Il nostro profitto consiste in far bene le operazioni ordinarie

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO II. DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE

 


 

CAPO 1. Come il nostro profitto e la nostra perfezione consistono in far le nostre operazioni ordinarie ben fatte.

 


1. L’abito non fa il monaco.
2. Ma le opere.
3. Quali opere ci facciano santi.
4. In una stessa opera quanta diversità di merito!
5. Perfezione è fare quel che Dio vuole e come vuole.
6. Visione di S. Bernardo.

 

 


1. «Seguirai con giustizia ciò che è giusto» (Deut. 6, 20) disse il Signore al suo popolo, cioè quel che è giusto e buono, fa che sia fatto bene, giustamente e compiutamente. Il negozio del nostro profitto e della nostra perfezione non consiste in far le cose, ma in farle bene: siccome neanche consiste nell’essere uno religioso, ma nell’essere buon religioso. S. Girolamo scrivendo a S. Paolino dice: «Non si deve già lodare l’essere vissuti in Gerusalemme, ma l’esservi vissuti bene» (S. HIERON. Ep. ad Paul. 58, n. 9). Grande stima aveva S. Paolino di S. Girolamo e assai lo lodava per questo stesso, perché abitava in quei santi luoghi, nei quali Cristo nostro Redentore operò i misteri della redenzione; e S. Girolamo su ciò gli risponde appunto che non è da lodarsi il vivere in Gerusalemme, ma il vivere in essa bene. E va comunemente attorno questo detto, per avvertire i religiosi che non si diano per contenti per questo solo, perché stanno nella religione: perché siccome l’abito non fa il monaco, così né anche lo fa il luogo, ma sì bene la buona e santa vita. Di maniera che tutto il punto sta, non in essere religioso, ma in essere buon religioso; e non in far gli esercizi della religione, ma in farli bene. In quell’ «ha fatto bene tutte le cose» (Marc. 7, 37) che, come narra l’Evangelista San Marco, si diceva di Cristo; sì in quell’«ha fatto bene tutte le cose», che dir si possa anche di noi, consiste ogni nostro bene.

2. Certa cosa è che ogni nostro bene ed ogni nostro male sta nell’esser buone o cattive le opere nostre; perché tali saremo noi, quali saranno le nostre operazioni. Queste padano e manifestano chi è ciascuno. Dal frutto si conosce l’albero: e Sant’Agostino (S. AUG. De serm. Dom. in monte sec. Matth. l. 2, c. 24) dice che l’uomo è l’albero, e le opere sono il frutto che l’albero produce; e così dal frutto delle opere si conosce ciascuno chi è. E perciò Cristo nostro Redentore disse di quegli ipocriti e falsi predicatori: «Li conoscerete dai loro frutti» (Matth. 7, 16); Dal frutto delle opere loro conoscerete quel che essi siano. E per contrario dice di se medesimo: «Le opere che io fo nel nome del Padre mio, queste parlano a favore mio. E quando non vogliate credere a me, credete alle opere mie» (Io. 10, 25 et 38). E non solo dicono e mostrano le opere quel che ciascuno è in questa vita; ma anche quel che di lui ha da essere nell’altra: perché tali saremo eternamente nell’altra vita, quali saranno in questa le nostre operazioni; avendo Dio nostro Signore da premiare e rimunerare ciascuno secondo le opere sue, come la divina Scrittura replica tante volte sì nel vecchio come nel nuovo Testamento. «Tu renderai a ciascuno secondo le sue operazioni» (Ps. 61, 13; Matth. 16, 27; Rom. 2, 6; I Cor 3, 8). Per cui l’Apostolo S. Paolo dice: «Quello che l’uomo avrà seminato, quello ancora mieterà» (Gal. 6, 8).

 


3. Ma veniamo più al particolare e vediamo un poco che opere sono queste, nelle quali sta ogni nostro bene e ogni nostro profitto e perfezione. Dico che sono quelle operazioni ordinarie che facciamo ogni giorno: in fare che la nostra orazione ordinaria sia ben fatta; che gli esami che facciamo siano ben fatti; in udir la messa, o in dirla come dobbiamo; nel dir le nostre ore e le nostre devozioni con riverenza e attenzione; in esercitarci continuamente nella penitenza e nella mortificazione; nel soddisfar bene al nostro ufficio e a quello che l’ubbidienza c’impone. Se faremo queste opere con perfezione, saremo perfetti; e se le faremo imperfettamente, saremo imperfetti. E così questa è la differenza che passa fra il buono e perfetto religioso, e l’imperfetto e tiepido: non sta la differenza nel far uno altra sorta di cose, o più cose che l’altro; ma nel far quel che fa con perfezione o con imperfezione. Perciò quegli è buono e perfetto religioso, perché fa queste cose bene; e quell’altro perciò è imperfetto, perché le fa molto tiepidamente e negligentemente. E quanto più la persona si estenderà e andrà avanti in questo, tanto sarà più perfetta o più imperfetta.

 

 


4. In quella parabola del seminatore, che uscì a seminare la sua semenza, dice il sacro Vangelo, che anche la semenza buona e buttata in buon terreno, in qualche luogo fece frutto a ragione di trenta, in qualche altro di sessanta e in qualche altro di cento. Nel che dicono i Santi che si dinotano i tre gradi di coloro che servono Dio; cioè di principianti, di proficienti e di perfetti. Tutti noi altri seminiamo una medesima semenza, perché tutti facciamo le medesime opere ed osserviamo una medesima regola, tutti abbiamo uno stesso tempo di orazione e di esami e dalla mattina sino alla sera stiamo occupati per ubbidienza; ma con tutto ciò, «un uomo quanto non sopravanza un altro uomo!». Quanta differenza vi è, come suole dirsi, da Pietro a Pietro! e quanta da un religioso ad un altro! perché in uno queste opere che semina rendono il centuplo, atteso che le fa con spirito e con perfezione; e questi tali sono i perfetti: in un altro non rendono tanto, ma il sessanta; e questi sono i proficienti, che vanno profittando: in un altro rendono solamente il trenta; e questi sono i principianti, che cominciano a servir Dio.

 

Guardi ora ciascuno di quali egli sia. Guarda se tu sei di quelli del trenta; ed anche piaccia a Dio che nessuno sia di quelli, dei quali dice l’Apostolo che sopra il fondamento della fede alzano legna, fieno e paglia, da esser tutto gettato sul fuoco nel giorno del Signore (I Cor. 3, 12, 13). Guarda che tu non faccia le cose per vanità e per rispetti umani, per dar gusto agli uomini e per esser tenuto da qualche cosa; perché questo è fabbricare con legna, fieno e paglia, acciocché arda almeno nel purgatorio; ma procura di far bene e perfettamente quel che fai; e sarà questo un alzar la fabbrica con argento, oro e pietre preziose.

 


5. Si conoscerà bene che in questo sta il profitto e la perfezione nostra dalla seguente ragione. Ogni nostro profitto e perfezione consiste in due cose, in fare quel che Dio vuole che facciamo, e in farlo nel modo che egli vuoI che sia fatto; parendo che più di questo non vi sia che si possa pretendere e desiderare. Or la prima cosa, cioè il far quel che Dio vuole che facciamo, già per sua divina misericordia l’abbiamo nella religione: e questo è uno dei maggiori beni e una delle maggiori consolazioni che godiamo noi altri, che viviamo sotto ubbidienza; perché siamo certi che quello che facciamo e quelle cose nelle quali ci occupiamo per l’ubbidienza, sono quelle che Iddio vuole da noi. E questo è come primo principio nella religione, cavato dal Vangelo e dalla dottrina dei Santi, come diremo quando tratteremo dell’ubbidienza. «Chi ascolta voi, ascolta me» (Luc. 10, 16): ubbidendo al Superiore, ubbidiamo a Dio e facciamo la sua divina volontà; perché quello è ciò che Dio vuole che facciamo allora. Non vi resta che la seconda condizione, di far le cose nel modo con cui Iddio vuole che le facciamo; cioè di farle bene e perfettamente; perché in questa maniera vuole egli che si facciano: e questo è quello che andiamo dicendo.

 

 


6. Nelle cronache dell’Ordine Cistercense si narra (Vita S. Bern. 1. 7, c. 3) che, stando a mattutino il glorioso S. Bernardo coi suoi monaci, vide molti angeli, i quali stavano notando e scrivendo quel che ivi i monaci facevano e in che modo lo facevano; e che di alcuni quel che scrivevano, lo scrivevano con oro, di altri con argento, di altri con inchiostro, di altri con acqua, secondo l’intenzione e lo spirito con che ciascuno orava e cantava; e d’altri non scrivevano niente; perché sebbene stavano ivi col corpo, nondimeno col cuore e col pensiero stavano molto lungi e divertiti in cose impertinenti. E dice ancora che vide come principalmente al Te Deum laudamus erano gli angeli molto solleciti acciocché si cantasse molto devotamente; e che dalle bocche d’alcuni, che lo cominciavano, usciva come una fiamma di fuoco. Veda ora ciascuno qual sia la sua orazione; e se merita d’essere scritta con oro, o con inchiostro, o con acqua, o di non essere scritta in nessuna maniera. Vedi se quando stai in orazione escono dal tuo cuore e dalla tua bocca fiamme di fuoco; oppure non fai altro che sbadigliare e stiracchiarti. Vedi se stai ivi solamente col corpo, ma colla mente stai nello studio, o nell’ufficio, o nel negozio, o in altre cose niente allora appartenentisi.