PRIME TRACCE NELL’XI E XII SECOLO

J. V.
BAINVEL

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ

LA SUA DOTTRINA E LA SUA STORIA







PARTE TERZA

SVILUPPO STORICO DELLA DEVOZIONE


CAPITOLO
PRIMO



LE ORIGINI

(continuazione)



II. – PRIME TRACCE NELL’XI E XII SECOLO


Nei secoli XI e XII si
ritrovano le prime tracce del sacro Cuore. Poco a poco esso si rivela all’anima devota
nel costato trafitto, si fa vedere ferito, come per invitare a penetrare più
avanti, a unirsi, a immedesimarsi con questo Cuore divino. Dunque a traverso la ferita
del costato la devozione è arrivata al cuore. Il culto del sacro Cuore sembra
essere uscito dalla devozione alla piaga deI costato. Il passaggio ci apparisce come
già fatto, o almeno in via di compiersi, in una parola della decima meditazione
di sant’Anselmo: «Gesù è dolce… nell’apertura del suo costato;
perché questa apertura ci ha rivelato le ricchezze della sua bontà,
la carità del suo cuore: Dulcis lesus… in apertione lateris, apertio
siquidem illa revelavit nobis divitias bonitatis suae, caritatem scilicet cordis
sui erga nos
». Questa meditazione, per altro, è veramente di sant’Anselmo?
Può darsi, ma non si può affermare. L’autore, parlando del cuore amante,
caritatem cordis, aveva in vista distintamente il cuore di carne? Si può
sostenerlo, ma non risulta evidente.

San Bernardo è più esplicito, intendo in ciò che è suo
di sicuro. perché la Vita mystica o trattato De passione di
cui parleremo ben presto, non può essergli attribuita da quegli stessi che
esitano ancora fra lui e san Bonaventura, con una probabilità più o
meno accentuata. Mi sembra, pertanto, che possiamo esserne certi almeno nel passaggio
seguente: «Il ferro ha trapassata l’anima sua, e ha avuto accesso nel suo cuore,
affinché egli sappia compatire alle mie infermità. Il segreto del cuore
è messo a nudo dalle aperture del corpo (patet arcanum cordis per foramina
corporis
); e ci sono stati scoperti questo gran sacramento di bontà e
le viscere misericordiose del nostro Dio» [1].

Con Guglielmo di Saint-Thierry (morto circa nel 1150), l’amico di san Bernardo, il
dubbio non è più possibile: «Quando io ardo dal desiderio di
avvicinarmi a Lui… è lui tutto intero che (come Tommaso) desidero
di vedere e toccare; e più ancora brama di accostarmi alla sacrosanta ferita
del suo costato, a questa porta dell’arca fatta al fianco (ostium arcae quod factum
est in latere
), non solamente per introdurvi il mio dito o la mia mano, ma per
entrar tutto intero sino al cuore stesso di Gesù, nel Santo dei Santi, nell’arca
del Testamento, sino all’urna d’oro, l’anima della nostra umanità, contenente
in sé la manna della divinità» [2]. Medesime idee e quasi medesime
espressioni troviamo altrove: «Queste ineffabili ricchezze della vostra gloria,
o Signore, erano nascoste nel cielo del vostro essere misterioso (in caelo secreti
tui
), sino a che la lancia del soldato, avendo aperto il costato del Figlio Vostro
e nostro Signore e Redentore, sulla croce, ne sgorgarono sacramenti della nostra
redenzione, in maniera che non solo mettiamo nel suo costato il dito e la mano, come
già Tommaso, ma per quella porta aperta, penetriamo tutti interi sino al vostro
cuore, o Gesù, in quella sede sicura della vostra misericordia (in apertum
ostium toti intremus usque ad cor tuum, Iesu, certam sedem misericordiae
), sino
alla vostra santa anima, piena di tutta la pienezza di Dio, piena di grazia e di
verità, piena della nostra salute e della nostra consolazione. Aprite, o Signore,
la parte laterale dell’arca vostra (ostium lateris arcae tuae), affinché
possano entrarvi tutti i vostri eletti; apriteci il vostro costato (aperi latus
corporis tui
) affinché possano entrarvi tutti quelli che desiderano conoscere
i segreti del Figlio; che essi ricevano i frutti misteriosi che ne scorrono (profluentia
ex eo sacramenta
) e il prezzo della loro redenzione [3].

Il postulatore del 1697, citava, come un’autorità di prim’ordine, un testo
di Gilberto di Holland (Inghilterra) sul cuore del nostro divin Salomone, che è
Gesù [4]. Altri hanno fatto proprio questo pensiero. Ma, a bene osservare,
non si tratta, almeno direttamente, del cuore di carne di Gesù; sono le anime
più belle, che membra più nobili di questo corpo prezioso che è
il corpo mistico, possono esserne riguardate come il cuore [5]. Nondimeno Gilbert
ha una bella pagina sul Cuore di Gesù, ispiratagli dal testo Vulnerasti
cor meum
. «La ferita del cuore indica la vivacità dell’amore. O
cuore veramente dolce, che si lascia commuovere dal nostro amore per satollarci d’amore.
Noi abbiamo un bell’amarvi, non facciamo che corrispondere al vostro amore (quantum*****que
amat, non amat, sed redamat
)… Voi non potete, sposa, sdebitarvi pienamente:
e, pertanto, egli non cessa di aumentare il suo amore. Ciò che vi ha dato,
non è stato ancor ripagato e nondimeno egli vuol riguardarsi come a voi debitore.
La vostra corrispondenza in amarlo non è già riguardata da lui come
dovutagli; ma bensì come dono gratuito. Egli si sente come provocato ad amare,
quando dice che il suo cuore è ferito. Qual meraviglia, fratelli miei! Non
stimate forse, beata l’anima che ferisce e penetra nel cuore stesso di nostro Signor
Gesù Cristo, coi suoi affetti?» [6]. Tutto questo passo è bellissimo
nella sua pia sottigliezza. E, pertanto, bisogna convenire che non si riferisce punto
al cuore di carne di Gesù, almeno direttamente. Ma la difficoltà stessa
di discernere se è l’amore che si ha di mira, o se è il cuore amante,
dimostra l’unità intima della devozione, e come l’elemento sensibile e l’elemento
spirituale si fondano in un tutto che non si sa quasi più decidere se sia
sensibile o spirituale.

È quasi lo stesso, mi sembra, di un testo di Riccardo da San Vittore (morto
nel 1173); vi si parla molto del cuor di Gesù, ma non è certo che l’autore
abbia avuto in vista il cuore di carne. «Se riguardiamo il cuore di Cristo,
troveremo che non vi ha nulla di più dolce, nulla di più benevolo…
Più che ogni altro, l’Emanuele ha avuto un cuore di carne per compatire, perché
per tutto quel che riguarda una bontà affettuosa, non vi fu mai nulla di più
tenero. Prae ceteris omnibus Emmanuel cor carneum ad compatiendum habuit, quoniam
ad omnem pietatis affectum nihil illo unquam tenerius fuit
» [7]. In un
contesto in cui fosse questione del cuore di carne o del cuore simbolico, bisognerebbe
vedervi il sacro Cuore. Ma qui è il cuore metaforico che si ha in vista, ed
è nel senso metaforico che bisogna intendere la parola cor carneum.
Senza dubbio, vi ha gran relazione fra il cuore metaforico e il cuore simbolico;
ma, bisogna pur riconoscerlo, se è qui presentato l’intimo di Gesù,
la parola cuore ha la forza di una mozione, non di una cosa simbolo di un’altra cosa.
Quando la devozione sarà matura, potremo passar sopra queste distinzioni troppo
sottili. Adesso che studiamo curiosamente il momento di questa maturazione, dobbiamo
riguardar la questione più da vicino.

Col beato Guerric d’Igny (morto circa nel 1160), il pio discepolo di san Bernardo,
ci ritroviamo certamente dinanzi al cuore di carne. «Benedetto sia Colui che,
per darmi modo di fare il mio nido nel foro della pietra, si è lasciato trapassare
i piedi, le mani e il costato; che mi si è aperto tutto intiero affinché
io entri nel luogo del tabernacolo ammirabile e trovi protezione nel segreto della
sua tenda. Questi fori aperti da tante ferite, offrono il perdono ai colpevoli e
inondano di grazia i giusti… Correte a lui… e non solamente a lui ma in lui;
entrate nei fori della pietra… nascondetevi nelle sue mani trafitte, nel suo costato
aperto, perché che cosa altro è la ferita del costato di Cristo, se
non che la porta del fianco dell’arca? Buono e pieno di misericordia, egli ha aperto
il suo costato, affinché il sangue della sua ferita ti vivifichi, e il calore
del suo corpo ti riscaldi, e il soffio del suo cuore ti aspiri, per così dire,
aprendoti libero un passaggio (spiritus cordis quasi patenti et libero meatu aspiret)».
Forse Guerric fa un po’ di confusione fra l’azione del cuore e quella del polmone.
Ma il cuore vi è indicato e come simbolo d’amore. Vi è indicato come
aperto dalla ferita, in stretto rapporto con le altre piaghe.

Così si riuniscono, a poco a poco, i diversi elementi che costituiscono la
devozione al cuore di Gesù, con un passaggio insensibile dalla ferita del
costato alla ferita del cuore, dall’amore che ferisce il cuore, al cuore ferito che
ama. Perché questo passaggio si effettuasse, i testi del libro dell’amore,
la Cantica (vulnerasti cor meum; in foraminibus petrae, in caverna maceriae)
hanno riscontro con quelli del discepolo dell’amore (aperuit latus eius);
e il ricordo dell’arca antica, con la sua porta al fianco (ostium in latere ejus)
s’intreccia con quello dell’arca dell’alleanza ove Dio riposava nel fondo del Santuario
del Santo dei Santi; e s’intreccia pur, qualche volta, a quello di Mosè che
fa scaturir con la sua verga, l’acqua dalla roccia. Così, sempre più
arricchendosi, è venuto a fondersi col simbolismo che i Padri avevano intravisto,
sino dai primi secoli, nel sangue ed acqua sgorgati dal costato aperto di Gesù;
quest’acqua e questo sangue, figura dei due principali sacramenti, intorno ai quali
si raggruppano tutti gli altri, il Battesimo e l’Eucaristia, hanno ricordato le acque
vive della grazia nascoste «nelle sorgenti del Salvatore», sgorgate dalla
piaga del costato; hanno rappresentato la Chiesa uscente da questo costato aperto,
come Eva era stata tratta, altra volta, dal costato di Adamo dormente.

Quando e da chi si è fatta la sintesi di questi diversi elementi che completano
la devozione al sacro Cuore? Non sapremmo dirlo; ed è assai probabile che
quegli che l’ha fatta, non abbia avuto coscienza di avere introdotta nella Chiesa
di Dio nessuna idea nuova. Ma si può dir veramente che qualcuno l’ha fatta?
O, piuttosto, non si è formata da se stessa nella coscienza sociale della
Chiesa, sotto l’influenza dello Spirito Santo che vive in essa? Tre cose pertanto
sono visibili: Questa devozione è nata nella calda atmosfera dell’amore. L’anima
amante, meditando sull’amore di Gesù, ha veduto nel suo cuore il simbolo di
quest’amore, come Gesù amante aveva voluto dire la sua ultima parola, aprendo
il suo sacro petto, per fare scorrere dal suo cuore l’acqua e il sangue e schiuder
la via per arrivare a questo cuore divino.

Ed è pur nata questa devozione, dal meditare sulla ferita del costato. La
contemplazione di questa ferita adorabile, ha messo allo scoperto la ferita del cuore,
e la devozione alla ferita del cuore vi ha trovato il simbolo del cuore ferito dall’amore;
la devozione al sacro Cuore è uscita fuori da queste combinazioni amorose.

Noi la vediamo fatta verso la metà del XII secolo, al tempo di san Bernardo,
in quei focolari di vita pia e contemplativa, accesa e rianimata dal soffio ardente
di san Bernardo medesimo; sembra che la vediamo farsi in questi stessi tempi, in
questo stesso luogo. Ma non par possibile, per il momento, precisare di più.


NOTE


[1] In cant., sermo
LXI, n. 4, P. L., t. CLXXXIII, col. 1072.

[2] De contemplando Deo, c. I. n. 3, P. L., t. CLXXXIV, col. 368.

[3] Meditativae orationes, VI, P. L., t. CLXXX, col. 225-226.

[4] In cant., sermo XXI, n. 6. P. L., t. CLXXXIV, col. 113.

[5] Ecco il testo: «Et quod Salomonis nostri? Vos inquit estis corpus Christi
et membra de membro
». I Cor., XI. 27. «Felix plane quod*****que
membrum capitis hujus; sed quae cor est ejus de praecipius est… Et quidem una eademque
vel Ecclesia vel anima et corona est, et coro et sponsa». ecc. (P.L., t. CLXXXIV,
0113B. N. d. R.)

[6] Serm XXX, n. 1 e 2. P. L., t. CLXXXIV. col. 155.

[7] De Emmanuele, l. II, c. XXI, P. L., t. CXCVI, col. 655.










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