Ragioni che ci obbligano alla carità ed unione coi fratelli

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO III. Di alcune ragioni cavate dalla sacra Scrittura le quali ci obbligano alla carità ed unione coi nostri fratelli.
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1. Dio ci ha amato e noi dobbiamo amarci l’un l’altro.
2. Quanto eccellente la carità fraterna.
3. Vanno insieme amar di Dio e del prossimo.
4. E con amare il prossimo dimostri coi fatti d’amar Dio.
5. Quanto fai al prossimo, lo fai a Gesti Cristo.


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   1. Dopo aver dichiarato il glorioso Apostolo ed Evangelista S. Giovanni l’amor grande che Dio ci portò e ci mostrò in darci il suo unigenito Figliuolo, viene a inferire e a concludere che: «Se Dio ci ha amati in tal guisa; noi pure dobbiamo amarci l’un l’altro» (1 Io. 4, 11). Potrebbe qui alcuno dubitare e domandare, e con ragione, come dall’aver Dio amato tanto noi altri ne inferisce e conclude l’Apostolo l’amore del prossimo; perché pare che piuttosto ne dovrebbe inferire e concludere che amassimo dunque Dio, poiché egli ha amato tanto noi. A questa dimanda vi sono molte buone risposte.    2. La prima è, che l’Apostolo fece questo per dimostrarci l’eccellenza dell’amore del prossimo e quanto Dio lo stima. Siccome ancora dice il sacro Vangelo che un dottor della legge dimandò a Cristo   nostro Redentore: «Maestro, qual è il gran comandamento della legge?» e Gesù gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutto il tuo spirito. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Matth. 22, 30 segg.). Signore, non ti è dimandato se non del primo comandamento; a che effetto parli del secondo? Tutto è per dimostrarci l’eccellenza dell’amor del prossimo e quanto Iddio lo stima.

   3. La seconda risposta è, perché l’amor di Dio e l’amor del prossimo sono come due anelli concatenati e inanellati insieme in modo che non se ne può levare uno senza cavarne l’altro: congiunti hanno da stare. Così l’amor di Dio e l’amor del prossimo sempre vanno congiunti; non può star l’uno senza l’altro: perché con uno stesso amore di carità amiamo Dio e il prossimo per amor di Dio. E così non possiamo amare Dio senza amare il prossimo, e non possiamo amare il prossimo con amore di carità senza amare lo stesso Dio, perché la ragione d’amare il prossimo è Dio. E così per dimostrare l’Apostolo che amando il prossimo, amiamo anche Dio, soggiunse subito: «Se ci amiamo l’un l’altro, Dio abita in noi, e la carità di lui è in noi perfetta» (I Io, 4, 12). E per dimostrarci che nell’amore di Dio si rinchiude ancora l’amore dei prossimi, disse: «Questo comandamento ci è stato dato da Dio: che chi ama Dio, ami anche il proprio fratello» (Loc. cit. 4, 21).
   Si dimostra e spicca grandemente l’amore che Dio porta agli uomini, e quanto vuole e stima che ancora noi altri lo portiamo loro, in questo, che non possiamo amar Dio senza amare il prossimo, né possiamo offendere il prossimo senza offender Dio. Se un re amasse tanto un suo servitore, che si mettesse sempre dinanzi a lui, quando lo volessero offendere, o uccidere, di maniera che non potessero toccare, né offendere il servitore, né colpirlo senza offendere e ferire prima il re; non sarebbe questo estremo amore? Or questo fa Dio cogli uomini: si mette sempre dinanzi a loro, sicché tu non possa offendere il prossimo senza offendere lui; acciocché in questa maniera ti guardi d’offendere il tuo fratello per non offendere Iddio. «Chi tocca voi, tocca la pupilla dell’occhio mio» (Zach. 2, 8), dice il Signore; di maniera che offendendo il prossimo offendiamo Dio, e amando il prossimo amiamo Dio, e amando Dio
amiamo il prossimo.
   Andando dunque sempre congiunti amor di Dio e amor del prossimo, e inchiudendosi l’uno nell’altro, né potendo si dividere né separare, poteva bensì S. Giovanni inferire e concludere qualsivoglia dei due amori; perché in uno esigeva da noi l’altro; ma più tosto volle inferirne e concluderne espressamente l’amor del prossimo, e non l’amor di Dio; perché il debito d’amar Dio è principio per sé noto, da sé manifesto e conosciuto, e i princìpi si suppongono e non si provano, ma sì bene le conclusioni. E così egli trapassò alla conclusione dell’amor del prossimo, e la pose espressa, perché forse qualcuno non sarebbe riuscito a cavarla.

   4. La terza risposta è; che S. Giovanni non parla in questa Epistola dell’amor solo e sterile, ma dell’amor fruttifero e utile, accompagnato dai benefici e dalle buone opere. E così dice: «Figliuoli miei, non ci amiamo a parole valendoci della lingua, ma colle opere, valendoci del cuore» (I IO. 3, 18), perché solo questo è vero amore. E ciò per dimostrarci che Dio vuole queste buone opere per i nostri prossimi e fratelli, conforme a quelle parole d’Osea, riferite nel sacro Vangelo: «Io amo meglio la misericordia che il sacrificio» (Proph. Osee, 6, 6). Perciò ne dedusse e inferì espressamente l’amor del prossimo; in quella guisa che un creditore assente scrive talvolta una lettera al suo debitore, dicendogli in essa: quello che dovete dare a me avrò caro che lo diate al tale, che è costì presente, il quale è tutto cosa mia; e quanto darete a lui, io lo terrò per ricevuto da me. Nello stesso modo, dice S. Giovanni, in nome di Dio nostro creditore, a cui siamo debitori di tanto amore e di tanti benefici, dobbiamo noi fare sborso del nostro amore al prossimo. «Se Dio ci ha amati in tal guisa, noi pure dobbiamo amarci l’un l’altro». Poiché Dio ci ha amato tanto e gli siamo debitori di tanto, in sconto di questo amiamo noi i nostri prossimi e fratelli, perché a favore loro trasferisce Dio il debito che noi abbiamo con lui. La carità e i benefici che fate al vostro fratello li fate a Dio, ed egli li riceve come fatti a se stesso. «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto qualche cosa per uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatta a me» (Matth. 25, 40), dice lo stesso Cristo.
 
   5. E questo. è un altro motivo, e molto grande, per amare e far bene ai nostri fratelli; perché in questa maniera seguirà che, sebbene mentre riguardiamo essi ci pare di non esser debitori di cosa alcuna a persona che sia nondimeno se riguarderemo Dio e il gran debito che abbiamo con lui, e che egli ha ceduta e trasferita la sua ragione e il suo diritto nei prossimi, ci riconosceremo per debitori e servitori di essi. Onde dice molto bene il B. Giovanni d’Avila: Quando la tua carne ti dirà: che obbligo ho io a colui per fargli bene? e come lo potrò amare, avendo egli fatto male a me? rispondile che forse le daresti orecchio se il motivo del tuo amore fosse il prossimo; ma poiché il motivo è Cristo, il quale riceve il ben fatto e il perdono dato al prossimo come se fosse fatto e dato a lui stesso; perché ha da mettere impedimento all’amore e ai benefici da farsi al prossimo l’esser egli chi che siasi, o l’avermi egli fatto qualsivoglia male, dappoichè non fo conto di lui, ma di Cristo? (IO. AVIL. Audi filia, c. 96)
   Molto bene adunque inferisce l’Apostolo l’amor del prossimo dall’amor grande che Dio ha portato a noi altri: e per muoverci e persuaderci maggiormente a quest’amore, nella premessa dalla quale cavò questa conclusione, aggiunse il mistero dell’Incarnazione del Figliuolo di Dio: «Perché mandò Dio il suo Figlio unigenito al mondo» (I Io. 4, 9); acciocché ci ricordiamo é consideriamo che Iddio s’imparentò con noi uomini, e per questo riguardiamo gli altri nomini come parenti di Dio e fratelli di Gesù Cristo, e li amiamo come tali.