilmente tenevano fra loro delle conferenze su diversi argomenti.

Un giorno l’argomento della conferenza era il seguente: Qual è oggi per un
apostolo il più grave pericolo? La conclusione fu: La febbre dell’attività
esterna, la così detta eresia dell’azione. È questa febbre che mina,
e spegne lentamente lo spirito di preghiera nell’apostolo. Lo stesso pericolo lo
avvertiva S. Giovanni Calabria che scriveva così: Si incontrano confratelli
sacerdoti pronti a qualsiasi sacrificio per le opere, disposti a fare il giro dei
mondo, ma non disposti, almeno in pratica, a rimanere un’ora su un inginocchiatoio,
davanti al tabernacolo per pregare, meditare e esaminarsi. Non potete vegliare
un’ora con me. Qui è la tragedia di molte vite sacerdotali.



Tolto
e riassunto da: P. M. Corti S.J., Vivere in grazia, Milano: Selecta,
1955