Altre cose che ci aiuteranno a camminare avanti

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO PRIMO. Della stima, e desiderio, e affezione, che dobbiamo avere a quel, che concerne il nostro profitto spirituale, e d’alcune cose, che a quest’effetto ci aiuteranno

 


 

CAPO XVI. Di alcune altre cose che ci aiuteranno a camminare avanti nel nostro profitto e ad acquistare la perfezione.

 


1. Dobbiamo imitare la perfezione di Dio.
2. Come possiamo far ciò.
3. Siamo figli di Dio, non degeneriamo!
4. Quanto ci manca di perfezione?
5. Guai a pensare d’aver profittato assai.

 

 

 


1. «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli» (Matth. 5, 48), disse Cristo nostro Redentore in quel suo alto sermone del monte. Il glorioso S. Cipriano sopra queste parole dice: «Se tra gli uomini è cosa molto lieta e gloriosa l’aver i figliuoli simili a sé; ed allora si rallegrano e gioiscono più d’averli avuti, quando vedono che nelle fattezze, nell’aria, nei gesti e in ogni cosa si assomigliano ai loro genitori; quanto maggiormente si rallegrerà e gioirà il nostro celeste Padre quando vedrà che i suoi figliuoli spirituali riescono simili a lui». E soggiunge: «Che palma, che premio, che corona, che gloria ti pare che sarà per te, l’esser tu tale, che Dio di te non si lamenti, come per mezzo d’Isaia si lamentava del suo popolo, dicendo: Io ho, nutriti ed esaltati dei figli, ed essi mi hanno disprezzato?» (S. CYPRIAN. De zelo et livore. n. 15). Ma anzi tu sii tale, che l’opere tue ridondino in onore e gloria grande del tuo Padre celeste. Questa è grande gloria di Dio, avere figliuoli tanto simili a sé, che per mezzo di essi egli venga ad essere conosciuto, onorato e glorificato.

 

2. Or come saremo noi simili al nostro Padre celeste? S. Agostino ce lo dice, «Pensiamo che noi tanto più saremo simili a Dio, quanto più parteciperemo della giustizia e santità sua» (S. AUG. Ep. 120 ad Consent. c. 4, n. 19). Quanto più saremo giusti e perfetti, tanto più ci rassomiglieremo al nostro celeste Padre. E perciò desidera tanto il Signore, che siamo santi e perfetti, che ce lo ricorda e replica così spesso, ora per mezzo di S. Paolo: «Poiché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (I Thess. 4, 3); ora per mezzo di San Matteo: «Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che sta nei cieli» (Matth. 5, 48)5; ora per mezzo dell’Apostolo S. Pietro: «Santi sarete voi, perché Santo sono io» (I Pet. 1, 16; Levit. 11, 44; 19, 2).

È di grande contentezza ai padri l’aver i figliuoli buoni, savi e santi: «Il saggio figliuolo dà consolazione al padre suo», dice Salomone; come, per contrario, «il figliuolo stolto è l’afflizione di sua madre» (Prov 10, 1)7, Ora per questo dovremmo procurare di darci alla virtù e alla perfezione, quando bene non vi fosse altra ragione per muoverci a farlo; solo per dar gusto a Dio. Perché questo ha da essere sempre il nostro motivo principale in tutte le nostre operazioni, il gusto di Dio e il maggior onore e la maggior gloria sua.

 


3. Ma, oltre di questo, apporteremo alcuni altri mezzi, i quali ci diano e animo e aiuto per far questo stesso che andiamo inculcando. Cerca S. Agostino (Ep. Pelagii ad Demetr. c. 19) la ragione per la quale la sacra Scrittura ci chiama tante volte figliuoli di Dio. «Io sarò vostro padre, e voi sarete miei figliuoli»: tante volte ci viene questo replicato dai Profeti. E l’Apostolo S. Paolo dice: «Siate imitatori di Dio come figliuoli benamati» (Ephes. 5, 1); e l’Apostolo ed evangelista S. Giovanni: «Osservate quale carità ci ha dato il Padre, che siamo chiamati e siamo figli di Dio» (I Epist. B. Ioann. Ap. 3,1); e in molti altri luoghi ci viene ridetto lo stesso. Ora la ragione del replicarci ciò tante volte, dice il sopracitato Santo, è perché vedendo noi e considerando la nostra dignità ed eccellenza, ci stimiamo e ci custodiamo con maggior cura e diligenza. Il vestimento ricco si custodisce con molta diligenza, e si tiene gran cura che non vi cada né vi si faccia macchia alcuna. La pietra preziosa e le altre cose ricche si custodiscono con maggior accuratezza. Ora, acciocché ci custodiamo con tutta circospezione ed abbiamo gran cura di noi, dice S. Agostino che per ciò tante volte la sacra Scrittura ci propone il considerare che siamo figliuoli di Dio e che il nostro Padre è lo stesso Dio: affinché operiamo come figliuoli di tal Padre, e non discordi amo né degeneriamo punto dagli alti e generosi pensieri propri dei figliuoli di Dio.

 

Concorda con questo sentimento S. Leone Papa dicendo: «Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e reso partecipe della divina natura non voler con una degenere condotta far ritorno all’antica tua bassezza. Ricordati di qual capo e di qual corpo sei membro» (S. LEO PAPA. Serm. 21 de Nat. Dom. c. 3Ricordati cioè che sei figliuolo di Dio e non far cosa indegna della nobiltà ed eccellenza di figliuolo di tal Padre. E l’Apostolo San Paolo negli Atti apostolici propose questo stesso agli Ateniesi, per animarli e sollevarli a concepire sentimenti maggiori di quelli che avevano, dicendo loro: «Come alcuni dei vostri poeti hanno detto, noi siamo progenie di Dio» (Act., 17, 28-29).De cardin. oper. christ. PrologConosci pure assai delle cose di Dio, che tuttavia v’è molto più da conoscere: ed amalo quanto sai e puoi, che sempre ti resta assai più da amare. Sempre v’è da ascendere in questa via della perfezione; e chi si pensa d’essere già arrivato ad essa e d’averla acquistata, ne sta più che mai lontano, sebbene gli paia che potrà presto giungere colla mano a toccare il cielo.).

Or, applicando noi questo maggiormente a noi altri, e insieme l’esempio del vestito che apporta S. Agostino, diciamo in questa maniera: Come in un vestito ricco fa molto brutto vedere qualsivoglia macchia, e quanto è più preziosa la veste, tanto più la fa brutta; mentre nel panno grosso non si vede, o non se ne fa conto alcuno; così in quelli che vivono nel mondo non si conosce una macchia d’un peccato veniale, e né anche talvolta quella d’un mortale, né di ciò si tiene conto, tanta è la corruttela con cui là si vive: ma nei religiosi, che sono i figliuoli di Dio diletti ed accarezzati, qualsivoglia macchia e qualsivoglia imperfezione comparisce grandemente ed assai dà nell’occhio. Un’immodestia, una mormorazione anche leggera, una parola impaziente e collerica offende grandemente e scandalizza qui nella religione, e fra i secolari non se ne tiene conto. La polvere nei piedi non è di molta considerazione; ma negli occhi e nelle pupille di essi è di considerazione ben grande. I mondani sono come i piedi di questo corpo della Chiesa, i religiosi come gli occhi e le loro pupille. Così qualsivoglia mancamento nel religioso è di grande considerazione, perché lo sfigura e cagiona in lui gran bruttezza; ond’è obbligato a custodirsi con maggior diligenza.

 


4. Un’altra cosa, già da noi di sopra accennata, ci aiuterà ancor grandemente a far profitto e a camminar sempre avanti. Questa è il conoscer noi che ancora ci resta a fare gran viaggio e che non è niente quello che fin qui abbiamo fatto e niente quello che abbiamo acquistato sin ora. Questo mezzo ci viene insinuato ancora nelle parole proposte. A che fine pensi tu che Cristo nostro Redentore ci dica: Siate anche voi perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste? Possiamo forse noi altri arrivare alla perfezione del nostro celeste Padre? «Forse un uomo messo al paragone con Dio sarà dichiarato giusto?» No per certo, dice Giobbe (Iob, 4, 17); né per quanto ancor ci avanzassimo a mille milioni di miglia, non mai ci avanzeremmo tanto, che sempre non vi restasse un’infinita distanza fra noi e lui. Pure il Signore ci esorta ad essere perfetti come è perfetto il nostro Padre celeste; acciocché sappiamo che in questa via della virtù sempre ci resta da camminare; e così non dobbiamo mai contentarci di quel che fatto abbiamo di cammino, ma affaticarci per quel che ci resta da fare.

 

Sogliono dire i Santi comunemente, e con molta ragione, che non v’è indizio più certo d’esser uno molto lontano dalla perfezione, che il pensare egli d’esservi già arrivato: perché in questo meraviglioso viaggio quanto uno va più avanti, tanto più va scoprendo il paese e vede che tuttavia è molto quello che gli manca. S. Bonaventura dice (S. BONAV. De ext.et int. hom. comp. l. 3, c. 27, n. 1) che, come quanto più uno ascende per l’altezza d’un monte, tanto più altri ne scuopre che sopra quello si alzano; così quanto più. uno va ascendendo verso la cima di questo monte della perfezione, tanto più va scoprendo della sua altezza. Suole accadere che, riguardando da lontano verso un alto monte, ci pare che stia tanto vicino al cielo, che alla cima di quello vi potremmo arrivare colla mano; ma quando poi ci accostiamo e andiamo ascendendo su per tal monte, troviamo che il cielo sta molto più alto. Così passa la cosa in questa via della perfezione e della cognizione ed amor di Dio. «Si alzerà l’uomo a grandi disegni e Dio sarà esaltato» (Ps. 63, 8)15. S. Cipriano dichiara questo luogo così: Ascendiamo pur quanto vogliamo e possiamo nella cognizione di Dio, che sempre Dio resta più alto (S. CYPR. .).

 


5. Si conoscerà anche questo da quel che vediamo nelle scienze, che quanto più uno sa, tanto più conosce quanto gli rimane da sapere: onde diceva quel filosofo: «Questo solo io so, che non so niente» (DIOG. LAERT. in vita Socratis.). Quell’altro gran musico s’attristava e diceva che non sapeva niente, perché gli pareva come di vedere certe campagne tanto ampie, che non arrivava a vederne la fine, né le comprendeva. Quei che sanno poco, essendo che non conoscono quel che loro manca ed il molto che si può sapere, si pensano di sapere assai: così passa la cosa in questa sapienza divina. I servi di Dio, i quali hanno studiato e fatto molto profitto in essa, conoscono molto bene quanto manca loro per arrivare alla perfezione. E questa è la cagione per cui, quanto più uno va approfittando, tanto è più umile. Primieramente perché, come va crescendo nelle altre virtù, va anche crescendo in quella dell’umiltà e in maggior cognizione e disprezzo di se stesso; poiché tutte queste cose vanno tra loro congiunte: secondariamente, perché conosce meglio quel che gli manca. Quanto maggior lume e cognizione egli ha della bontà e maestà di Dio, tanto più profondamente conosce la sua miseria e il suo niente; perché «l’abisso chiama l’abisso» (Ps. 41, 7). Quell’abisso di cognizione della bontà e grandezza di Dio scopre l’abisso e la profondità della miseria nostra, e ci fa vedere gli atomi e i minutissimi granelli della polvere delle nostre imperfezioni ed il molto che ci manca per arrivare alla perfezione.

 

Il novizio e il principiante alle volte si pensa già di avere in sé gran virtù; e questo è perché non conosce. quanto gli manca. Accade sovente che uno, il quale s’intende poco dell’arte della pittura, vedendo un’immagine la trova molto bella e non conosce in essa difetto alcuno; ma se viene un buon pittore e la guarda con attenzione vi trova molti difetti. E così avviene nel caso nostro: tu non t’intendi dell’arte della propria cognizione, e perciò non t’accorgi dei difetti che sono in codesta immagine dell’anima tua; ma l’altro, che se n’intende bene, se ne accorge.

Di tutto questo ci abbiamo da valere per farci più desiderosi di acquistare quel che ci manca e per procedere con maggior cura e diligenza. «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia» (Matth. 5, 6). Parole dichiarate da S. Girolamo in questo modo: Beati coloro, i quali, siano pur giusti quanto si voglia, mai non si saziano, né par loro che basti quel che hanno; ma sempre stanno con fame e Sete di maggior virtù e perfezione (S. HIER. in Matth. 5, 6). Come stava il profeta David quando diceva e chiedeva a Dio: «Lavami ancor più dalla mia iniquità e mondami dal mio peccato» (Ps. 50, 3). Cioè, non mi contento di esser lavato dai miei peccati; non mi contento d’esser bianco; vorrei che mi faceste tanto bianco quanto la neve, e ancor più della neve. «Tu mi aspergerai coll’issopo, e sarò mondato: mi laverai, e diverrò bianco più che la neve» (Ibid. 8). Non mi aspergete solamente nella superficie, ma tutto lavatemi molto bene. Or così abbiamo noi altri da gridare ed alzar la voce a Dio: Signore, più umiltà, più pazienza, più carità, più mortificazione, più indifferenza e rassegnazione. «Lavami ancor più».