Storia, mistica e pratica dell’Avvento

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Storia, mistica
e pratica dell’Avvento

dagli
scritti di Dom Prosper Guérager O.S.B, Abate di Solesmes (1805-1875)













Dom Guer







STORIA DELL’AVVENTO*



Il nome dell’Avvento



Si dà nella Chiesa latina, il nome di Avvento (
1) al tempo destinato dalla Chiesa a preparare i
fedeli alla celebrazione della festa di Natale, anniversario della Nascita di Gesù
Cristo. Il mistero di questo grande giorno meritava senza dubbio l’onore d’un preludio
di preghiera e di penitenza: cosicché sarebbe impossibile stabilire in maniera
certa la prima istituzione di questo tempo di preparazione, che ha ricevuto solo
più tardi il nome di Avvento (
2).

L’Avvento deve essere considerato sotto due diversi punti di vista: come un tempo
di preparazione propriamente detta alla Nascita del Salvatore, mediante gli esercizi
della penitenza, o come un corpo d’Uffici Ecclesiastici organizzato con lo stesso
fine. Fin dal secolo V, troviamo l’uso di fare delle esortazioni al popolo per disporlo
alla festa di Natale; ci sono rimasti a questo proposito due sermoni di san Massimo
di Torino, senza parlare di parecchi altri attribuiti una volta a sant’Ambrogio e
a sant’Agostino, e che sembrano essere invece di san Cesario d’Arles. Se tali documenti
non ci indicano ancora la durata e gli esercizi di questo tempo sacro, vi riscontriamo
almeno l’antichità dell’uso che distingue mediante particolari predicazioni
il tempo dell’Avvento. Sant’Ivo di Chartres, san Bernardo, e parecchi altri dottori
dell’XI e del XII secolo hanno lasciato speciali sermoni de Adventu Domini, completamente
distinti dalle Omelie Domenicali sui Vangeli di questo tempo. Nei Capitolari di Carlo
il Calvo dell’anno 864, i Vescovi fanno presente a quel principe che egli non deve
richiamarli dalle loro Chiese durante la Quaresima nè durante l’Avvento
sotto il pretesto degli affari di Stato o di qualche spedizione militare, perché
essi hanno in quel periodo dei doveri particolari da compiere, principalmente quello
della predicazione.

Un antico documento in cui si trovano, precisati, in maniera sia pure poco chiara,
il tempo e gli esercizi dell’Avvento, é un passo di S. Gregorio di Tours,
al decimo libro della sua Storia dei Franchi nel quale riferisce che S. Perpetuo,
uno dei suoi predecessori, che occupava la sede verso il 480, aveva stabilito che
i fedeli digiunassero tre volte la settimana dalla festa di san Martino fino a Natale
(
3). Con quel regolamento,
san Perpetuo stabiliva un’osservanza nuova, o sanzionava semplicemente una legge
già esistente? È impossibile determinarlo con esattezza oggi. Rileviamo
almeno questo intervallo di quaranta giorni o piuttosto di quarantatre giorni, designato
espressamente, e consacrato con la penitenza come una seconda Quaresima, sebbene
con minor rigore (
4).

Troviamo quindi il nono canone del primo Concilio di Macon, tenutosi nel 583, il
quale ordina che, durante lo stesso intervallo da san Martino al Natale, si digiunerà
il lunedì, il mercoledì, il venerdì, e si celebrerà
il sacrificio secondo il rito Quaresimale.
Qualche anno prima, il secondo Concilio
di Tours, tenutosi nel 567, aveva ordinato ai monaci di digiunare all’inizio del
mese di dicembre fino a Natale. Questa pratica di penitenza si estese presto a tutti
i quaranta giorni per i fedeli stessi; e si chiamo volgarmente la Quaresima di
san Martino
. I Capitolari di Carlo Magno, al libro sesto, non ne lasciano alcun
dubbio; e Rabano Mauro attesta la medesima cosa nel secondo libro della Istituzione
dei Chierici. Si
facevano anche particolari festeggiamenti nel giorno di san
Martino, come si fa ancor oggi all’avvicinarsi della Quaresima e a Pasqua.



Variazioni
nelle osservanze.




L’obbligo di questa Quaresima che, cominciando a pesare in modo quasi impercettibile,
era cresciuto successivamente fino a diventare una legge sacra, diminuì grado
a grado; e i quaranta giorni da san Martino a Natale si trovarono ridotti a quattro
settimane. Si è visto come l’usanza di tale digiuno fosse cominciata in Francia;
ma di qui si era diffusa in Inghilterra, come apprendiamo dalla Storia del Venerabile
Beda; in Italia, come consta da un diploma di Astolfo, re dei Longobardi (Ü 753);
in Germania, in Spagna (
5), ecc., come se ne possono
vedere le prove nella grande opera di Dom Martène sugli antichi Riti della
Chiesa.
Il primo indizio che riscontriamo della riduzione dell’Avvento a quattro
settimane si può ritenere che sia, fin dal IX secolo, la lettera del papa
san Nicola I ai Bulgari La testimonianza di Raterio di Verona e di Abbondio di Fleury,
autori appartenenti entrambi allo stesso secolo, serve anche a provare che fin d’allora
si discuteva molto per diminuire d’un terzo la durata del digiuno dell’Avvento. É
vero che san Pier Damiani, nell’XI secolo, suppone ancora che il digiuno dell’Avvento
fosse di quaranta giorni e che san Luigi, due secoli dopo, continuava ad osservarlo
in questa misura; ma forse questo santo re lo praticava in tal modo per un trasporto
di devozione particolare.

La disciplina della Chiesa d’Occidente, dopo essersi rilassata sulla durata del digiuno
dell’Avvento, si raddolcì presto al punto da trasformare tale digiuno in una
semplice astinenza; si trovano inoltre dei Concili fin dal XII secolo, come quello
di Selingstadt del 1122, che sembrano obbligare soltanto i chierici a tale astinenza
(
6). Il Concilio di Salisbury,
del 1281, pare anch’esso obbligarvi solo i monaci. D’altra parte, è tale la
confusione su questa materia, senza dubbio perché le diverse Chiese d’Occidente
non ne hanno fatto l’oggetto d’una disciplina uniforme, che, nella sua lettera al
Vescovo di Braga, Innocenzo III attesta che l’uso di digiunare per tutto l’Avvento
esisteva ancora a Roma al suo tempo, e Durando, sempre nel XIII secolo, nel suo Razionale
dei divini Uffici,
testimonia ugualmente che il digiuno era continuo in Francia
per tutta la durata di quel tempo sacro.

Comunque sia, questa usanza venne sempre più diminuendo di, modo che tutto
quello che poté fare nel 1362 il Papa Urbano V per arrestarne la caduta completa,
fu di obbligare tutti i chierici della sua corte a conservare l’astinenza dell’Avvento,
senza alcuna menzione del digiuno, e senza comprendere affatto gli altri chierici,
e tanto meno i laici, sotto questa legge. San Carlo Borromeo cercò anch’egli
di risuscitare lo spirito, se non la pratica, dei tempi antichi nelle popolazioni
del Milanese. Nel suo quarto Concilio, ordinò ai parroci di esortare i fedeli
a comunicarsi almeno tutte le domeniche della Quaresima e dell’Avvento, e indirizzo
quindi ai suoi stessi diocesani una lettera pastorale in cui, dopo aver loro ricordato
le disposizioni con le quali si deve celebrare questo sacro tempo, faceva istanza
per condurli a digiunare almeno il lunedì, il mercoledì e il venerdì
di ciascuna settimana. Infine Benedetto XIV ancora Arcivescovo di Bologna, calcando
cosi gloriose orme, ha consacrato la sua undicesima Istituzione Ecclesiastica
a ridestare nello spirito dei fedeli della sua diocesi la sublime idea che i
cristiani avevano un tempo del tempo dell’Avvento, e a combattere un pregiudizio
diffuso in quella regione, cioè che l’Avvento riguardava le sole persone religiose,
e non i semplici fedeli. Egli dimostra che questa asserzione, salvo che la si intenda
semplicemente del digiuno e dell’astinenza, è di per sé temeraria
e scandalosa, poiché non si potrebbe dubitare che esiste, nelle
leggi e nelle usanze della Chiesa universale, tutto un insieme di pratiche destinate
a mettere i fedeli in uno stato di preparazione alla grande festa della Nascita di
Gesù Cristo.

La Chiesa greca osserva ancora il digiuno dell’Avvento, ma con molto minore severità
rispetto a quello della Quaresima. Esso consta di quaranta giorni, a partire dal
14 novembre, giorno in cui quella Chiesa celebra la festa dell’Apostolo san Filippo.
Per tutto questo tempo, si osserva l’astinenza dalla carne, dal burro, dal latte
e dalle uova; ma si fa uso di pesce, olio e vino, cose tutte vietate durante la Quaresima.
Il digiuno propriamente detto è d’obbligo soltanto per sette giorni sui quaranta;
e tutto l’insieme si chiama volgarmente la Quaresima di san Filippo. I
Greci giustificano queste mitigazioni dicendo che la Quaresima di Natale è
solo di istituzione monastica, mentre quella di Pasqua è d’istituzione apostolica.

Ma se le pratiche esteriori di penitenza che consacravano una volta il tempo dell’Avvento
presso gli Occidentali, si sono a poco a poco mitigate, in maniera che oggi non ne
resta alcun vestigio fuori dei monasteri, l’insieme della Liturgia dell’Avvento non
è cambiato; ed è nello zelo per appropriarsene lo spirito che i fedeli
daranno prova d’una vera preparazione alla festa di Natale.



Variazioni
nella Liturgia.




La forma liturgica dell’Avvento, quale si ha oggi nella Chiesa Romana, ha subito
alcune variazioni. San Gregorio (590-604) sembra aver istituito per primo questo
Ufficio che avrebbe abbracciato dapprima cinque domeniche, come si può vedere
dai più antichi Sacramentari di quel grande Papa. Si può anche dire
a questo proposito, secondo Amalario di Metz e Bernone di Reichenau, seguiti da Dom
Martène e da Benedetto XIV, che san Gregorio sembrerebbe essere l’autore del
precetto ecclesiastico dell’Avvento, benché l’uso di consacrare un tempo più
o meno lungo a prepararsi alla festa di Natale sia del resto immemorabile, e l’astinenza
e il digiuno di questo tempo sacro siano iniziati dapprima in Francia. San Gregorio
avrebbe determinato, per le Chiese di rito romano, la forma dell’Ufficio durante
questa specie di Quaresima, e sanzionato il digiuno che l’accompagnava, lasciando
tuttavia una certa libertà alle diverse Chiese circa la maniera di praticarlo.

Fin dal IX e X secolo, come si puo vedere da Amalario, san Nicola I, Bernone di Reichenau,
Reterio di Verona, ecc., le domeniche erano già ridotte a quattro; è
lo stesso numero che porta il Saeramentario gregoriano dato da Pamelio, e che sembra
sia stato trascritto a quell’epoca. Da allora, nella Chiesa Romana, la durata dell’Avvento
non ha subito variazioni, ed è sempre consistito in quattro settimane, di
cui la quarta è quella stessa nella quale cade la festa di Natale, a meno
che tale festa non capiti di domenica. Si può dunque assegnare all’usanza
attuale una durata di mille anni, almeno nella Chiesa Romana; poiché vi sono
delle prove che fino al secolo XIII alcune Chiese di Francia hanno conservato l’usanza
delle cinque domeniche (
7).

La Chiesa ambrosiana conta ancor oggi sei settimane nella sua liturgia dell’Avvento;
il Messale gotico o mozarabico mantiene la stessa usanza. Per la Chiesa gallicana,
i frammenti che Dom Mabillon ci ha conservati della sua liturgia non ci attestano
nulla a questo riguardo; ma è naturale pensare con questo studioso la cui
autorità è rafforzata anche da quella di Dom Martène, che la
Chiesa delle Gallie seguiva su questo punto, come su tanti altri, le usanze della
Chiesa gotica, cioè che la liturgia del suo Avvento si componeva ugualmente
di sei domeniche e di sei settimane (
8).

Quanto ai Greci, le loro Rubriche per il tempo dell’Avvento si leggono nei
Nenei, dopo l’Ufficio del 14 novembre. Essi non hanno un Ufficio proprio dell’Avvento,
e non celebrano durante questo tempo la Messa dei Presantificati, come fanno
in Quaresima. Si trovano soltanto, nel corpo stesso degli Uffici dei Santi che occupano
il periodo dal 15 novembre alla domenica più vicina a Natale, parecchie allusioni
alla Natività del Salvatore, alla maternità di Maria, alla grotta di
Betlemme, ecc. Nella domenica che precede il Natale, celebrano quella che chiamano
la Festa dei santi Avi, cioè la Commemorazione dei Santi dell’Antico
Testamento, per celebrare l’attesa del Messia. Il 20, 21, 22 e 23 dicembre sono decorati
del titolo di Vigilia della Natività; e benché in quei giorni
si celebri ancora l’Ufficio di parecchi Santi, il mistero della prossima Nascita
del Salvatore domina tutta la Liturgia.


MISTICA
DELL’AVVENTO


La triplice
Venuta.




Se ora, dopo aver descritto le caratteristiche che distinguono il tempo dell’Avvento
da qualsiasi altro, vogliamo penetrare nelle profondità del mistero che occupa
la Chiesa in questa epoca, troviamo che questo mistero della Venuta di Gesù
Cristo è insieme uno e triplice. É uno, perché è
lo stesso Figlio di Dio che viene; triplice, perché egli viene in tre
tempi e in tre modi.

Nella prima venuta, dice San Bernardo nel quinto sermone sull’Avvento, egli
viene nella carne e nell’infermità; nella seconda viene in spirito
e in potenza; nella terza, viene in gloria e in maestà; e la seconda
Venuta è il mezzo attraverso il quale si passa dalla prima alla terza.

Ecco il mistero dell’Avvento. Ascoltiamo ora la spiegazione che ci dà Pietro
di Blois di questa triplice visita di Cristo, nel suo terzo sermone de Adventu:
Vi sono tre Venute del Signore, la prima nella carne, la seconda nell’anima,
la terza con il giudizio. La prima ebbe luogo nel cuore della notte, secondo le parole
del Vangelo: Nel cuore della notte si fece sentire un grido: Ecco lo Sposo! E
questa prima Venuta è già passata, poiché Cristo è stato
visto sulla terra ed ha conversato con gli uomini. Noi ci troviamo ora nella seconda
Venuta: purché, tuttavia, siamo tali che egli possa venire a noi; poiché
egli ha detto che se lo amiamo, verrà a noi e stabilirà in noi la
sua dimora.
Questa seconda Venuta è dunque per noi una cosa mista d’incertezza;
poiché chi altro fuorché lo Spirito di Dio conosce coloro che sono
di Dio? Coloro che il desiderio delle cose celesti trasporta fuor di se stessi, sanno
bene quando egli viene; tuttavia, non sanno nè donde viene nè dove
va.
Quanto alla terza Venuta, è certissimo che avrà luogo; incertissimo
il quando: poiché non vi é niente di più certo che la morte,
e niente di più incerto che il giorno della morte. Al momento in cui si
parlerà di pace e di sicurezza,
dice il Savio, allora la morte apparirà
d’improvviso, come le doglie del parto nel seno della donna, e nessuno potrà
fuggire.
La prima Venuta fu dunque umile e nascosta, la seconda è misteriosa
e piena d’amore, la terza sarà risplendente e terribile. Nella sua prima Venuta,
Cristo è stato giudicato dagli uomini con ingiustizia; nella seconda, ci rende
giusti mediante la sua grazia; nella terza, giudicherà tutte le cose con equità:
Agnello nella prima Venuta, Leone nell’Ultima, Amico pieno di tenerezza nella seconda
(De Adventu, Sermo III).



La prima
Venuta.




Stando cosi le cose, la santa Chiesa, durante l’Avvento, aspetta con lacrime
ed impazienza la visita di Cristo Redentore nella sua prima Venuta. Essa prende per
questo le ardenti espressioni dei Profeti, alle quali aggiunge le proprie suppliche.
Sulla bocca della Chiesa, i sospiri rivolti al Messia non sono una semplice commemorazione
dei desideri dell’antico popolo: hanno un valore reale, un influsso efficace sul
grande atto della munificenza del Padre celeste che ci ha dato il suo Figlio. Fin
dall’eternità, le preghiere dell’antico popolo e quelle della Chiesa cristiana
unite insieme sono state presenti all’orecchio di Dio; e appunto dopo averle tutte
ascoltate ed esaudite, egli ha mandato a suo tempo sulla terra quella rugiada benedetta
che ha fatto germogliare il Salvatore.



La seconda Venuta.



La Chiesa aspira anche verso la seconda Venuta, sèguito della prima, e
che consiste, come abbiamo visto, nella visita che lo Sposo fa alla Sposa. Ogni anno
questa Venuta ha luogo nella festa di Natale e una nuova nascita del Figlio di
Dio
libera la società dei Fedeli da quel giogo di servitù che il
nemico vorrebbe far pesare su di essa (Colletta del giorno di Natale). La
Chiesa, durante l’Avvento, chiede di essere visitata da colui che è il suo
Capo e il suo Sposo, visitata nella sua gerarchia, nelle sue membra, di cui le une
sono vive e le altre morte, ma possono rivivere; infine in quelli che non fanno parte
della sua comunione, e negli infedeli stessi, affinché si convertano alla
vera luce che splende anche per loro. Le espressioni della Liturgia che la Chiesa
usa per sollecitare questa amorosa e invisibile

Venuta, sono le stesse con le quali sollecita la venuta del Redentore nella carne;
poiché, fatte le debite proporzioni, la situazione è la medesima. Invano
il Figlio di Dio sarebbe venuto venti secoli or sono, a visitare e a salvare il genere
umano, se non ritornasse, per ciascuno di noi e in ogni momento della nostra esistenza,
ad apportare e fomentare quella vita soprannaturale il cui principio viene solo da
lui e dal suo divino Spirito.



La terza Venuta.



Ma questa visita annuale dello Sposo non soddisfa la Chiesa; essa aspira alla
terza Venuta che consumerà ogni cosa, aprendo le porte dell’eternità.
Ha raccolto queste ultime parole dello Sposo: Ecco che io vengo presto (Ap
22,20) e dice con ardore: Vieni, Signore Gesù! (ibid.). Ha fretta
di essere liberata dalle condizioni del tempo; sospira il compimento del numero degli
eletti, per veder apparire sulle nubi del cielo il segno del suo liberatore e del
suo Sposo. Fino a questo punto, dunque, si estende il significato dei voti che essa
ha deposti nella Liturgia dell’Avvento; questa è la spiegazione delle parole
del discepolo prediletto nella sua profezia: Ecco le nozze dell’Agnello, e la
Sposa si è preparata
(Ap 19,7).

Ma il giorno dell’arrivo dello Sposo sarà nello stesso tempo un giorno terribile.
La santa Chiesa spesso freme al solo pensiero delle formidabili assise dinanzi alle
quali compariranno tutti gli uomini. Chiama quel giorno un giorno d’ira, del
quale Davide e la Sibilla hanno detto che deve ridurre il mondo in cenere; un giorno
di lacrime e di spavento. Non già che essa tema per se stessa, poiché
quel giorno fisserà per sempre sul suo capo la corona della Sposa; ma il suo
cuore di Madre soffre pensando che allora parecchi dei suoi figli saranno alla sinistra
del Giudice, e che, privati di ogni contatto con gli eletti, saranno gettati con
le mani e i piedi legati in quelle tenebre in cui non vi sarà che pianto e
stridor di denti. Ecco perché nella Liturgia dell’Avvento, la Chiesa si ferma
cosi spesso a mostrare la Venuta di Cristo come una Venuta terribile, e sceglie nelle
Scritture i passi più adatti a ridestare un salutare spavento nella anima
di quelli tra i suoi figli che dormirebbero il sonno di peccato.



Le forme liturgiche.



Questo è dunque il triplice mistero dell’Avvento. Ora, le forme liturgiche
di cui è rivestito, sono di due specie: le une consistono nelle preghiere,
letture, e altre formule, dove le parole stesse sono usate per rendere i sentimenti
che abbiamo esposti; le altre sono riti esteriori adatti a questo tempo sacro e destinati
a completare ciò che esprimono i canti e le parole.

Gli occhi del popolo si accorgono della tristezza che preoccupa il cuore della santa
Chiesa dal colore di penitenza di cui si copre. Fuorché nelle feste dei Santi,
non veste più che di viola; il Diacono depone la Dalmatica, e il Suddiacono
la Tunicella. Un tempo anzi, si usava in parecchi luoghi il colore nero, come ad
esempio a Tours, a Le Mans, ecc. Questo lutto della Chiesa mette in rilievo con quanta
verità essa si unisca ai veri Israeliti che aspettavano il Messia sotto la
cenere e il cilicio, e piangevano la gloria di Sion scomparsa, e lo scettro
tolto a Giuda, fino a quando non venga colui che deve essere mandato, e che forma
l’attesa delle genti (Gen 49,10). Esso significa ancora le opere di
penitenza con le quali si prepara alla seconda Venuta piena di dolcezza e di mistero
che ha luogo nei cuori nella misura in cui si mostrano sensibili alla tenerezza che
testimonia loro quell’Ospite divino che ha detto: Io trovo la mia delizia nello
stare con i figli degli uomini
(Prov. 8, 31). Essa geme sulla montagna, come
la tortora, fino a quando non si faccia sentire la voce che dirà: Vieni
dal Libano, o mia Sposa, vieni: sarai incoronata perché tu hai ferito il mio
cuore (Ct. 5, 8).

Durante l’Avvento, la Chiesa sospende anche, salvo nelle Feste dei Santi, I’uso dell’Inno
Angelico: Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonú voluntatis. Questo
canto meraviglioso si fece sentire solo a Betlemme sulla mangiatoia del celeste Bambino;
la lingua degli Angeli non è dunque ancora sciolta; la Vergine non ha deposto
il suo divino fardello; non è tempo di cantare, non è ancora esatto
dire: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di
buona volontà!

Cosi pure, al termine del Sacrificio, la voce del Diacono non fa più sentire
le parole solenni che congedano l’assemblea dei fedeli: Ite, Missa est. Le
sostituisce con la semplice esclamazione: Benedicamus Domino! quasi che la
Chiesa temesse di interrompere le preghiere del popolo, che non sono mai troppo prolungate
in questi giorni d’attesa.


PRATICA
DELL’AVVENTO


Vigilanza.



Se la santa Chiesa, madre nostra, passa il tempo dell’Avvento in questa solenne
preparazione alla triplice Venuta di Gesù Cristo; se, sull’esempio delle vergini
savie, tiene la lampada accesa per l’arrivo dello Sposo, noi che siamo le sue membra
e i suoi figli, dobbiamo partecipare ai sentimenti che la animano, e prendere per
noi quell’avvertimento del Salvatore: Siano i vostri lombi precinti come quelli
dei viandanti; nelle vostre mani brillino fiaccole accese; e siate simili a servi
che aspettano il loro padrone (Lc 12, 35). Infatti, i destini della
Chiesa sono anche i nostri; ciascuna delle anime è, da parte di Dio, l’oggetto
d’una misericordia e d’un’attenzione simili a quelle che egli usa nei riguardi della
Chiesa stessa. Essa è il tempio di Dio perché composta di pietre vive;
è la Sposa perché è formata da tutte le anime che sono chiamate
all’eterna unione. Se è scritto che il Salvatore ha acquistato la Chiesa
con il suo sangue
(At 20, 28), ognuno di noi può dire parlando
di se stesso, come san Paolo: Cristo mi ha amato e si è sacrificato per
me
(Gal. 2, 20). Essendo dunque uguali i destini, dobbiamo sforzarci, durante
l’Avvento, di entrare nei sentimenti di preparazione di cui abbiamo visto ripiena
la Chiesa.



Preghiera.



E innanzitutto, è per noi un dovere di unirci ai Santi dell’Antica Legge
per implorare il Messia, e soddisfare così quel debito di tutto il genere
umano verso la divina misericordia. Onde animarci a compiere questo dovere, trasportiamoci
con il pensiero nel corso di quelle migliaia di anni rappresentate dalle quattro
settimane dell’Avvento, e pensiamo a quelle tenebre, a quei delitti di ogni genere
in mezzo ai quali si agitava il vecchio mondo. Che il nostro cuore senta viva la
riconoscenza che deve a Colui che ha salvato la sua creatura dalla morte, e che è
disceso per vedere più da vicino e condividere tutte le nostre miserie, fuorché
il peccato! Che esso gridi, con l’accento dell’angoscia e della fiducia, verso Colui
che volle salvare l’opera delle sue mani, ma che vuole pure che l’uomo chieda ed
implori la propria salvezza! Che i nostri desideri e la nostra speranza si effondano
dunque in quelle ardenti suppliche degli antichi Profeti che la Chiesa ci mette sulle
labbra in questi giorni di attesa. Disponiamo i nostri cuori, nella più larga
misura possibile, ai sentimenti che essi esprimono.



Conversione.



Compiuto questo primo dovere, penseremo alla Venuta che il Salvatore vuol fare
nel nostro cuore: Venuta, come abbiamo visto piena di dolcezza e di mistero, e che
è la conseguenza della prima, poiché il buon Pastore non viene soltanto
a visitare il suo gregge in generale, ma estende la sua sollecitudine a ciascuna
delle pecore anche alla centesima che si era smarrita. Ora, per ben comprendere tutto
questo ineffabile mistero, bisogna ricordare che, siccome non possiamo essere accetti
al nostro Padre celeste se non in quanto egli vede in noi Gesù Cristo, suo
Figlio, questo Salvatore pieno di bontà si degna di venire in ciascuno di
noi, e, se noi lo vogliamo, di trasformarci in lui, di modo che non viviamo più
della vita nostra ma della sua. Il fine di tutto il Cristianesimo è appunto
di divinizzare l’uomo attraverso Gesù Cristo: questo è il compito sublime
imposto alla Chiesa. Essa dice ai Fedeli con san Paolo: Voi siete i miei figlioletti;
poiché io vi do una seconda nascita, affinché si formi in voi Gesù
Cristo (Gal 4,19).

Ma, come nella sua apparizione in questo mondo il divino Salvatore si è dapprincipio
mostrato sotto le sembianze d’un bambino prima di giungere alla pienezza dell’età
perfetta che era necessaria porche nulla mancasse al suo sacrificio, egli intende
prendere in noi gli stessi sviluppi. Ora è nella festa di Natale che si compiace
di nascere nelle anime, e diffonde per tutta la sua Chiesa una grazia di Nascita
alla quale, purtroppo, non tutti sono fedeli.

Ecco infatti la situazione delle anime all’avvicinarsi di quella ineffabile solennità.
Alcune, ed è il numero minore, vivono pienamente della vita del Signore Gesù
che e in esse, ed aspirano in ogni istante all’aumento di tale vita. Altre, in numero
maggiore, sono vive, sì, per la presenza del Cristo, ma sono malate e languenti,
non desiderando il progresso della vita divina, perché la loro carità
si è raffreddata (Ap 2, 4). Il resto degli uomini non gode di questa
vita, e si trova nella morte; poiché Cristo ha detto: Io sono la Vita
(Gv 14,6).

Nei giorni dell’Avvento, il Salvatore va a bussare alla porta di tutte le anime,
in una maniera ora sensibile, ora nascosta. Viene a chiedere se hanno posto per lui,
affinché possa nascere in loro. Ma, becche la casa che egli chiede sia sua,
poiché lui l’ha costruita e la conserva, si è lamentato che i suoi
non l’hanno voluto ricevere (Gv 1,11), almeno il numero maggiore tra essi.
Quanto a quelli che l’hanno ricevuto, ha concesso loro di diventare figli di
Dio, e non più figli della carne e del sangue (Gv 1, 12-13).

Preparatevi dunque a vederlo nascere in voi più bello, più radioso,
più forte di come l’avete conosciuto, o anime fedeli che lo custodite in voi
stesse come un prezioso deposito, e che da lungo tempo, non avete altra vita che
la sua, altro cuore che il suo, altre opere che le sue. Sappiate cogliere, nelle
parole della sacra Liturgia, quelle che fanno per il vostro amore, e che commuoveranno
il cuore dello Sposo.

Aprite le porte per riceverlo nella sua nuova venuta, voi che già l’avevate
in voi, ma senza conoscerlo; che lo possedevate, ma senza gustarlo. Egli torna con
una nuova tenerezza; ha dimenticato il vostro rifiuto; vuole rinnovare tutte le
cose
(Ap 21,5). Fate posto al celeste Bambino, che vuol crescere in voi.
Il momento è vicino: che il vostro cuore dunque si desti; perché non
vi abbia sorpreso il sonno quando egli passerà, vegliate e pregate. Le parole
della Liturgia sono anche per voi, perché esse parlano di tenebre che Dio
solo può dissipare, di piaghe che solo la sua bontà può risanare,
di languori che cesseranno solo per sua virtù.

E voi, cristiani, per cui la buona novella è come se non ci fosse perché
i vostri cuori sono morti per il peccato, sia che questa morte vi tenga stretti nei
suoi lacci da lunghi anni, sia che la ferita che l’ha causata sia stata inferta più
di recente alla vostra anima, ecco venire colui che è la vita. Perché
dunque vorreste morire? Egli non vuole la morte del peccatore, ma vuole che si converta
e viva (Ez 18, 31). La grande Festa della sua Nascita sarà un
giorno di misericordia universale per tutti quelli che vorranno lasciarlo entrare.
Questi ricominceranno a vivere con lui; ogni altra vita precedente sarà abolita,
e sovrabbonderà la grazia là dove prima aveva abbondato l’iniquità
(Rom 5, 29).

E se la tenerezza e la dolcezza di questa misteriosa Venuta non vi attraggono, perché
il vostro cuore non potrebbe ancora comprendere la fiducia o perché avendo
per lungo tempo ingoiato l’iniquità come l’acqua, non sapete che cosa significhi
aspirare mediante l’amore alle carezze d’un padre di cui avevate disprezzato gli
inviti, pensate alla Venuta piena di terrore che seguirà quella che si compie
silenziosamente nelle anime. Sentite lo scricchiolio dell’universo all’avvicinarsi
del terribile Giudice; osservate i cieli che fuggono davanti a lui, e si aprono
come un libro alla sua vista
(Ap 6,41); sostenete, se ne siete capaci,
il suo aspetto, i suoi sguardi fiammeggianti; guardate senza fremere la spada a doppio
taglio che esce dalla sua bocca (Ap 1,16); ascoltate infine quelle grida di
lamento: o monti cadete su di noi; rocce, copriteci, toglieteci alla sua vista
terrificante (Lc 23, 30)! Sono le grida che faranno risuonare invano le anime
sventurate che non hanno saputo conoscere il tempo della visita (Lc 19,
44). Per aver chiuso il loro cuore a quell’Uomo-Dio che pianse su di esse ñ tanto
le amava! ñ scenderanno vive nel fuoco eterno la cui fiamma è cosi bruciante
che divora il germe della terra e le fondamenta più nascoste dei monti
(Dt 32,22). Ivi si sente il verme eterno d’un rimorso che non muore mai
(Mc 9, 43).

Coloro dunque, i quali non si sentono commossi dalla dolce notizia dell’avvicinarsi
del celeste Medico, del generoso Pastore che dà la vita per le sue pecorelle,
meditino durante l’Avvento sul terribile eppure incontestabile mistero della Redenzione,
resa inutile dal rifiuto che l’uomo oppone troppo spesso di associarsi alla propria
salvezza. Misurino le loro forze, e se disprezzano il bambino che sta per
nascere (Is 9,6), pensino se saranno in grado di lottare con il Dio forte,
il giorno in cui verrà non più a salvare, ma a giudicare. Per conoscerlo
più da vicino, questo Giudice davanti al quale tutto deve tremare, interroghino
la sacra Liturgia: qui impareranno a temerlo.

Del resto, questo timore non è soltanto proprio dei peccatori; è un
sentimento che ogni cristiano deve provare. Il timore, se è da solo, rende
schiavi; se compensa l’amore, conviene al figlio colpevole, che cerca il perdono
del padre adirato; anche quando l’amore lo spinge fuori (1 Gv 4,18),
esso ritorna talora come un subitaneo lampo, e il cuore fedele ne è felicemente
scosso fin nelle fondamenta. Sente allora ridestarsi il ricordo della sua miseria
e della misericordia gratuita dello Sposo. Nessuno deve dunque disperarsi, in questo
sacro tempo dell’Avvento, dall’associarsi ai pii timori della Chiesa che, per quanto
amata, dice spesso nei suoi Uffici: Trafiggi la mia carne, o Signore, con il pungolo
del tuo timore!
Ma questa parte della Liturgia sarà utile soprattutto
a coloro che cominciano a consacrarsi al servizio di Dio.

Da tutto ciò, si deve concludere che l’Avvento è un tempo consacrato
soprattutto agli esercizi della Vita Purgativa; come indicano quelle parole di san
Giovanni Battista, che la Chiesa ci ripete così spesso in questo sacro periodo:
Preparate le vie del Signore! Ciascuno dunque operi seriamente a spianare
il sentiero attraverso il quale Gesù entrerà nella sua anima. I giusti,
secondo la dottrina dell’apostolo dimentichino ciò che hanno fatto nel
passato
(Filip 3,13), e attendano a nuovi impegni. I peccatori cerchino
di rompere subito i legami che li tengono stretti, di lasciare le abitudini che li
fanno prigionieri castighino la carne, e diano inizio al duro lavoro di sottometterla
allo spirito; preghino soprattutto con la Chiesa; e quando il Signore verrà,
potranno sperare che non rimarrà sulla soglia della porta, ma entrerà,
perché egli ha detto: Ecco che io sono alla porta e busso; se qualcuno
sente la mia voce e mi apre, entrerò da lui (Ap 3,20).





NOTE




1 – Dal latino Adventus, che significa Venuta.

2 –
La proclamazione del dogma della Maternità divina,
avvenuta ad Efeso nel 431, diede vivo impulso al culto mariano e una grande celebrità
alla commemorazione della Natività del Signore. È infatti poco dopo
il Concilio di Nicea (325) che la Chiesa romana istituì la festa di Natale
e la fissò al 25 dicembre, ma è dall’Oriente che attinse i primi elementi
dell’Avvento.

3 –
Secondo i più recenti lavori dei Liturgisti, si possono
segnalare testimonianze ancora più antiche di questa. Cosi un frammento di
un testo di sant’Ilario, quindi anteriore al 366 dice che La Chiesa si dispone
al ritorno annuale della venuta del Salvatore. con un tempo misterioso di tre settimane.
Il Concilio di Saragozza, da parte sua, fin dal 380 impone ai fedeli di assistere
agli uffici dal 17 dicembre al 6 gennaio. In questo periodo di ventuno giorni, la
parte che precede il Natale formava un quadro ben indicato per la preparazione di
questa festa e costituiva una specie di Avvento. Ma siccome si era introdotto l’uso,
nel IV secolo, di considerare l’Epifania e il Natale stesso come festa battesimale,
potrebbe qui trattarsi solo d’una preparazione al battesimo e non d’una liturgia
dell’Avvento.

In Oriente. nel V secolo. A Ravenna, nelle Gallie e nella Spagna, una festa della
Vergine era celebrata la domenica prima di Natale, e talvolta anche una festa del
Precursore la domenica precedente. Si avrebbe qui ancora una breve preparazione al
Natale, un Avvento primitivo, a meno che non si tratti che d’un semplice ampliamento
della festa di Natale. Infine, il Rotolo di Ravenna, di cui sarebbe autore san Pier
Crisologo (433-450). possiede 40 orazioni che possono essere considerate come preparatorie
al Natale.

4 –
Bisogna notare anche che questo digiuno non era proprio del
Tempo dell’Avvento; poiché, tra la Pentecoste e la metà di febbraio,
i fedeli digiunavano due volte la settimana e i monaci tre volte. Il carattere penitenziale
de]l’Avvento derivò a poco a poco, a causa dell’analogia che si presentava
naturalmente tra questa stagione e la Quaresima.

5 –
Forse il digiuno esisteva già in Spagna a quell’epoca.
Una lettera del 400 circa, ci parla di tre settimane che pongono fine all’anno e
ne cominciano uno nuovo, comprendenti la festa di Natale e quella dell’Epifania,
durante le quali conviene darsi al ritiro e alle pratiche dell’ascetismo: la preghiera
e l’astinenza (Rev. Bén. 1928 p. 289). Le Chiese d’Oriente che ricevettero
dall’Occidente la celebrazione della Natività di Nostro Signore, adottarono
ugualmente, nell’VIII secolo, il digiuno dell’Avvento.

6 –
Il Concilio di Avranches (1172) prescrive il digiuno e l’astinenza
a tutti coloro che lo potranno, in particolare ai chierici e ai soldati.

7 –
Si può oggi stabilire in una maniera molto più
dettagliata lo sviluppo della Liturgia dell’Avvento. Mentre il Sacramentario leoniano
(fine del VI secolo) non porta aleuna messa, il che sembra indicare che a quell’epoca
Roma ignorava ancora l’Avvento, il Sacramentario gelasiano antico (fine del VI e
inizio del VII secolo) contiene cinque messe De Adventu Domini. Il
Sacramentario gelasiano d’Angoulême e gli altri Sacramentari dell’VIII secolo
contengono essi pure cinque messe, o in più le tre messe delle Quattro Tempora
di dicembre. Infine, nel Sacramentario gregoriano, troviamo delle messe per quattro
domeniche e per le tre ferie delle Quattro Tempora. Porse anche la messa dell’ultima
domenica dopo la Pentecoste era considerata come messa de Adventu. Aggiungiamo
infine che san Benedetto (Ü dopo il 546) ha scritto, nella sua Regola, un capitolo
sulla Quaresima, che parla del Tempo pasquale ma non menziona l’Avvento.

8 –
Segnaliamo che il Sacramentario mozarabico: Liber
mozarabicus saeramentorum, (del IX secolo, ma che rappresenta la liturgia del
VII), contiene cinque domeniche, e infine che i Lezionari gallicani portano sei domeniche
dell’Avvento.




*testo
tratto da: Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, vol. I Avvento
e Natale
, Alba 1956, pp. 27-43.