Procreazione Responsabile (cap. V)


«Procreazione
Responsabile»

di Lino Ciccone












5.
UNA STRADA CHE PORTA IN ALTO

Le difficoltà

La dottrina della
Chiesa sulla procreazione responsabile è dunque chiara. Ciò non significa
che sia facile viverla. Lo ha riconosciuto più volte Paolo VI. E Giovanni
Paolo II nella «Familiaris Consortio» ha affermato senza mezzi
termini: «La Chiesa si fa vicina alle molte coppie di sposi che si trovano
in difficoltà su questo importante punto della vita morale (…); sa che tanti
coniugi incontrano difficoltà non solo per la realizzazione concreta, ma anche
per la stessa comprensione dei valori insiti nella norma morale» (n. 33).



Viene dunque riconosciuta come estesa («tanti coniugi») anche la difficoltà
a capire i valori
che sono in gioco, e che perciò fondano e giustificano
la norma morale. E la cosa si spiega. Si è visto come la dottrina della Chiesa


parta da ben precise concezioni riguardanti l’uomo, la persona, l’amore, la sessualità
ecc., molto distanti, inconciliabili con quelle diffuse, e continuamente inculcate,
dalla cultura dominante. Chi ha assorbito (anche senza accorgersene) queste concezioni,
non può che trovare logica, ragionevole, la scelta della contraccezione, mentre
la proposta della Chiesa gli appare come un’arbitraria imposizione.

Le cose poi vanno
in modo analogo sul piano della vita concreta. Anche qui, una vita coniugale
all’insegna della virtù della castità, con la conseguente continenza
periodica quando occorra, non può che essere in organica connessione con tutto
uno stile generale di vita, personale e di coppia, ricco di valori morali in tutti
i campi. Mentre in una vita abitualmente guidata dall’edonismo e dal consumismo,
col criterio di godere tutti i piaceri possibili ed evitare ogni rinuncia, la norma
morale proposta dalla Chiesa appare non solo difficile, ma al di là delle
forze e possibilità umane.



Un cammino da percorrere

Che cosa si ricava
da queste constatazioni? Che molte volte, per comprendere e accogliere la dottrina
proposta dalla Chiesa è necessario percorrere un cammino. Questo cammino rimette
in questione molte cose negli sposi: idee, mentalità, abitudini di vita, in
parecchi ambiti. È una vera e propria conversione da un cristianesimo
diventato a poco a poco inautentico e di vernice, a un cristianesimo autentico e
convinto.

Il Magistero della
Chiesa è ricco di indicazioni in tal senso. Si possono raccogliere sotto una
specie di linea programmatica generale, così formulata da Giovanni Paolo II:
»Un impegno tenace e coraggioso, per creare e sostenere tutte quelle condizioni
umane»psicologiche, morali e spirituali»che sono indispensabili per comprendere
e vivere il valore e la norma morale» (FC 33).

Quali sono queste
condizioni? Non potendo elencarle tutte, ecco in sintesi le principali.

1. Reagendo alla
pressione della cultura e della mentalità dominante, acquisire corrette
e convinte concezioni
circa la persona, la vita, la sessualità, l’amore,
il matrimonio, la procreazione.

2. Conseguentemente
operare una coraggiosa revisione a fondo della scala di valori che soggiace
come criterio nelle abituali scelte di vita, personale e di coppia, e quindi assumere
uno stile di vita anch’esso contro corrente in ogni ambito.

3. All’interno
del nuovo stile di vita, particolare importanza hanno alcuni aspetti: una
solida padronanza di sé, un abituale allenamento al sacrificio, una castità
positivamente concepita come valorizzazione della sessualità e come difesa
dell’autenticità dell’amore.

4. Infine, ma
non certo come ultima cosa, una vita cristiana nutrita di preghiera, di frequenza
ai sacramenti, di carità operosa.

(Queste e altre
indicazioni vengono offerte specialmente in «Humanae Vitae»numeri
21, 22, 25, 26; »Familiaris Consortio»numeri 33 e 34).



La legge della gradualità

Ognuna di queste
indicazioni poi va vista non come punto di partenza, ma punto di arrivo di un
cammino:
lungo o breve, faticoso più o meno, a seconda della situazione
da cui parte ogni persona e ogni coppia. È questa la «legge della gradualità».
La denominazione comparve nel Sinodo 1980 sulla famiglia, ma la sostanza era già
stata esposta da Paolo VI dieci anni prima in un discorso rivolto alle Équipes
Nôtre-Dame il 4 maggio 1970.

Ecco alcune delle
principali affermazioni che si trovano nella «Familiaris Consortio».
Anzitutto un richiamo di portata generale: «L’uomo, chiamato a vivere responsabilmente
il disegno sapiente e amoroso di Dio, è un essere storico, che si costruisce
giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte; per questo egli conosce, ama
e compie il bene morale secondo tappe di crescita» (n. 34).

Il Papa applica
quindi questa specie di principio generale agli sposi: «Anche i coniugi, nell’ambito
della loro vita morale, sono chiamati a un incessante cammino, sostenuto dal desiderio
sincero e operoso di conoscere sempre meglio i valori che la legge divina custodisce
e promuove, e dalla volontà retta e generosa di incarnarli nelle loro scelte
concrete» (ivi).

Sono affermazioni
da soppesare con seria attenzione, per coglierne tutta la portata pratica. Emerge
l’indicazione, esigente e rasserenante, per ogni coppia di sposi, di porre in
atto con costanza tutte le loro forze e capacità concrete,
per procedere
verso la piena attuazione nella loro vita della dottrina della Chiesa. Riuscirvi
sarà normalmente una conquista graduale, e mai garantita come definitiva.
perciò Paolo VI dice con sano realismo nell’»Humanae Vitae»: «E
se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con
umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita con abbondanza nel
sacramento della Penitenza» (n. 25).

E rivolgendosi
ai sacerdoti, addita loro l’esempio di Cristo, «intransigente con il male,
ma paziente e misericordioso verso i peccatori», e aggiunge: »Nelle loro
difficoltà, i coniugi ritrovino sempre nella parola e nel cuore del sacerdote
l’eco della voce e dell’amore del Redentore», in modo che «mai si scoraggino
a motivo della loro debolezza» (n. 29).



Famiglia: comunità debole ma perdonata

Un più
ampio sviluppo su questo punto riservò Paolo VI nel già ricordato discorso
alle Équipes Nôtre- Dame.
Ecco alcune tra le affermazioni più
illuminanti: «Il cammino degli sposi, come ogni vita umana, conosce molte tappe,
e le fasi difficili e dolorose vi hanno anche il loro posto. Ma bisogna dirlo ad
alta voce: mai l’angoscia e la paura dovrebbero trovarsi in anime di buona volontà.
(…)

«Prendere
coscienza del fatto che non si è ancora conquistata la propria libertà
interiore, che si è ancora sottoposti all’impulso delle proprie tendenze,
scoprirsi quasi incapaci di rispettare, sul momento, la legge morale in un campo
così fondamentale, suscita naturalmente una reazione di sconforto. Ma è
il momento decisivo in cui il cristiano, nel suo sgomento, invece di abbandonarsi
alla rivolta sterile e distruttiva, accede, nell’umiltà, alla scoperta sconvolgente
dell’uomo davanti a Dio, di un peccatore davanti all’amore di Cristo Salvatore. (…)

«In seno
alla grande Chiesa, questa piccola Chiesa si riconosce allora per quello che è
in verità: una comunità debole e talvolta peccatrice e penitente,
ma perdonata, in cammino verso la santità,
“nella pace di Dio che
supera ogni intelligenza” (Lettera ai Filippesi 4,7)».



Un’ultima obiezione

Per vie diverse,
e con formulazioni varie, si sostiene da alcuni l’impossibilità oggettiva
per non pochi sposi di attenersi fedelmente a quanto esige la dottrina della Chiesa
in tema di procreazione responsabile. Si afferma così, per esempio, l’esistenza
di situazioni di «conflitto di doveri», »conflitto tra valori»,
«necessità di scegliere il male minore», »imposizione indebita
di eroismo», e così via.

Ed ecco gli elementi
per una valida risposta, offerti dal Magistero. Anzitutto il ricorso a un principio
di validità generale, richiamato da Giovanni Paolo II nel discorso del 5 giugno
1987: «Come la tradizione della Chiesa ha costantemente insegnato, Dio non
comanda l’impossibile,
ma ogni comandamento comporta anche un dono di grazia
che aiuta la libertà umana a adempierlo».

Questo principio
lo aveva già implicitamente applicato al nostro campo il Concilio, affermando:
«La Chiesa ricorda che non può esserci vera contraddizione tra le leggi
divine del trasmettere la vita, e del dovere di favorire l’autentico amore coniugale»
(»Gaudium et Spes»51). È dunque semplicemente impossibile
un conflitto reale tra doveri, o tra valori.

Ma l’esclusione
di questa possibilità è stata chiaramente esplicitata dal Pontefice
nel discorso stesso ora citato:

«Parlare
di “conflitto di valori o beni” e della conseguente necessità di
compiere come una specie di “bilanciamento” degli stessi, scegliendo l’uno
e rifiutando l’altro, non è moralmente corretto, e genera solo confusione
nelle coscienze degli sposi».

Quanto, infine,
alle situazioni in cui le esigenze morali finirebbero per imporre indebitamente una
virtù eroica, è ancora Giovanni Paolo II a portare chiarezza, richiamando
verità fondamentali nel cristianesimo: «C’è una verità
centrale nell’etica cristiana (…): lo Spirito, donato ai credenti, scrive nel nostro
cuore la legge di Dio, così che questa non è solo intimata dall’esterno,
ma è anche e soprattutto donata all’interno. Ritenere che esistano situazioni
nelle quali non sia di fatto possibile agli sposi essere fedeli a tutte le
esigenze della verità dell’amore coniugale, equivale a dimenticare questo
avvenimento di grazia che caratterizza la Nuova Alleanza: la grazia dello Spirito
Santo rende possibile ciò che all’uomo lasciato alle sole sue forze non è
possibile.
È necessario pertanto sostenere gli sposi nella loro vita spirituale.
(…)

«Ogni battezzato,
quindi anche gli sposi, è chiamato alla santità, come ha insegnato
il Vaticano II (“Lumen Gentium” 39), (…) ed è vocazione
questa che può esigere anche l’eroismo. Non lo si deve dimenticare».






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