Meditazione: una consolazione per chi è molestato da distrazioni

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO XXIII. Di una consolazione grande per quelli che sono molestati da distrazioni nell'orazione.

 

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1. Le distrazioni non pregiudicano all'orazione.
2. Per esse non si ha da lasciare l'orazione

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1. Per consolazione di quelli che sono molestati da questa tentazione delle distrazioni nell'orazione, nota S. Basilio (S. BASIL. Constit. mon. c. 1. n. 4) che nell'orazione allora solamente si offende Dio con questi pensieri e distrazioni, quando uno per volontà sua, avvertentemente e conoscendo quello che fa, sta distratto e con poca reverenza e rispetto. Colui che nell'orazione si mette a posta a pensar allo studio, o all'ufficio, o al negozio, merita molto bene che Dio lo lasci star solo e lo castighi. Qui calza bene quello che dice S. Giovanni Crisostomo (S. Io. CHRYS. Hom. de Cham, n. 10; Loc. cit, v. 63, col. 581): Come vuoi che Dio ti oda, se tu non odi te stesso? Ma quando uno fa moralmente quello che è in sé e per fragilità si distrae, né può stare con tanta attenzione quanta vorrebbe; ma il cuore lo lascia e se ne scappa altrove, secondo quello che dice il Profeta: «Il mio cuore mi è mancato» (Ps. 39, 12); allora il Signore non se n'offende; anzi se ne muove a compassione e misericordia; perché conosce benissimo la nostra infermità e debolezza. «Come un padre ha compassione dei suoi figliuoli, così il Signore ha avuto compassione di quelli che lo temono; perché egli conosce di che siamo formati» (Ps. 102, 13). Come un padre che ha un figliuolo frenetico lo compatisce e sente gran dolore quando vede che, cominciando egli a parlare a tono, tutto in un tratto salta fuori in spropositi; così quel pietosissimo Padre celeste si muove a pietà e compassione di noi altri quando vede che è tanta la debolezza e l'infermità della nostra natura, che nel meglio del nostro parlare seco sensatamente saltiamo in mille pensieri spropositati.

E così, quantunque uno non senta devozione né quiete nell'orazione, ma molto grande aridità e combattimento di pensieri e d'immaginazioni e stia a questo modo tutto il tempo dell'orazione, non lascia per questo quella orazione di essere molto grata a Dio Nostro Signore e di gran valore e merito nel suo divino cospetto. Anzi suole molte volte, essere più grata e meritoria, che se gli fosse passata con molta divozione e consolazione, per avere patito e sopportato in essa maggiore travaglio e difficoltà per amore di Dio. Né meno lascia egli di conseguire con quella orazione grazia e favori per servir meglio il Signore e per crescer maggiormente in virtù e perfezione, ancorché egli non se ne accorga: come avviene all'infermo, quando mangia un cibo di sostanza, che sebbene non vi sente gusto né sapore, ma fastidio e tormento, ne riceve nondimeno forza e si conserva e si alimenta con esso.

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Meditazione: mezzi per restare in attenzione e riverenza

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

 

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CAPO XXII. Di alcuni altri mezzi per stare con attenzione e riverenza nell'orazione

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1. Tenerci alla presenza di Dio.
2. Vari modi di praticarla.
3. Metterci alla presenza del SS., guardare sante immagini e parlare con Dio.
4. Preparare bene i punti.
5. Richiamarli appena svegliati.
6. Non prepararsi all'orazione è tentare Dio.

 

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1. S. Basilio (S. BASIL. in Reg, brev. tract. 202 et 306; const. monast. c. 1, n. 4) domanda, come potrà uno tenere il suo cuore fermo, attento e non distratto nell'orazione; e risponde che il mezzo più efficace per questo è considerare che sta dinanzi a Dio e che Dio sta osservando come egli ora. Perché se colui che si trova alla presenza di un principe terreno, parlando con esso lui, sta con gran rispetto e riverenza, e con grande attenzione a quel che fa e dice, e alla maniera che in ciò tiene; e stimerebbe per molto mala creanza il voltargli le spalle, o inframmischiare in quel ragionamento altre cose fu or di proposito; che farà colui il quale consideri attentamente che sta alla presenza della maestà di Dio, che lo sta mirando e sta osservando in lui, non solo l'esteriore che si vede al di fuori, ma anche l'interno del suo cuore? Chi vi sarà, dice, che abbia ardire di levar gli occhi e il cuore da quello che sta facendo, e di voltar le spalle a Dio, e ivi stare pensando in altre cose non appartenenti?

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Meditazione: cause delle distrazione e rimedi

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

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CAPO XXI. Delle cagioni delle distrazioni nell'orazione e dei rimedi di esse.

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1. Non dissiparsi e pensare fra giorno a cose sante.
2. Le tentazioni del demonio. Esempio.
3. Di qui si vede l'importanza dell'orare.
4. La nostra fiacchezza.

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1. Quello delle distrazioni nell'orazione suole essere un lamento molto ordinario; onde trattano di esso i Santi comunemente, ma Cassiano molto in particolare (CASSIAN. Coll. 4, c. 2-3). Da tre cagioni o radici dicono che può procedere la distrazione nell'orazione. Alcune volte dalla nostra trascuraggine e negligenza, perché ci dissipiamo troppo fra giorno, custodiamo poco il nostro cuore e teniamo poco raccolti e raffrenati i nostri sensi. Chi fa così non ha occasione di domandare d'onde gli venga lo star distratto nell'orazione e il non potersi introdurre in essa; perché è cosa chiara che le immagini, le figure e le rappresentazioni delle cose che lascia entrare colà dentro nella sua mente lo hanno da molestare e da inquietare poi nell'orazione. Dice l'abate Mosè (CASSIAN. Coll. 1, c. 17; Loc. cit. col. 506 seg.), e dice benissimo, che sebbene non è in poter dell'uomo il non esser combattuto dai pensieri; è nondimeno in poter suo il non ammetterli e lo scacciarli quando vengono. E aggiunge di più, che sta in mano dell'uomo in gran parte il correggere ed emendare la qualità di questi pensieri, e far che gli vengano pensieri buoni e santi, e che gli altri pensieri di cose vane e impertinenti gli vadano uscendo dalla mente e dalla memoria. Perché se si darà ad esercizi spirituali di lettura, di meditazione e di orazione, e si occuperà in opere buone e sante, avrà pensieri buoni e santi. Però se fra il giorno non attende a questo, ma a pascere i suoi sensi di cose vane e impertinenti, saranno con simili i suoi pensieri.

E apporta una similitudine, la quale è anche di Sant’Anselmo e di S. Bernardo (S. BERN. De hum. condit. c. 9, n.13). Dicono questi Santi che il cuore dell'uomo è come la pietra e la mola del mulino, èlle sempre macina, ma sta sempre in mano del mugnaio il fare che macini frumento, o orzo, o altra sorta di legume; quello che vi metterà, quello macinerà. Così è il cuore dell'uomo: non può stare senza pensare a qualche cosa, sempre macina; ma colla tua industria e diligenza puoi fare che macini frumento, o orzo, o altro legume, o terra; quello che vi metterai dentro, quello macinerà. Ora secondo questo, se vuoi star raccolto nell'orazione, bisogna che fra il giorno procuri di tenere raccolto il cuore e custodire le porte dei tuoi sensi, perché il Signore gusta di conversare colle anime che sono orti rinchiusi. Onde era comun detto di quei Padri antichi, e l'apporta Cassiano, che bisogna pigliare il corso molto all'indietro, ed esser tale fra giorno, qual vuoi trovarti nel tempo dell'orazione; perché dallo stato e dal temperamento che ha il cuore fuori dell'orazione viene essa ad impastarsi e formarsi (CASSIAN. coll. 9, c. 3; Loc. cit. col. 773-74). E dice S. Bonaventura: «Qual sarà il liquore che metterai nel vaso, tale sarà l'odore che ne uscirà; e quali saranno le erbe che pianterai nell'orto del tuo cuore, tale sarà il frutto e il seme che produrranno» (S. BONAV. De exter. etc. l. 3, c. 52, n. 2).

E perché è una cosa molto comune e naturale il pensar uno molte volte a quello che ama; se vuoi tener fermo é stabile il cuore nell'orazione, e che i pensieri di cose varie e impertinenti si vadano dissipando e finendo, bisogna mortificare l'affezione di esse, sprezzando tutte le cose terrene e applicando il cuore alle celesti. E quanto più andrai profittando e crescendo in questo, tanto maggior profitto e aumento andrai facendo nella fermezza, stabilita e attenzione nell'orazione.

 

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Non angosciarci se non arriviamo a un’orazione più alta

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

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CAPO XX. Che ci dobbiamo contentare dell'orazione che abbiamo detto e non angosciarci né lamentarci perché non arriviamo ad altra più alta.

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1. L'umile non desidera favori straordinari nell'orare.
2. Senza di essi si può aver l'effetto d'una buona orazione.
3. Non ho consolazioni: lamento vano.

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1. Alberto Magno (ALB. MAGN. De adhaer. Deo) dice che il vero umile non ardisce, né il suo cuore s'innalza a desiderar l'alta e sublime orazione e quei favori straordinari che il Signore suole alcune volte comunicare ai suoi più diletti; perché ha egli sì bassa stima di se stesso, che si reputa indegno di ogni grazia e consolazione spirituale. E se qualche volta, senza che egli lo desideri; il Signore lo visita con alcuna consolazione, la riceve con del timore, parendogli di non meritare quei favori e quelle consolazioni, né sapersi approfittare di essi come dovrebbe. E così se fosse in noi umiltà, Ci contenteremmo bene di qualsivoglia di quelle sorta d'orazioni. che abbiamo detto; anzi terremmo per particolar grazia del Signore che ci conducesse per la via dell'umiltà; poiché per questa ci conserveremmo e per quell'altra forse ci pavoneggeremmo e andremmo in perdizione.

S. Bernardo (S. BERN. Serm, 5 in quadrag. n. 7) dice che Dio fa con noi come fanno di qua i padri coi loro figliuolini piccoli, che quando il figliuolino domanda del pane, glielo danno volentieri; ma se domanda il coltello per tagliarlo, non glielo vogliono dare, perché vedono che egli non ne ha bisogno, anzi che gli potrebbe far male, tagliandosi con esso. Il padre però piglia egli il coltello e taglia il pane acciocché il figliuolino non abbia quella briga, né corra pericolo alcuno. Così fa il Signore: ti dà il pane tagliato, e non ti vuol dare i gusti e le consolazioni che sono in quella altissima orazione; perché forse ti taglieresti e ne riceveresti nocumento, alzando la cresta e diventando perciò vano, tenendoti per spirituale e preferendoti ad altri. Maggior grazia ti fa Dio dandoti il pane tagliato, che se ti desse il coltello da tagliarlo. Se Dio con questa orazione ti dà gran fermezza e fortezza per morire più tosto che peccare, e ti conserva in tutta la tua vita senza che tu cada in peccato mortale; che miglior orazione e che miglior frutto vuoi?

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Di alcuni mezzi e modi facili per far buona e fruttuosa orazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

 

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CAPO XIX. Di alcuni mezzi e modi facili per far buona e fruttuosa orazione.* * *

1. Pensare seriamente ai casi nostri.
2. Considerarsi avanti a Dio come fanciullo, cieco ecc.
3. Chiedere perdono dei peccati. Esempio di S. Taide.
4. Desiderare di fare orazione come la fanno i Santi.
5. Tenersi in grande umiltà avanti a Dio.
6. Accettare le aridità in pena dei nostri peccati.
7. Più aridità nell'orazione e più mortificazione nella giornata.
8. Desiderare di far orazione meglio di quel che si faccia, facendo offerte a Dio.

 

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1. Vi sono altri modi molto facili i quali ci aiuteranno grandemente a far orazione; dal che si vedrà similmente come è sempre in poter nostro il far buona e fruttuosa orazione, e che l'orazione mentale è cosa per tutti, e che non vi è alcuno che non la possa fare.

Il primo modo, e molto buono, può esser quello che qui avvertono alcuni maestri di spirito, i quali dicono che non facciamo che la nostra orazione sia una cerimonia, o un artifizio; ma che facciamo quello che fanno gli uomini in negozi di roba, che si fermano a pensar di proposito a quello che fanno, come vanno le cose e come possono andar meglio. Così il servo di Dio semplicemente e senza artifizio ha da trattare con se stesso nell'orazione: come va per me il negozio del mio profitto e della salute dell'anima mia? ché questo è il nostro negozio, e non stiamo in questa vita per altro che per assicurare questo negozio. Faccia dunque i conti seco stesso il religioso, e pongasi a pensare molto a bell'agio: come va per me questo negozio? che frutto e che utilità ho io cavato da questi dieci, venti, trenta o quarant'anni che sono stato in religione? quanta virtù ho io guadagnata e acquistata? quanta umiltà? quanta mortificazione? Voglio vedere che conto potrò rendere a Dio delle comodità e dei mezzi tanto grandi che ho avuti nella religione per accumulare e per aumentare il capitale e il talento che mi diede. E se fin qua ho male impiegato il tempo, e non ho saputo approfittarmi di esso, voglio provvedervi per l'avvenire, acciocché non se ne passi tutta la vita mia come per l'addietro.

Nello stesso modo può ciascuno nello stato suo semplicemente e senza artifizio alcuno fermarsi a pensare in particolare, come vanno le cose circa il suo ufficio e la sua professione; come l'eserciterà bene e conforme alla volontà di Dio; come farà a trattare i negozi cristianamente; come farà a governare la sua casa e la sua famiglia di maniera che tutti servano Dio; come farà a portarsi bene nelle occasioni, nei disturbi e nelle molestie che reca seco il suo stato, il suo ufficio, la sua professione. Nel che troverà assai materia da pensare, da piangere e da emendare; e questa sarà molto buona ed utile orazione.

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Dipende solo da noi far bene l’orazione ordinaria

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

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CAPO XVIII. Si mostra praticamente come sta in man nostra il far sempre buona orazione e il cavar frutto da essa

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1. E in mano nostra il far bene l'orazione ordinaria.
2. Non è che l'esercizio delle tre potenze.
3. Nei cui atti sta la sostanza dell'orazione.
4. Si prova dal contrario.
5. Dobbiamo migliorarci coll'orazione.
6. Questa supplisce a tutto il resto.

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1. L'orazione specialissima e straordinaria, della quale abbiamo parlato di sopra, è un dono particolarissimo di Dio, il quale non lo dà a tutti, ma a chi piace a lui; ma l'orazione mentale ordinaria e semplice, della quale adesso andiamo trattando, il Signore non la nega a nessuno. Ed è errore quello di alcuni, ai quali, perché non arrivano a quella alta orazione e contemplazione, pare che non possano far orazione, o che non siano atti per essa; essendo quest'altra molto buona e molto utile orazione, e potendo noi con essa essere perfetti. E di più essendo questa molto buona e molto propria disposizione per quell'altra più elevata e sublime orazione, se Dio ce la vorrà concedere. Ora di questa orazione andremo dichiarando adesso come, colla grazia del Signore, sta in man nostra il farla sempre bene e il cavar frutto da essa; il che è cosa di grande consolazione. Per due vie possiamo raccogliere questo molto bene da quello che si è detto.

2. La prima è, perché il modo d'orazione che c'insegna il nostro Santo Padre è l'esercitar ivi le tre potenze dell'anima nostra, proponendo colla memoria agli occhi dell'intelletto il punto o mistero, sopra del quale vogliamo far orazione, e subito entrare coll'intelletto a discorrere, meditare, considerare quelle cose che più ci aiuteranno a muovere la volontà nostra; e poi subito hanno da seguitare gli affetti e desideri della volontà. E questa terza cosa abbiamo detto che è la principale e il frutto che abbiamo da cavare dall'orazione: di maniera che non consiste l'orazione nelle dolcezze e nei gusti sensibili, che sentiamo e sperimentiamo alcune volte; ma negli atti che facciamo colle potenze dell'anima nostra. Ora il far questo sta sempre in man nostra, ancorché ci troviamo molto aridi e mesti. Perché quantunque io mi trovi più secco che un legno e più duro che un sasso, sta in mia mano il fare, col favore del Signore, un atto di odio, di aborrimento e di dolore dei miei peccati; un atto di amor di Dio, un atto di pazienza e un atto di umiltà e di desiderio di esser disprezzato e vilipeso, per imitar Cristo disprezzato e vilipeso per me.

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Meditazione: non passare superficialmente sui misteri

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

 

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CAPO XVII. Che nella considerazione dei misteri abbiamo anche da procedere con posatezza, e non passarli superficialmente: e di alcuni mezzi che ci aiuteranno a far questo

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1. Utilità del trattenersi a lungo in una stessa considerazione.
2. Cosa facile nella consolazione.
3. Diligenza dal canto nostro.
4. E' gran mezzo l'amar Dio e le cose spirituali

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1. Nella considerazione dei misteri divini importa anche grandemente scavar bene addentro e profondarsi in una medesima cosa, e non passarla correndo: perché ci gioverà più un mistero ben considerato e ponderato, che molti superficialmente mirati. E perciò il nostro Santo padre nel libro degli Esercizi fa tanta stima delle ripetizioni, che dopo ciascun esercizio subito comanda che si facciano una o due ripetizioni; perché quello che non si trova la prima volta, si trova col perseverare tuttavia più nella stessa considerazione: «poiché chi cerca trova, e sarà aperto a colui che picchia» (Matth. 7, 8). Mosè percosse la pietra colla verga, e non cavò acqua: tornò a percuotere, e la cavò (Num. 20, 11); e Cristo nostro Redentore non guarì quel cieco del Vangelo in un tratto, ma lo andò guarendo a poco a poco: prima gli pose la saliva sugli occhi, e gli domandò se vedeva qualche cosa; ed egli rispose che vedeva certe cose grosse, ma non discerneva bene quel che si fossero: gli uomini gli parevano alberi. Tornò poi il Signore a mettergli le mani sopra gli occhi, e lo risanò affatto, di maniera che già vedeva chiaramente e distintamente (Marc. 8, 23-25).

Così suole avvenire nell'orazione, che tornando la persona una e più volte sopra una cosa medesima e, perseverando in quella, va sempre scoprendo per suo profitto nuove circostanze, non prima osservate: come quando uno entra in una stanza oscura, che da principio non vede niente; e se si trattiene, va vedendo alquanto. E particolarmente abbiamo da procurare di trattenerci sempre nella considerazione delle cose sino a tanto che restiamo molto illuminati e persuasi della verità, e molto convinti e assodati in quello che ci conviene: perché questo è uno dei principali frutti che abbiamo da cavare dall'orazione e nel quale bisogna che stiamo ben fondati, come di sopra dicevamo.

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Meditazione: Fermarsi su un soggetto particolare

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

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CAPO XVI. Come nell'orazione ci potremo trattenere a lungo in una stessa cosa: e si propone la pratica d'un buon modo d'orazione, che è andar discendendo ai casi particolari.

 

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1. Con varie considerazioni insistere sulla stessa cosa.
2. Venire ai casi particolari.
3. utilità di ciò.
4. Esempio di S. Ignazio.
5. Prevedere i casi possibili.
6. Ampia materia da meditare.
7. In ogni virtù tre gradi di perfezione.

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1. Resta che dichiariamo il modo che potremo osservare per andar nell'orazione trattenendoci nell'affetto d'una stessa virtù assai tempo; poiché è cosa tanto utile, quanto abbiamo detto. Il mezzo comune e ordinario che si suole dare per questo è, procurare di continuare questo medesimo atto ed affetto della volontà, o tornarlo a replicare e reiterare di nuovo, come chi dà un'altra spinta alla ruota, acciocché non si fermi; o come chi va gettando legna nel forno, acciocché il fuoco duri; servendoci per quest'effetto alle volte della medesima prima considerazione che da principio ci mosse a quest'affetto e desiderio, e tornando a svegliar con essa la volontà, quando vediamo che si va raffreddando, dicendo col Profeta (Ps. 114, 7): Svegliati, anima mia, e ritornatene al tuo riposo: guarda quanto è conveniente e quanto vuole la ragione che tu faccia pel tuo Signore, a cui tanto sei obbligata e a cui devi tanto.

E quando più non basterà né ci muoverà la prima considerazione, abbiamo da valerci d'un'altra nuova considerazione, o da passare ad un altro punto; perché a tal effetto abbiamo da portar sempre preveduti diversi punti, acciocché quando l'uno ci venga meno sotto alla considerazione, e perciò non ci muova più, ce ne possiamo passare all'altro, che come punto di rinforzo e di nuova virtù ci muova e ci affezioni alla cosa che desideriamo. E di più, come talvolta, per evitare il fastidio che suole cagionar ci il continuar a mangiar spesso un medesimo cibo, siamo soliti di condirlo in diversi modi, e con questo ci par cibo nuovo e ci dà nuovo gusto; così ancora, per poter perseverare assai tempo in una medesima cosa nell'orazione, che è il cibo e nutrimento dell'anima nostra, è buon mezzo condirla in diverse maniere. E questo possiamo fare alcuna volta passandocene ad un altro punto e ad un'altra considerazione, come ora dicevamo; perché ogni volta che con diversa ragione, o considerazione, si muove e si attua uno in una cosa, gli riesce questa come nuova. E ancora, benché non vi sia nuova ragione né nuova considerazione, si può l'affetto d'una stessa virtù condire in molti modi; come se uno tratta dell'umiltà, può alcune volte stinsi trattenendo nella cognizione delle sue proprie miserie, debolezze e fragilità, confondendosi e disprezzandosi per esse: alcune altre si può trattenere in desideri d'essere disprezzato da altri, non curandosi dell'opinione e stima degli uomini, ma tenendo ogni cosa per vanità: alcune altre si può trattenere nel confondersi e vergognarsi di vedere i mancamenti e gli errori nei quali ogni giorno viene a cadere, e nel dimandare a Dio il perdono e il rimedio di essi: alcune altre nell'ammirare la bontà di Dio che lo sopporta, non potendo noi altri alle volte sopportare noi stessi: alcune altre nel ringraziarlo che non l'abbia lasciato cadere in altre cose maggiori. Con questa mutazione e varietà si rimedia al fastidio che suole cagionare la continuazione di una medesima cosa, e si fa facile e gustoso il durare e perseverare negli atti ed affetti di una stessa virtù, con che ella si va radicando e inviscerando più nel cuore. Perché in fine, come la lima ogni volta che passa sopra il ferro se ne porta via qualche cosa: così ogni volta che facciamo un atto di umiltà, o di altra virtù, si va scagliando e levando via qualche cosa del vizio contrario.

2. Oltre di questo vi è un altro modo molto facile ed utile da perseverare nell'orazione in una medesima cosa molti giorni, che è l'andar discendendo a cose particolari. Notano qui i maestri della vita spirituale, che non ci dobbiamo contentare di cavare dall'orazione un desiderio e proponimento generale di servir Dio, di fare profitto e di esser perfetti, così in comune; ma che dobbiamo discendere particolarmente a quella cosa, nella quale sappiamo di poter servire e piacere più a Dio. Nemmeno ci dobbiamo contentare di cavar dall'orazione un desiderio generale di qualche virtù particolare, come di esser umili, di esser ubbidienti, di esser pazienti, o mortificati, avendo questo desiderio o velleità della virtù così in generale ancora i viziosi. Perché essendo la virtù cosa bella e onorevole e di grande utilità per questa vita e per l'altra, è facile l'amarla e il desiderarla così in generale. Ma in quella medesima virtù, che desideriamo, abbiamo da discendere ai casi particolari: come se trattiamo di acquistare una conformità grande alla volontà di Dio, abbiamo da discendere a conformarci alla sua volontà in cose particolari, sì nell'infermità come nella sanità; sì nella morte come nella vita; sì nella tentazione come nella consolazione. E se trattiamo di acquistare la virtù dell'umiltà, abbiamo da discendere al particolare, immaginando ci casi particolari, che sogliono o possono accadere, di nostro dispregio; e così nelle altre virtù. Perché questi casi particolari sono quelli che più si sentono e nei quali sta la difficoltà della virtù, essendo che in essi ella più si prova e conosce; e questi sono i mezzi coi quali si acquista la stessa virtù.

E abbiamo a metterci avanti questi casi pratici prima in cose minori e più facili, e dipoi in altre più difficili, che ci pare che sarebbero da noi più sentite se ci avvenissero. E così in queste cose andare crescendo di grado in grado, e ascendendo a poco a poco, attuandoci in esse come se le avessimo presenti, sino a tanto che nessuna cosa ci si pari davanti, in quelle virtù che desideriamo, la quale ci sgomenti; ma in ciascuna ci paia che potremo far fronte e restarcene padroni del campo. E quando vi sono di presente alcune occasioni vere, in quelle abbiamo prima da esercitarci, disponendo ci a sopportarle bene e con profitto, ciascuno secondo il suo stato. Un servo di Dio aggiungeva che sempre nell'orazione dovremmo proporre qualche cosa da fare quello stesso giorno. Ecco con quanta minutezza vogliono questi maestri che discendiamo nell'orazione ai casi particolari.

 

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Meditazione: insistere sulla cosa di cui abbiam più bisogno

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

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CAPO XV. Come s'intende che nell'orazione abbiamo da pigliare a petto quella cosa, della quale abbiamo maggiore necessità, e insistere in essa fin che l'abbiamo conseguita.

 

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1. Va assecondato qualunque buon sentimento.
2. Ciò si accorda col frutto particolare prefisso.
3. A questo frutto applicare anche l'esame particolare.
4. La meditazione è fontana che tutto innaffia.
5. Meditando trattieniti con pausa negli atti buoni.
6. Danno del contrario.
7. Vantaggio di tal pratica.

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1. Non vogliamo dire per questo che sempre abbiamo da attendere ad una cosa nell'orazione; perché quantunque la nostra particolare e maggiore necessità sia l'umiltà, o altra cosa simile, possiamo bene nell'orazione occuparci negli atti e nell'esercizio di altre virtù. per esempio, ti si porge l'occasione di un atto di conformarti alla volontà di. Dio in ciò che egli vorrà e ordinerà di te; trattieniti in esso quanto potrai, che questa sarà buonissima orazione e molto bene impiegata, né ti leverà questo l'armi di mano per farti forte in genere d'umiltà; che anzi per questa ti darà maggiore aiuto. Ti si porge occasione di un atto di gratitudine e riconoscimento grande dei benefizi che hai ricevuti da Dio, così generali, come particolari; trattieniti in questo quanto ti sarà possibile; che ben è ragione che ogni giorno rendiamo grazie al Signore per i benefizi ricevuti, e specialmente per averci tirati alla religione. Ti si porge occasione di concepire un odio e dolore grande dei tuoi peccati, e un fermo proponimento di morire più tosto mille volte che offendere mai più Dio; trattieniti in questo, che è uno dei buoni e dei più utili atti nei quali ti puoi esercitare nell'orazione. Ti si porge occasione di far un atto di amor di Dio, di concepire zelo e desiderio grande della salvezza delle anime e brama di esporti a qualsivoglia travaglio e fatica per esse; trattieniti in questo. E possiamo anche trattenerci nell'orazione in chiedere a Dio grazie così per noi stessi, come per i nostri prossimi e per tutta la Chiesa, che è una molto principale parte dell'orazione.

In tutte queste cose ed altre simili ci possiamo trattenere nell'orazione, e sarà orazione molto buona: e così vediamo i Salmi, i quali sono una perfettissima orazione, pieni di una infinità d'affetti differenti. Perciò Cassiano e l'abate S. Nilo (CASSIAN. coll. 9, c. 7; S. NILUS in Biblioth. patr. t. 7) dissero che l'orazione è una campagna piena di fiori, e una ghirlanda tessuta di molti fiori di odori tutti diversi. «Ecco l'odore del figliuol mio è come l'odore d'un campo ben fiorito e benedetto dal Signore» (Gen. 27, 27). E in questa varietà vi è un'altra utilità, 'ed è che suole aiutare a renderci più facile l'orazione, e per conseguenza a poter durare e perseverare in essa più lungamente; perché il replicare sempre una medesima cosa suole cagionare fastidio; mentre la varietà diletta e trattiene.

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Due avvertimenti per far bene l’orazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO XIV. Di due avvertimenti, i quali ci aiuteranno grandemente a far bene l'orazione e a cavar frutto da essa.

 

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1. L'orazione è mezzo per il nostro profitto.
2. Autorità della Scrittura e dei Padri.
3. E rimedio generale per ogni necessità spirituale.
4. Prima di arare prevedere il frutto da cavare.
5. Pratica di ciò.
6. Da qualunque meditazione puoi cavare lo stesso frutto.

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1. Per far bene l'orazione e per cavar da essa il frutto che si conviene, per la prima cosa ci aiuterà grandemente il persuaderci a tenere fermo questo fondamento, che l'orazione non è fine, ma mezzo che pigliamo pel nostro profitto e perfezione. Sicché non ci dobbiamo fermare nell'orazione, come in termine e fine; perché la nostra perfezione non sta nell'avere grande consolazione, particolare tenerezza, o alta contemplazione; ma nell'acquistare una perfetta mortificazione e vittoria di noi stessi e delle nostre passioni e appetiti, riducendoci, quanto però ci sia possibile, alla perfezione di quel felice stato della giustizia originale nel quale fummo creati, quando la carne e l'appetito stavano totalmente soggetti e conformi alla ragione, e la ragione a Dio. E abbiamo da pigliare l'orazione come mezzo per arrivare a questo. Come nella fucina il ferro diventa molle col fuoco, per potersi lavorare e piegare e farsene quel che si vuole; così ha da essere nell'orazione. Ci si rende molto dura e molto difficile la mortificazione, il rompere la nostra propria volontà, il sopportare quel travaglio e quel sinistro incontro che ci si presenta? Bisogna fare ricorso alla fucina dell'orazione, e ivi col calore e col fuoco della divozione e coll'esempio di Cristo si va mollificando il cuore, per poterlo lavorare e accomodare a tutto quello che sarà di bisogno per servire maggiormente a Dio. Questo è l'ufficio dell'orazione, e questo è il frutto che abbiamo da cavare da essa; e per questo sono fatti i gusti e le consolazioni che il Signore in essa ci vuol comunicare. Non sono fatte le consolazioni per fermarci in esse; ma per potere con maggior prontezza e speditezza correre per la strada della virtù e perfezione.

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