L’annuncio a Giuseppe

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«L’annuncio
a Giuseppe»*

(di
I. de La Potterie S.I.)






Matteo
1, 18-25
**



18 Di Gesù come Messia l’origine ebbe luogo nel modo seguente: sua madre Maria
era fidanzata a Giuseppe; ora, prima che essi venissero ad abitare insieme, ella
si trovò che portava in grembo un bambino per l’opera dello Spirito Santo.
19 Ma Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva svelare [il suo mistero] decise
di separarsi da lei in segreto. 20 Ma quando ebbe preso questa decisione, ecco che
un angelo del Signore gli apparve in sogno e gli disse: “Giuseppe, figlio di
Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa; perché, certo, ciò
che è stato generato in lei viene dallo Spirito Santo, 21 ma ella [ti] partorirà
un figlio e tu gli darai il nome di Gesù, perché sarà lui a
salvare il suo popolo dai suoi peccati”22 Ma tutto questo è avvenuto
perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per bocca di
un profeta: 23 “Ecco: la vergine porterà in grembo e partorirà
un figlio; e gli daranno il nome di Emmanuele”, che in traduzione significa:
“Dio-con-noi”24 Ma quando Giuseppe si fu risvegliato dal sonno, fece come
l’angelo del Signore gli aveva ordinato e prese con sé la sua sposa. 25 E
non la conobbe fino a quando essa [gli] partorirà un figlio, e gli diede il
nome di Gesù.



I. Introduzione: Punti di vista complementari dei vangeli dell’infanzia.



Sebbene il racconto di Matteo tratti dell’Annuncio a Giuseppe, è chiaro che
esso è anche molto importante per una migliore comprensione del mistero di
Maria, nel contesto della Incarnazione. Se non avessimo che il racconto lucano dell’Annuncio
a Maria, questo sarebbe certo bello, ma mancherebbe di realismo. Perché Maria
stava per diventare madre: se questo doveva accadere fuori dal contesto matrimoniale,
allora – inevitabilmente – suo figlio sarebbe passato più tardi per un figlio
naturale, cosa che fu d’altronde sostenuta sia dai giudei che dai pagani, nelle loro
veementi polemiche contro i cristiani
1.

A partire da queste difficoltà concrete, comprendiamo meglio il significato
provvidenziale del matrimonio di Maria e la missione estremamente importante e delicata
che Giuseppe doveva compiere. Anche se il figlio non doveva nascere da relazioni
coniugali normali tra Maria e lui, Giuseppe era ugualmente lo sposo legittimo di
Maria, egli doveva adempiere nel matrimonio al compito di padre legittimo del figlio
di Maria.

Vediamo, in questo modo, come i due Annunci siano in realtà complementari
e illuminino lo stesso mistero, a partire da due punti di vista differenti. Se Luca
adotta il punto di vista di Maria, Matteo presenta il punto di vista di Giuseppe:
a partire dalla paternità legale di Giuseppe, “il figlio di Davide”l’evangelista
pone la questione della missione messianica di Gesù. Ha dunque la medesima
importanza avere una buona comprensione del testo di Matteo come quello di Luca.
Anche se la pericope di Matteo ci pone davanti a numerosi problemi e difficoltà,
vedremo che essa completa meravigliosamente il racconto del terzo vangelo
2.



II. Problemi posti dal testo di Matteo 1, 18-25



1. Termini difficili



L’esegesi dipenderà in gran parte dalla spiegazione che si darà di
tre termini difficili del v. 19. Ecco innanzi tutto il testo in greco: IWSHF DE O
ANHR AUTHS DIKAIOS WN KAI MH QELWN AUTHN DEIGMATISAI EBOULHQH LAQRA APOLUSAI AUTHN

La nostra traduzione: “Ma Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva
svelare [il suo mistero], decise di separarsi da lei in segreto”.

La parola greca DIKAIOS è di solito tradotta con “giusto”, “integro”
o “retto”. La seconda parola, DEIGMATISAI dal verbo DEIGMATIZW è
assai rara in greco. Cosi ne vengono date differenti traduzioni. Il terzo vocabolo,
APOLUSAI dal verbo APOLUW è anch’esso tradotto in diversi modi. Per l’esegesi
di tutta la pericope di Matteo, molto dipenderà dalla traduzione e soprattutto
dall’interpretazione di queste tre parole difficili. Prima di passare alla discussione
di questi tre termini, rileggiamo i primi versetti della nostra pericope. Questa
volta, pero, utilizziamo la traduzione della TOB, per illustrare meglio, per contrasto,
i cambiamenti da noi introdotti:



Ecco quale fu l’origine di Gesù Cristo. Maria, sua madre, era stata data in
matrimonio a Giuseppe; ora, prima che essi andassero ad abitare insieme, essa si
trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe, suo sposo, che era
un uomo giusto e non voleva diffamarla pubblicamente, decise di ripudiarla in segreto.



Richiamiamo un punto che abbiamo già sottolineato, ma che conserva anche qui
il suo valore: un periodo intermedio di alcune settimane o di alcuni mesi separava
il matrimonio giuridico dalla coabitazione definitiva degli sposi. I due annunci
hanno luogo durante questo periodo. Non possiamo perdere di vista questo fatto quando
leggiamo e cerchiamo di interpretare questi due testi. Ci limitiamo qui al difficile
versetto 19: ci darà la chiave per l’interpretazione di tutta la pericope.



A. DIKAIOS



La miglior traduzione di questa parola è “giusto”. Ma la questione
che si pone è di sapere in che senso Giuseppe è chiamato “giusto”.
Per alcuni autori, questo vuol dire che Giuseppe voleva rispettare scrupolosamente
la Legge giudaica. Ora, secondo questa legge, una donna che aveva commesso adulterio
doveva non soltanto essere condannata, ma lapidata. Certo Giuseppe non avrebbe voluto
giungere a questo, ma si sarebbe sentito obbligato ad accusare Maria davanti ai rappresentanti
della Legge. Questa è l’interpretazione severa, puramente legale, della parola
“giusto”, che considera come “giusto”solo ciò che entra
nel quadro dell’osservanza stretta della Legge giudaica. Questa interpretazione,
certo, non è la più frequente; ma la troviamo almeno in alcuni commentatori
3.

Secondo un’altra interpretazione, “giusto”dovrebbe essere piuttosto compreso
nel senso di “buono”: Giuseppe ha dei sospetti, ma è un uomo “buono”,
egli ha un “cuore buono”, non farà un dramma di ciò che crede
di sapere e dunque “si separerà da lei in silenzio”
4. Ma dal punto di vista filologico, la
parola DIKAIOS non ha mai il senso di “buono”o di “avente un cuore
buono”; per esprimere questo significato il greco dispone di altri vocaboli
5. Questa interpretazione
sembra essere stata proposta per la necessità del caso, ma non è fondata.

Una terza interpretazione – quella che noi sceglieremo – spiega DIKAIOS come “giusto
davanti a Dio”. Non nel senso stretto di una osservanza minuziosa della Legge
giudaica, ma nel senso di un rispetto totale per la volontà di Dio e per la
sua azione nelle nostre esistenze. Dobbiamo notare, a questo proposito, che anche
l’ultima edizione della traduzione olandese Willebrord ha optato per questa terza
interpretazione, perché alla parola “giusto”essa aggiunge questa
nota eccellente: “Forse Giuseppe aveva già compreso e saputo da Maria
come tutto era avvenuto (cfr. v. 18). Sapendo che lo Spirito Santo era qui all’opera,
Giuseppe si è messo da parte davanti al mistero”. Potremmo dunque descrivere
così l’atteggiamento di Giuseppe: Dio è qui all’opera, io devo lasciarlo
agire; bisogna che mi ritiri. È allora per rispetto, per timore religioso
davanti al mistero di Dio, che Giuseppe vuole ritirarsi. Proprio peociò viene
chiamato “giusto”.



B. DEIGMATISAI



Per il verbo DEIGMATIZW che è molto raro in greco, si trovano traduzioni e
interpretazioni divergenti. Crampon e X. Léon-Dufour, per esempio, traducono:
“Non voleva diffamarla”
7; la Bibbia di
Gerusalemme: “Non voleva denunciarla pubblicamente”; e la Bibbia delle
Edizioni Paoline: “Non voleva esporla al pubblico ludibrio”. Queste tre
versioni sembrano implicare che Giuseppe considerava Maria colpevole. Noi optiamo
per un’altra interpretazione (cfr. infra), che possiamo rendere così:
“Non voleva svelare [il suo mistero]”. Tutta la questione è
quindi, di sapere se il verbo raro DEIGMATIZW deve avere qui un significato peggiorativo
o no.

Un termine più usuale in greco è il verbo composto PARADEIGMATIZW che
noi incontriamo per esempio in Eb 6,6
8; in questo passo
ha certamente il senso peggiorativo di “fare affronto a qualcuno”, “esporre
alle ingiurie”. Per l’interpretazione di questa pericope è importante
dunque sapere se anche il verbo semplice DEIGMATISAI di Matteo 1,19 ha questa risonanza
negativa. Bisogna scegliere tra due soluzioni: o ha il senso peggiorativo di “esporre
pubblicamente all’infamia”, oppure significa semplicemente: “portare alla
luce”, “svelare”, come noi pensiamo. È importante ascoltare
qui ciò che ci dicono gli autori greci antichi. In uno dei suoi scritti, Eusebio
di Cesarea tratta di questo passo di Matteo
9. Egli osserva
che i verbi DEIGMATIZW e PARADEIGMATIZW non sono sinonimi. Il verbo semplice DEIGMATIZW
deriva dalla radice DEIKNUMI che significa mostrare, indicare, designare. Per questo
DEIGMATIZW secondo Eusebio, significa semplicemente: “far conoscere”, “portare
alla luce”, senza alcuna risonanza peggiorativa. Quando una tale risonanza di
fatto lo accompagna, questo dipende unicamente da ciò che viene fatto
conoscere, non dal verbo stesso. In effetti, nella maggior parte dei casi, il verbo
viene utilizzato in un senso negativo
10 perché
ciò che viene svelato è spesso qualche cosa di vergognoso. Ma
non necessariamente è sempre cosi. Quando un mistico, per esempio, decide
di svelare la sua esperienza di Dio, la sua rivelazione serve all’edificazione del
popolo di Dio. Se egli esita a “portare alla luce” ciò che ha sperimentato,
è per timore religioso e per discrezione; egli preferisce mantenere il segreto.

Una cosa che non è conosciuta e che viene in seguito rivelata può dunque
essere buona o cattiva, edificante o vergognosa; ma la parola DEIGMATIZW – come insegna
Eusebio – non significa in sé che FANERON POIHSAIrendere
visibile, manifesto”, “svelare”, “portare alla luce”. Torneremo
ancora su questo quando spiegheremo e giustificheremo ulteriormente la nostra esegesi
di Matteo 1,19.



C. APOLUW



L’ultima delle tre parole difficili che abbiamo incontrato in Matteo 1,19 è
APOLUW Il verbo LUW significa “staccare”, “slegare”, “sciogliere”.
APOLUW che ne deriva può significare semplicemente “lasciar libero”,
“lasciar andare”, ma può avere anche il senso di “rimandare”e,
specialmente, quello di “sciogliere, rompere i legami matrimoniali”. Potrebbe
dunque – secondo alcuni autori significare “ripudiare”, “divorziare”.
Nel contesto di Matteo 1,19 bisognerebbe quindi interpretarlo come se Giuseppe volesse
consegnare a Maria un attestato da sottoporre al tribunale in vista di ottenere il
divorzio. Detto altrimenti, Giuseppe avrebbe voluto sciogliere il suo matrimonio
con Maria. Ecco ancora una interpretazione secondo la linea dura. Quanto a noi, riteniamo
che, tecnicamente parlando, la parola APOLUW non possa significare “divorziare”.
In ogni caso non significa questo nel nostro passo, perché il divorzio è
un atto pubblico, davanti a dei testimoni, e qui il verbo è accompagnato dall’avverbio
“segretamente”. Un atto pubblico non si può fare “in segreto”.
È più giusta la versione del lezionario: “Decise di licenziarla
in segreto”.

Nel corso del nostro esame di queste tre “parole difficili”, abbiamo toccato
tre punti delicati, ma che sono essenziali per la giusta interpretazione dell’Annuncio
a Giuseppe. Si presume a ragione che per ciascuno dei tre casi due direzioni opposte
sono possibili: una interpretazione severa e un’altra, più moderata, che lascia
aperta la via a una spiegazione favorevole. Mostreremo per ciascuna delle tre parole
la possibilità e la maggiore probabilità della seconda interpretazione.
Qui si nota ancora una volta l’importanza di una base filologica sicura per la esegesi.
D’altra parte questa ricerca filologica è veramente feconda soltanto se Si
accompagna a una visione teologica e se rimane sensibile alle grandi correnti della
tradizione.



2. Teorie diverse



Un altro modo di affrontare i problemi di questa pericope è quello di analizzare
le diverse opinioni che si sono avute sulla situazione e sullo stato spirituale di
Giuseppe quando ricevette da parte di Dio l’ordine di prendere Maria con sé.
Ecco le tre teorie principali.

Secondo una prima opinione Giuseppe avrebbe realmente pensato che Maria era stata
infedele, la sospettava di adulterio. Come sposo legittimo sarebbe stato convinto
della colpevolezza di Maria. Questa opinione era abbastanza diffusa nella Chiesa
antica (Giustino, Crisostomo, Ambrogio, Agostino); si ritrova in alcuni moderni (J.
Schmid, A. Descamps, R. Brown).

Una seconda interpretazione è più benevola verso Giuseppe. Egli non
sa cosa pensare quando vede che Maria è incinta. È convinto della sua
innocenza, ma non sa come spiegare la situazione. Il bambino che deve nascere non
è certamente suo, ma non può tuttavia credere che Maria sia colpevole.
Si trova dunque posto davanti a un fatto per il quale non trova spiegazione, ma rimane
convinto dell’innocenza di Maria. Questa era l’opinione di Girolamo, ripresa nel
Medioevo dalla Glossa ordinaria
11 e da alcuni
moderni (Knabenbauer, Lagrange, ecc.).

Secondo una terza concezione, anch’essa presupposta nella nota già citata
della traduzione Willebrord, Giuseppe conosceva il mistero che si era compiuto in
Maria; sapeva che ella aveva concepito un figlio per intervento divino; si suppone
dunque che Giuseppe era stato informato dell’Annuncio a Maria, cioè di quanto
viene raccontato nella scena del vangelo di Luca, di cui si è parlato nel
capitolo precedente. Questo era possibile soltanto se Maria cosa che sarebbe stata
d’altra parte del tutto normale- si fosse preoccupata di informare Giuseppe di ciò
che era successo. Egli conosceva dunque il mistero della concezione verginale. Questa
interpretazione era ben conosciuta nella tradizione patristica e medievale. Torneremo
su questo. È a questa linea che ci riferiremo nella nostra esegesi del testo
di Matteo. Anche questa terza interpretazione è ben rappresentata nell’esegesi
moderna (Pottier, Léon-Dufour, Pelletier, Radermakers, McHugh, Laurentin,
Vallauri).

Ma per vedere su che cosa essa si basi dobbiamo intraprendere l’analisi del testo
strutturato nella pagina seguente.



III. Commento della struttura





Testo
strutturato di Matteo 1, 18-25












I – RACCONTO INTRODUTTIVO


18 Di GESÙ come Messia l’origine

ebbe luogo nel modo seguente:

sua madie Maria era fidanzata a Giuseppe;

ora, PRIMA CHE VENISSERO AD ABITARE INSIEME,

ella si trovò che portava in grembo [un bambino],

per opera dello Spirito Santo.


19 Ma Giuseppe, suo sposo, che
era un uomo giusto,

e non voleva svelare [il suo mistero],

decise di separarsi da lei in segreto.
II – ANNUNCIO













A – MISSIONE

DIVINA














B – PROFEZIA




20 Ma quando ebbe preso questa decisione,

ECCO che un angelo del Signore gli apparve

in sogno e gli disse:

«Giuseppe, figlio di Davide,

non temere

DI PRENDERE CON TE Maria TUA SPOSA;

perché, certo, ciò che è stato generato in lei

viene dallo Spirito Santo,


21 ma ella

[ti] PARTORIRÀ UN FIGLIO

e tu gli darai il nome di
GESÙ,

perché sarà lui a salvare il suo popololo dai suoi peccati».




22 Ma tutto questo è avvenuto

perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore

per bocca di un profeta:

«ECCO, la vergine

porterà in grembo


e PARTORIRÀ UN FIGLIO

e gli daranno il nome di
EMMANUELE

che in traduzione significa: Dio-con-noi».
III – ESECUZIONE


24Ma quando Giuseppe si fu risvegliato dal sonno,

fece come l’angelo del Signore

gli aveva ordinato

e PRESE CON SÉ LA SUA SPOSA

25 E non la conobbe,

fino a quando ESSA [GLI] PARTORÌ UN FIGLIO

e gli diede il nome di
GESÙ.


1.
Tre movimenti




Come si può notare molto chiaramente nello schema, il racconto è strutturato
in tre grandi parti: I. il racconto introduttivo (1, 18-19); II. l’annuncio propriamente
detto (1, 20-23); III. l’esecuzione della missione (1, 24-25).



I. Il racconto introduttivo: esso descrive la situazione di Giuseppe e di Maria prima
dell’inizio del dialogo con l’angelo. Il problema della situazione eccezionale in
cui si trova Giuseppe è chiaramente posto. Egli è sposato a Maria
12, ma la sua sposa
si trova incinta, ancora prima che essi vadano ad abitare insieme. Cosa deve fare?
Ecco il problema. È a partire da questo che devono essere interpretati l’annuncio
e la missione dati da Dio.



II. L’annuncio: esso forma la parte centrale del racconto. Si compone di due parti:
A. la missione divina; B. la profezia.

A. L’angelo appare in sogno a Giuseppe e gli trasmette la missione divina: “Non
temere di prendere con te Maria, tua sposa”.

B. L’evangelista aggiunge una conferma alla missione dell’angelo, citando la profezia
di Isaia 7, il celebre testo sull’Emmanuele: “Tutto questo è avvenuto
affinché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per bocca
di un profeta: Ecco, la vergine…”
13. Questa profezia
costituisce come un prolungamento, una conferma dell’annuncio a Giuseppe, questa
volta non più sulle labbra dell’angelo, ma attraverso la bocca di un profeta
dell’Antico Testamento. Prese insieme, queste due sezioni – la missione divina trasmessa
per bocca dell’angelo e la sua conferma con una profezia dell’Antico Testamento-
formano la parte centrale dell’insieme del racconto di Matteo.



III. Esecuzione della missione: la terza e ultima parte è semplicemente la
relazione della esecuzione alla lettera della missione che Giuseppe aveva ricevuto
da Dio: “Prese con sé la sua sposa… e gli diede il nome di Gesù”.



2. Parallelismi nel testo



A prima vista, questo racconto è costruito in modo molto semplice. Ma la moderna
analisi letteraria della pericope ha messo chiaramente in luce come, dal punto di
vista strutturale, le tre parti del racconto con le due componenti della parte centrale
– si corrispondono strettamente tra loro; sono collegate da correlazioni diverse,
soprattutto dalla ripresa di parole importanti che si ripetono alla maniera di un
ritornello.

Cosi si organizza una struttura molto solida in cui gli elementi portanti appaiono
chiaramente. L’interpretazione corretta di ciascuno di essi richiede che si tenga
conto ogni volta dei suoi paralleli nella struttura
14.

Non possiamo, nell’ambito ristretto di questo capitolo, mostrare tutto ciò
che si sviluppa da questa analisi strutturale. Ci limiteremo principalmente ai testi
che si riferiscono a Gesù, “il Bambino che deve nascere”e anche,
ovviamente, a Maria sua madre, dato che l’oggetto di questo libro è il mistero
di Maria.

In ciascuna delle quattro tappe ritroviamo il nome del Bambino che nascerà.
È molto importante notare a chi è affidato il compito di dare
il nome al Bambino. Possiamo raggruppare i dati in modo schematico:



(I) “L’origine di GESÙ come Messia ebbe luogo nel modo seguente”(v.
18).

(II/A) “gli darai il nome di GESÙ”(V. 21).

(II/B) “e gli daranno il nome di EMMANUELE”
15 (V. 23).

(III) “e [Giuseppe] gli diede il nome di GESÙ”(V. 25).



Per due volte si dice che è Giuseppe colui che dovrà dare al bambino
il nome di Gesù; e questo sembra essere legato al carattere messianico di
Gesù (I).

Verifichiamo ora ciò che si sviluppa dalla struttura riguardo a Maria; perché
in realtà, se si tratta qui principalmente del problema di Giuseppe, questo
è in rapporto con la situazione eccezionale della sua sposa Maria.

A suo riguardo viene detto qualcosa in ciascuna delle parti, e tra queste si può
percepire una concordanza sorprendente e uno stretto parallelismo:

(I) PRIMA
CHE ESSI VENISSERO AD ABITARE INSIEME,

ella si trovo che portava in grembo [in bambino]

per opera dello Spirito Santo
(v. 18)



(II/A)«Non temere

DI PRENDERE CON TE Maria TUA SPOSA;

perché, certo, ciò che è stato generato in lei,

viene dallo Spirito Santo
16 (V. 20), ma

ella [ti] PARTORIRÀ UN FIGLIO…»(V. 21).



(II/B)«ECCO: la vergine

porterà in grembo

E PARTORIRÀ UN FIGLIO»(v. 23).



(III) e PRESE CON’ SÉ LA SUA SPOSA (V. 24)

E non la conobbe,

fino a quando essa [gli] PARTORÌ UN FIGLIO (V. 25).

Tre temi
dominanti (li abbiamo collegati tra loro) emergono chiaramente da questa struttura.



1. Giuseppe deve prendere con sé Maria, sua sposa: tema della
coabitazione (I, II/A, III: maiuscoletto).



2. Il bambino che ella porta in grembo viene dallo Spirito Santo; la Vergine
porta in grembo; Giuseppe non la conobbe: tema della verginità
(I, II/A, II/B, III: corsivo).



3. Ella partorirà un figlio, conformemente alla Scrittura: tema della
maternità (II/A, II/B, III: maiuscoletto).



Abbiamo estratto dal testo alcuni dei parallelismi più chiari tra le diverse
parti, così come appaiono dalla struttura regolare di questo racconto; essi
fanno vedere chiaramente quali elementi si corrispondono tra loro e riguardo a quali
temi si sviluppa la riflessione dell’evangelista.



IV. Interpretazione del testo



1. Qual è in realtà lo scopo di Matteo?



Per interpretare correttamente la pericope dell’Annuncio a Giuseppe, dobbiamo tenere
conto del punto di vista particolare di Matteo. Perciò bisogna essere attenti
allo stretto legame tra questa pericope e quella precedente, cioè la genealogia
di Gesù (1, 1-18), con la quale Matteo inizia il suo “libro dell’origine
di Gesù Cristo, figlio di Davi de, figlio di Abramo”. Qui ritorna per
trentanove volte, come un ritornello, EGENNHSEN dal verbo greco GENNAW che significa
“generare”. La discendenza va di solito di padre in figlio, comincia con
Abramo e va fino a Giacobbe, il padre di Giuseppe: tre volte quattordici generazioni
(1, 17), attraverso le quali l’evangelista sintetizza tutto l’Antico Testamento,
da Abramo a Gesù.

L’intenzione di Matteo – che comincia, il suo vangelo con questa lista genealogica
– è di mostrare che Gesù discende da Abramo e da Davide ed è
quindi colui che era atteso da tanto tempo: il Messia d’Israele. Il problema si pone,
naturalmente, quando giunge Giacobbe, il padre di Giuseppe. A questo punto l’evangelista
non usa più l’EGENNHSEN già tante volte ripetuto, ma scrive: “Giacobbe
genero Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato (EGENNHQH)
Gesù chiamato Cristo”(1, 16). La difficoltà di Matteo è
la seguente: come può Gesù essere il Messia (il Cristo), se
non discende da Giuseppe, al quale si rapporta tutta la linea genealogica? La catena
della successione di padre in figlio, che con ritmo monotono continuava per sedici
versetti, si trova improvvisamente spezzata all’ultimo anello: qui non si tratta
più del padre, ma della madre da cui Gesù è nato. Ecco il problema
davanti al quale si pone Matteo, senza volerci dare subito la soluzione: come Gesù
può essere il Messia, se non è il figlio di Giuseppe, se non è
integrato in questa genealogia?

Il messianismo di Gesù è, in effetti, il grande tema del vangelo di
Matteo. Cosi è molto importante tradurre esattamente il versetto 18, il primo
del nostro racconto dell’Annuncio a Giuseppe, perché esso costituisce il trait
d’union
con la genealogia che precede. Con nostro grande stupore constatiamo
che la maggior parte delle traduzioni moderne qui sono inesatte dal punto di vista
filologico. A titolo d’esempio prendiamo la traduzione del lezionario: “Ecco
come avvenne la nascita di Gesù Cristo”. Ma questo non è il senso
esatto del versetto.

Trascriviamo il testo greco: TOU DE IHSOU CRISTOU H GENESIS OUTWS HN E il solo caso
in tutto il Nuovo Testamento in cui le parole “Gesù Cristo”sono
precedute dall’articolo: TOU IHSOU CRISTOU (al v. 1 non c’era l’articolo). Più
di una volta incontriamo l’articolo davanti al nome di Gesù usato da solo:
O IHSOUS cosa molto frequente in greco. Si trova anche, qualche volta, O CRISTOS
“il Messia”, e ancora O IHSOUS O CRISTOS con due articoli. Ma non si trova
da nessuna parte O IHSOUS CRISTOS, se non qui, in questo passo di Matteo. È
dunque chiaro che la formula deve avere qui un significato speciale: TOU DE IHSOU
CRISTOU che inoltre è posto enfaticamente all’inizio della frase, non può
significare “di Gesù Cristo”. ciò è impossibile in
greco. Cosi la traduzione abituale del versetto 18: “La nascita di Gesù
Cristo
avvenne in questo modo…”non può essere esatta. Qual è
allora il vero senso della frase?

Dicevamo che l’espressione O IHSOUS si incontra spesso in greco. Bisogna allora che
CRISTOS che vi è aggiunto non abbia il valore di un’apposizione ma di un complemento
predicativo
17: CRISTOS che
accompagna IHSOUS si accorda con questo nome come se fosse un semplice predicato.
Cosi, il v. 18 si riallaccia direttamente al versetto conclusivo della genealogia:
“Gesù, chiamato Cristo”(v. 16; cfr. ancora 27, 17. 22), dove
“Cristo”è chiaramente predicato. In 1,18, CRISTOS designa una qualità,
una funzione di Gesù: si tratta di Gesù nella sua qualità di
Messia. Pensiamo dunque di dover tradurre: “Di Gesù come Messia,
in quanto Messia”. Inoltre, fedeli sempre al testo greco, poniamo questa
espressione enfatica all’inizio della frase. E allora il versetto 18 si presenta
come segue: “Di Gesù come Messia l’origine ebbe luogo nel modo
seguente…”. Detto altrimenti, Gesù, come Messia, è nato nel
modo seguente: pur non essendo figlio corporale di Giuseppe, poteva tuttavia avere
i diritti ereditari di Davide e di Abramo ed essere il Messia d’Israele. Osserviamo
ancora un altro legame di 1, 18-25 con 1, 1-16: oltre il titolo CRISTOS in 1,18 (che
richiama 1,16), anche il verbo GENNAW (“generare”) al v. 20 (al passivo:
GENNEQHN stabilisce un contatto evidente con la genealogia, dove la forma attiva
EGENNHSEN (“generò”) torna dappertutto come un ritornello; ma in
1,16 veniva usato per Maria al passivo, EGENNHQH (“è nato”), proprio
per preparare il v. 20 GENNHQEN

Matteo conosceva dunque la concezione verginale di Gesù: ma questa costituiva
per lui una reale difficoltà, perché egli doveva provare il messianismo
di Gesù attraverso l’ascendenza di Giuseppe. Come poteva il figlio di Maria
essere il Messia, se non era stato “generato”da Giuseppe, il discendente
diretto di Davide e di Abramo? Matteo non rifiuta dunque in alcun modo la concezione
verginale, ma vuole mostrare che, malgrado questo, la missione di Gesù è
messianica. Il messianismo doveva trasmettersi in linea maschile fino a Giuseppe
e attraverso questi a Gesù. Che ciò sia possibile, benché Giuseppe
non sia il padre fisico di Gesù, ecco il problema al quale Matteo, nel racconto
di 1, 18-25, vuol dare una risposta.



2. Il “dubbio”di Giuseppe



Questo è il termine che si usa abitualmente per esprimere lo stato d’animo
di Giuseppe davanti all’annuncio dell’angelo. Dobbiamo tuttavia domandarci come bisogna
comprendere e spiegare questo “dubbio”. Certamente non nel senso che Giuseppe
si domanda se Maria sia o non sia colpevole. Si tratta piuttosto di un “dubbio”,
di una esitazione su ciò che lui stesso deve fare. Come deve
agire, lui, lo sposo di Maria, nella situazione eccezionale in cui si trova sua moglie?

Rileggiamo nuovamente il versetto 18: “Di Gesù come Messia l’origine
ebbe luogo nel modo seguente: sua madre Maria era fidanzata
18 a Giuseppe; ora, prima che venissero ad
abitare insieme, ella si trovo ad avere [un bambino] in grembo, per
opera dello Spirito Santo”.

Fin dall’inizio ci troviamo qui davanti a diverse difficoltà. La traduzione
letterale del verbo EUREQH nell’ultima frase sarebbe: “Ella fu trovata incinta”.
Ma si pongono subito diverse questioni che rischiano di far deviare l’attenzione
verso falsi problemi. Perché ci si può domandare con curiosità:
da chi “fu trovata”incinta? Dai vicini o da Giuseppe? E in quale
momento
fu fatta la scoperta? È il genere di problematiche che ci propone
Lagrange: “Fu constatato; il testo non dice: da Giuseppe, e certamente
le parole di Girolamo a questo riguardo mancano d’esattezza (non ab alio inventa
est nisi a Joseph:
il suo stato non fu scoperto da altri che da Giuseppe), tanto
più che Maria non abitava presso di lui e che la gravidanza dovette essere
notata, all’inizio, dai parenti di Maria, da sua madre prima di tutto. Non sono le
donne le prime a percepire questi sintomi in altre donne? Giuseppa dovette essere
avvertito ed egli lo fu. Ci si stupisce che non sia stato avvertito da Maria”
19. Ma è
sicuro che non era stato avvertito? Presentando le cose in questo modo, si cade nello
psicologismo e si cede al bisogno di ricostruire esattamente lo sviluppo dei fatti.
Disgraziatamente la base stessa di questa costruzione è traballante; perché
si suppone come cosa evidente che EUREQH significhi “fu constatato”.
Ora, se Matteo avesse voluto veramente parlare di una constatazione della
gravidanza di Maria, questo ci avrebbe riportato necessariamente a un periodo relativamente
lungo dopo la concezione
20, Il testo però
non dice nulla di questo. Usato al passivo il verbo “trovare”(EURISKW)
ha spesso il senso debole di “trovarsi”, cioè: trovarsi in una certa
situazione
21.

In Matteo 1, 18 l’evangelista osserva semplicemente che Maria “si trovò
incinta. Le domande poste qui sopra sono dunque oziose, ci impediscono di cogliere
l’ottica propria di Matteo. Rimane tuttavia che, nell’uso della forma passiva EUREQH,
l’idea di una eventuale constatazione, di una verifica possibile o desiderata, resta
vagamente e indirettamente presente allo spirito. Applichiamo queste note al nostro
caso: prima della coabitazione con Giuseppe, Maria “si trovò incinta”,
cioè, semplicemente, ella “fu incinta”. Dato che in tutta
la pericope si tratta soltanto di due persone, il solo interrogativo che il testo
di Matteo permette di porre è il seguente: Giuseppe sapeva che Maria
si trovava in questa situazione? Il versetto 18 non dà risposta. Ma, come
vedremo tra poco, le formule parallele nella struttura della pericope mostrano chiaramente
che, nell’ottica di Matteo, Giuseppe era certamente al corrente. È il solo
punto che interessa qui l’evangelista, e che assumerà per lui una importanza
molto grande. È inutile domandarci qui come e quando Giuseppe
venne a conoscenza del fatto, e da chi venne a saperlo, anche se queste domande
rimangono legittime per lo storico. Il compito essenziale dell’esegeta tuttavia è
di entrare, per quanto possibile, nella prospettiva propria e nella problematica
dell’autore.

Si pone spesso un’altra domanda riguardo alle ultime tre parole del versetto: “Dallo
[ = per opera dello] Spirito Santo”. Per certi esegeti (per esempio J. Schmid),
questa è un’aggiunta dell’evangelista, che anticipa qui ciò
che Giuseppe verrà a conoscere dall’angelo al v. 20 (è precisamente
tutta la questione! ). Ora, cosa curiosa, questa era già, più o meno,
la spiegazione di S. Tommaso. «”Dallo Spirito Santo”: bisogna leggere
questo come separato da ciò che precede. Non bisogna leggere o comprendere
che Giuseppe l’avrebbe trovata incinta dallo Spirito Santo; ma unicamente che egli
la trovo incinta. E affinché gli ascoltatori [del vangelo] non venissero a
sospettare [Maria] di adulterio, egli [l’evangelista] aggiunge: “dallo Spirito
Santo”, cioè per la forza dello Spirito Santo»
22, Ma come dicevamo poco fa, è tutto
il presupposto di questa spiegazione che deve essere messo in questione, cioè
che Giuseppe constatò lo stato di gravidanza di Maria, perché
è ovvio che l’azione dello Spirito, in se stessa, non può essere “constatata”.
Ma da questo non segue in nessun modo che Giuseppe non sapeva che Maria, di fatto,
era “incinta dallo Spirito Santo”. Ora, è proprio questo
ciò che l’evangelista suppone, come vedremo dall’analisi dei versetti seguenti.

Esaminiamo dunque il parallelismo già indicato più sopra a p. 75, tra
i versetti 18 e 20 che formano le sezioni I e II/A della struttura generale:



(I) Sua madre Maria

era fidanzata a Giuseppe; ora

PRIMA CHE ESSI VENISSERO AD ABITARE INSIEME,

Ella si trovo che portava in grembo [un bambino]

per opera dello Spirito Santo
(v. 18).



(II/A) Giuseppe, figlio di Davide,non temere

DI PRENDERE CON TE Maria, TUA SPOSA;

perché, certo, ciò che è stato generato in lei viene dallo
Spirito Santo
(v. 20).



Il parallelismo emerge chiaramente. Ora, le parole dell’angelo a Giuseppe al v. 20,
così come le abbiamo tradotte per ragioni filologiche che indicheremo più
avanti, suppongono chiaramente che Giuseppe sapesse ciò che era avvenuto
a Maria e che il bambino nel suo grembo veniva dallo Spirito Santo (cfr. al v. 20,
le parole: “Certo… viene dallo Spirito Santo”). Ciò che
vale per il v. 20 vale anche per il v. 18.

Tutto questo ci invita a concludere che le parole “dallo Spirito Santo”,
tanto al v. 18 quanto al v. 20, sono ben integrate nel testo e non sono per nulla
l’effetto di un’aggiunta dell’evangelista. Si trova dunque “che Maria portava
un bambino nel suo grembo, per opera dello Spirito Santo”. Tocchiamo qui, anche
sul piano grammaticale, un punto molto delicato, ma pensiamo che già a questo
stadio – astrazion fatta di ciò che seguirà- possiamo ammettere che
Giuseppe ci viene presentato come perfettamente al corrente di ciò che era
avvenuto a Maria. La forma passiva EUREQH significa qui: “Ella si trovo”.
E le due determinazioni che la accompagnano servono a descrivere la situazione precisa
in cui Maria si trovo: 1. ella portava un bambino nel suo grembo; 2. questo era dovuto
all’azione dello Spirito Santo. Questo versetto d’apertura si presenta dunque come
un iniziale stato della questione, a partire dal quale si svilupperà tutto
il seguito del racconto. Entrambi gli elementi manterranno la loro importanza fino
alla fine.

Insieme a diversi Padri della Chiesa riteniamo dunque che Giuseppe sapesse già
due cose: che Maria era incinta e che questo era avvenuto per opera dello Spirito
Santo. Possiamo ora porre di nuovo la domanda di cui sopra: da chi è stato
informato e quando? Se Giuseppe ha saputo fin dall’inizio che la sua sposa portava
un bambino nel suo grembo per opera dello Spirito Santo, va da sé che non
poteva saperlo che mediante una comunicazione personale (diretta o indiretta) di
Maria stessa.

Prima di procedere oltre, dobbiamo ancora richiamare qui due dettagli, già
esaminati in precedenza, che riguardano lo stretto legame tra i vv. 19 e 20 e sono
decisivi per l’interpretazione della intera pericope. Al v. 19 leggiamo: “Giuseppe,
suo sposo, che era giusto e non voleva svelare [il suo mistero], decise di separarsi
da lei in segreto”. Come abbiamo già detto, “giusto”significa
qui “giusto davanti a Dio”. Incontriamo questa espressione, per esempio,
anche in Atti 10, 22, dove il centurione Cornelio è chiamato “uomo giusto
e timorato di Dio”. L’uomo “giusto”è colui che si ritira
rispettosamente davanti all’intervento di Dio. Questa reazione è anche quella
dei “giusti”dell’Antico Testamento: quella di Mosè al momento della
teofania sul monte Sinai; quella del profeta Isaia in occasione della visione di
JHWH nel Tempio, e quella di altri ancora. Quando Dio si manifesta e interviene nella
storia dell’uomo, il “giusto”si ritira con timore, indietreggia rispettosamente
davanti alla maestà di Dio. Nel caso presente, il “giusto Giuseppe”vuole
separarsi da Maria segretamente, perché egli sa ciò che Dio ha operato
in lei.

Nello stesso v. 19 si trova anche il verbo DEIGMATIZW Basandoci sulla interpretazione
già citata di Eusebio di Cesarea
23, crediamo di
dover affermare che se DEIGMATIZW non può qui significare altro che “rivelare”,
“svelare”o, come diceva Basilio, “mettere in pubblico”, senza
comportare nessun senso peggiorativo. Se Giuseppe veramente sapeva ciò
che era avvenuto a Maria, non gli era né permesso né possibile “svelarlo”,
metterlo in pubblico”. Questo sarebbe stato impensabile È in
tale prospettiva che abbiamo tradotto il v. 19. Per maggior chiarezza abbiamo aggiunto
tre parole tra parentesi (“il suo mistero”), perché queste parole
sono nella logica stessa del testo: “Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non
voleva svelare [il suo mistero], decise di separarsi da lei in segreto”.
Se noi leggiamo il versetto in questa prospettiva, esso cambia totalmente di tonalità.
Giuseppe non poteva dire in pubblico ciò che Maria gli aveva rivelato in confidenza,
doveva conservarlo nel suo cuore come un segreto prezioso. Ma lui, cosa doveva fare?
Pieno di timore religioso davanti al mistero che si è compiuto in Maria
sua sposa, Giuseppe non vede in questo momento nessun’altra via d’uscita che quella
di ritirarsi discretamente. Se interpretiamo il versetto in questo modo, allora le
ultime parole diventano molto belle: “Decise di separarsi da lei in segreto”.
Dunque l’idea stessa di una denuncia svanisce completamente. L’ottica
è radicalmente rovesciata. Pieno di rispetto per Maria, nella quale lo Spirito
Santo aveva realizzato cose così grandi, Giuseppe è pronto a cederla
totalmente a Dio. Ma in questo momento decisivo, prosegue il testo, “mentre
pensava a queste cose, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno”(v.
20). Analizzeremo questo testo un po’ più avanti.

Dobbiamo ancora, in questo contesto, dedicare attenzione a un dettaglio del v. 20
che ci orienta nello stesso senso e che disgraziatamente vien troppo spesso trascurato.
L’angelo dice a Giuseppe: “Non temere di prendere con te Maria, la tua sposa”.
Perché queste parole, “non temere”, per parlare della coabitazione
dei due sposi? Non sentiamo risuonare lo stesso “noli timere”, lo stesso
“non temere”, nel momento dell’Annuncio a Maria: “Non temere, Maria…”(Lc
1, 30)? Questa esortazione, nella Bibbia, ha un profondo significato (cfr. Mt
14, 25; 17, 7; Mc 9, 32; Ap 1, 17). Si tratta del “santo timore”che l’uomo
prova nel momento di una rivelazione della presenza di Dio, durante una visione o
davanti ad un’altra forma di intervento divino (la Trasfigurazione, le apparizioni
pasquali). Proprio questo timore per la presenza o per l’azione di Dio nei confronti
di Maria è supposto qui per Giuseppe nel testo di Matteo. Se ammettiamo che
Giuseppe era al corrente della concezione verginale, allora possiamo descrivere il
suo “dubbio”sotto forma di domanda: cosa devo fare in questa situazione
piena di mistero? Per il “timore”davanti all’azione di Dio nei confronti
della sua sposa, egli è pronto a ritirarsi con rispetto, in segreto.



3. L’annuncio dell’angelo (vv. 20-21)



Grazie a un’acquisizione della filologia moderna siamo in grado di presentare per
il v. 20 una traduzione in parte nuova che sopprime totalmente la principale difficoltà
che spesso si opponeva alla terza interpretazione (quella che noi accettiamo): dal
momento che, si dice, secondo il v. 20, Giuseppe viene informato di ciò
che è avvenuto in Maria, egli non può averlo già saputo prima.

Rileggiamo anzitutto il testo così come lo abbiamo presentato nella nostra
traduzione strutturata: “Ma quando ebbe preso questa decisione, ecco che un
angelo del Signore gli apparve in sogno e gli disse: Giuseppe, figlio di Davide,
non temere di prendere con te Maria, tua sposa; perché, certo, ciò
che è stato generato in lei viene dallo Spirito Santo, ma ella ti partorirà
un figlio e tu lo chiamerai Gesù. Perché sarà lui a salvare
il suo popolo dai suoi peccati”(vv. 20-21).

Ciò che c’è di nuovo in questa traduzione si trova al centro della
pericope: “Perché, certo, ciò che è stato generato
in lei viene dallo Spirito Santo”.

Questa traduzione delle parole dell’angelo – si sarà già capito subito
– suppone che Giuseppe sapesse già quella che era stata l’opera dello
Spirito Santo in Maria; perché l’angelo gli dice: “Certo, [il
bambino] viene dallo Spirito Santo”. Ma agli occhi di Giuseppe questa
concezione verginale di Maria era un ostacolo alla sua coabitazione con lei. Per
questo l’angelo viene a rispondere alla sua difficoltà, dandogli un ordine
da parte di Dio: senza dubbio, il bambino che è stato concepito nel
grembo di Maria viene dallo Spirito Santo; nonostante questo, lui, Giuseppe, deve
prendere con sé Maria sua sposa, deve andare ad abitare insieme con
lei e accettare il suo duplice compito di sposo e di padre.

Ciò che vi è di nuovo, qui, è che con il suo modo di esprimersi
(“certo…”), l’angelo mostra di conoscere i pensieri segreti di
Giuseppe: egli allude al fatto che Giuseppe sa bene che Maria ha concepito un figlio
dallo Spirito Santo e che propriamente per questa ragione vuole separarsi
da lei; ma l’angelo viene a dissuaderlo dal tirare una tale conclusione Nella gran
parte delle traduzioni, al contrario, l’annuncio dell’angelo ha precisamente come
scopo quello di “rivelare”la concezione verginale a Giuseppe, il quale
dunque – così si ritiene – non ne sa niente; così è, per esempio,
nella Bibbia di Gerusalemme: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere
con te Maria, tua sposa, perché ciò che è stato generato
in lei viene dallo Spirito Santo”. Questo è completamente differente!
Si vede dunque di nuovo che per l’interpretazione di tutta la pericope la maniera
di tradurre le parole dell’angelo a Giuseppe riveste una importanza decisiva. Si
tratta qui di due visioni teologiche differenti.

Se optiamo per una traduzione secondo la quale Giuseppe era al corrente della concezione
verginale, dobbiamo, evidentemente, giustificare una tale maniera di tradurre. Essa
è basata – l’abbiamo detto – su una particolarità della sintassi greca
alla quale siamo stati resi sensibili soltanto nella nostra epoca
24. Cerchiamo di spiegarci più chiaramente.

Cominciamo con il ricordare che la congiunzione perché (GAR in greco)
annuncia di solito il motivo di ciò che è appena detto: così
infatti il v. 20 è stato compreso nella traduzione della Bibbia di Gerusalemme
che noi abbiamo appena citato. Ricordiamo inoltre che il greco classico conosce un
modo di esprimersi che giustappone due elementi simili, mettendo tra di loro una
leggera opposizione: MENÖ, DEÖ, che si può tradurre “da una parte…,
dall’altra…”, “l’uno…, l’altro…”. Ora, se all’inizio di una
tale formula con due membri, viene introdotta la congiunzione GAR (MEN GARÖ, DEÖ),
ci si può domandare in quale dei due membri di questa formula binaria,
ma “dialettica”, bisogna cercare il motivo annunciato: l’uso della
lingua vuole che questo sia cercato nel secondo membro, mentre il primo funziona
allora come una obiezione preliminare che bisogna subito superare
25. È la
costruzione che X. Léon-Dufour chiama con una felice espressione: un “GAR
di portata differita”.

Prendiamo in prestito da lui l’esempio indiscutibile di un passo del discorso di
Paolo nella sinagoga di Antiochia di Pisidia (At 13, 35-37). Dopo aver citato la
profezia del salmo 16, 10: “Non lascerai che il tuo Santo conosca la decomposizione”,
Paolo vuol mostrare ai giudei che questo non si applica nel caso di Davide, ma unicamente
per Cristo. Citiamo, dapprima, una traduzione meno esatta, quella di Crampon, che
non mette bene in luce il ragionamento: “Perché Davide… è
morto… ed ha visto la decomposizione. Ma colui che Dio ha risuscitatonon
ha visto
la decomposizione”. Si può vedere il paradosso. Come può
il fatto che Davide abbia visto la decomposizione dimostrare (cfr. perché!)
la realizzazione della profezia, secondo la quale “il Santo non conoscerà
la decomposizione”?
In Davide, è accaduto esattamente l’inverso!
La profezia si realizza dunque soltanto in colui di cui parla il secondo membro,
Cristo. Tuttavia è il primo membro a essere introdotto mediante un “perché”:
ci troviamo qui davanti a un “GAR a portata differita“.

Una traduzione più esatta sarebbe allora la seguente: “Perché,
certo, Davide (DAVID MEN GAR), dopo aver servito nel suo tempo il disegno
di Dio, è morto… e ha visto la corruzione, ma colui che Dio ha risuscitato
(ON DE O QEOS HGEIREN) non ha visto la corruzione”. Il primo membro, sebbene
sia introdotto da “perché”, ha valore non causale ma concessivo.

Tuttavia le cose talvolta si complicano nel greco ellenistico, perché spesso
la prima delle due particelle (MEN) viene omessa: invece di MEN GAR… DEÖ, si ha
semplicemente GAR… DEÖ

Qui, ancora, si tratta di sapere se il motivo annunciato mediante GAR si trova nel
primo membro, o se piuttosto esso non venga riportato nel secondo, che è introdotto
mediante il DE.

Avviene così in diversi passi del Nuovo Testamento. Uno di questi è
precisamente Matteo 1, 20. Ma poiché questo modo di leggere il versetto è
nuovo, conviene illustrarlo con altri casi. Abbiamo esaminato sistematicamente tutti
gli esempi di questa costruzione presenti nel Nuovo Testamento.

Pensiamo di poterci limitare qui a darne uno solo, molto chiaro, preso anch’esso
dal vangelo di Matteo.

Si tratta di Matteo 22, 14, dove troviamo la formula GAR… DEÖ, esattamente come
in Matteo 1, 20. Il versetto presenta il motivo del castigo escatologico (che
era stato descritto nel versetto precedente). Ecco la traduzione tradizionale: “Perché
molti sono chiamati, ma pochi eletti”. Tuttavia è evidente che la
vera ragione del castigo non può essere la moltitudine dei
chiamati!
Questo primo membro è piuttosto come una parentesi: la vera
ragione si trova nel secondo membro. Da ciò questa traduzione più sfumata:
“Perché certo molti (POLLOI GAR) sono chiamati, ma pochi
(OLIGOI DE) sono eletti”
26.

Applichiamo ora queste osservazioni al caso dell’annuncio a Giuseppe. Ecco il testo
greco dei vv. 20b e 21a: TO GAR EN AUTH GENNHQEN EK PNEUMATOS ESTIN AGIOU, TEXETAI
DE (SOI) UIONÖ
27, La congiunzione
GAR si trova al v. 20b, e la particella DE al v. 21a, come nel testo di Matteo 22,
14 che abbiamo appena esaminato. Possiamo dunque tradurre anche qui il primo membro
come una concessiva: “Perché, certo, ciò che è stato
generato in lei viene dallo Spirito Santo, ma ella [ti] partorirà un figlio”
28, In altri termini,
l’angelo dice a Giuseppe: “Benché sia vero, come tu sai bene, che ciò
che è stato generato in Maria viene dallo Spirito Santo, ella ti partorirà
un figlio, e sei tu che devi dare il suo nome a questo bambino”. L’accento
dell’annuncio cade qui sul ruolo di Giuseppe: egli dovrà assumere il ruolo
di padre per questo bambino che, tuttavia, non è suo.

Tutto questo fa vedere l’importanza di tale acquisizione della filologia moderna
per l’esegesi del nostro passo. Crediamo che questa interpretazione sia solidamente
fondata, anche se non è ancora accettata da tutti. È evidente che il
significato dell’Annuncio a Giuseppe viene così a collocarsi in una prospettiva
totalmente diversa. Ora, il fatto più notevole è che questa interpretazione
ci riconduce a una grande tradizione della Chiesa di cui parleremo fra poco. Dobbiamo
tuttavia ancora mostrare come Matteo sottolinei l’importanza teologica dell’avvenimento,
facendo vedere in esso la realizzazione di una profezia dell’Antico Testamento.



4. Significato teologico dell’episodio (rapporto con la profezia)



Ai vv. 22 e 23 l’evangelista aggiunge ancora al racconto dell’annuncio a Giuseppe
una citazione del profeta Isaia: “Ma tutto questo è avvenuto perché
si compisse ciò che era stato detto dal Signore per bocca del profeta. “Ecco:
la vergine porterà-in-grembo e partorirà un figlio; e lo chiameranno
Emmanuele – che in traduzione significa Dio-con-noi””.

Tutti i commentari fanno notare che Matteo modifica la citazione del profeta cambiando
il singolare in plurale. L’evangelista non dice [sua madre] gli darà il nome
di…”, come si esprimeva il testo di Isaia, ma: “Essi gli daranno
il nome”
29. Qual è
la ragione di questo cambiamento? La maggior parte dei commentatori suppone che questo
plurale significherebbe semplicemente “essi”, cioè gli uomini lo
avrebbero chiamato “Emmanuele”. Noi pensiamo tuttavia, con X. Léon-Dufour
e alcuni altri, che Matteo metta qui intenzionalmente il verbo plurale, per implicare
così anche Giuseppe insieme alla madre, perché il profeta Isaia aveva
in vista soltanto lei. D’altra parte, come abbiamo fatto osservare più di
una volta, in tutti questi fatti Matteo si interessa prima di tutto al ruolo e alla
situazione di Giuseppe. Questo modo di vedere è difatti confermato alla fine
del racconto, perché chi darà, alla fine, il nome al bambino non sarà
Maria, ma Giuseppe: “Ed egli gli diede il nome di Gesù”(1,
25). È così che si conclude il racconto: Giuseppe ha compiuto la sua
missione; secondo la volontà di Dio egli agisce come sposo di Maria e come
padre legittimo del Bambino-Messia.

Leggendo e interpretando questo racconto dell’Annuncio a Giuseppe, non possiamo dimenticare
che Matteo si pone interamente dal punto di vista di Giuseppe e che scrive tutto
il racconto per mettere in luce il ruolo eccezionale e la missione di Giuseppe nel
mistero della incarnazione. Ma la prospettiva rimane cristologica: Giuseppe è
chiamato dall’angelo “figlio di Davide”( 1, 20), perché proprio
grazie a lui, attraverso la sua paternità legale, Gesù sarà
integrato nella linea messianica di Abramo e di Davide. È anche il
motivo per cui il racconto cominciava con queste parole: “Di Gesù come
Messia,
l’origine…”(1, 18). Fin dall’inizio del suo vangelo Matteo mostra
che attraverso la mediazione di Giuseppe, che era figlio di Davide, Gesù
è veramente il Messia d’Israele.



V. Voci della tradizione



Esaminiamo ora come questa pericope di Matteo sull’Annuncio a Giuseppe sia stata
spiegata nella patristica e nel Medioevo. Il quadro sommario della interpretazione
del nostro passo nella Tradizione è già stato presentato da alcuni
autori contemporanei
30. Anche noi riprenderemo
a grandi tratti questa storia dell’esegesi di Matteo 1, 18-25; ma vorremmo allargare
l’orizzonte oltre quanto è stato fatto sino ad ora sulla storia della terza
interpretazione, perché le ricerche storiche del nostro tempo ci hanno fatto
conoscere importanti dettagli che permettono di comprendere meglio le grandi tappe
di questa storia.



1. All’inizio di questo capitolo abbiamo già segnalato che, secondo alcuni
Padri della Chiesa, Giuseppe pensava che Maria avesse commesso adulterio. Uno dei
principali sostenitori di questa tesi è Giovanni Crisostomo: secondo lui,
Giuseppe riteneva che Maria fosse colpevole; ma voleva mostrarsi comprensivo e buono
nei suoi confronti. In questo si mostrava “giusto”. Si tratta di una spiegazione
d’ordine puramente morale. Ma, come abbiamo osservato analizzando il termine “giusto”
(DIKAIOS), questa spiegazione non è difendibile dal punto di vista filologico.



2. Secondo un’altra esegesi, quella di Girolamo, di cui si ritrovano diverse risonanze
nel Medioevo, Giuseppe è certo dell’innocenza di Maria, ma non sa cosa pensare
davanti al fatto innegabile della sua gravidanza. Una tale spiegazione psicologica,
dice molto bene X. Léon-Dufour, doveva piacere a molti cristiani, e questo
fino ai nostri giorni, “perché soddisfa le loro esigenze di delicatezza
verso la Santa Vergine e fa ridondare sul suo sposo lo splendore della maternità
verginale”
31. Ma, conclude
giustamente, “tale soluzione, come la precedente, manca di fondamento”.
Ci permettiamo qui di rimandare a quanto abbiamo detto noi stessi all’inizio riguardo
ai tre termini difficili del v. 19.



3. Resta la terza interpretazione, quella che abbiamo esposto sopra. A parte tutte
le precisazioni filologiche che le ricerche moderne hanno apportato (su vocabolario,
sintassi, struttura letteraria, ecc.), si constata che questa esegesi era largamente
diffusa all’epoca patristica e medievale: S. Bernardo non aveva torto nel dire che
essa era “quella dei Padri”; e a giusto titolo Bernardo stesso è
stato presentato come una “eco della tradizione”
32. Secondo questa tradizione patristica
e medievale, Giuseppe era al corrente della concezione verginale; per questo voleva
dileguarsi discretamente davanti alla grandezza del mistero dell’azione di Dio in
Maria. Senza dubbio questa interpretazione non si situa più soltanto a livello
della morale e della casistica, ma a livello della storia della salvezza, della teologia,
della spiritualità. Vorremmo ora descrivere le tappe principali di questa
grande tradizione.

All’origine della storia di questa interpretazione, si è spesso posto il nome
di Origene. Ma l’omelia che si cita di lui (conservata solo in latino) non è
autentica. La critica moderna ha mostrato che essa deve essere attribuita a un vescovo
anti-ariano di Ravenna del VI secolo
33. Questa interpretazione,
tuttavia, non è unicamente latina; la si trova in molti Padri della Chiesa
d’Oriente: si può citare qui, senza dubbio, un frammento autentico di Origene,
e poi certamente i nomi di Eusebio di Cesarea, di Efrem, di Basilio, e più
tardi di Teofilatto
34.

In Occidente, il punto di partenza è senza dubbio l’omelia dello pseudo-Origene
(quel vescovo di Ravenna del VI secolo di cui abbiamo appena parlato). Essa ebbe
una diffusione straordinaria perché entro nei testi liturgici a partire dall’VIII
secolo
35. Se ne trovano
regolarmente degli echi nel Medioevo: in Rabano Mauro (Ü 856), Zaccaria Crisopolitano
di Besançon (Ü 1155), nella Glossa ordinaria
36, e in Dionigi Certosino (Ü 1471) 37. Ma i due più
illustri rappresentanti medievali di questa esegesi sono, incontestabilmente, S.
Bernardo e S. Tommaso. Citeremo alla fine il testo del primo; soffermiamoci qui invece
su Tommaso. Egli parla del caso di Giuseppe in un capitolo del Supplemento alla Summa
Theologica
in cui si tratta del matrimonio. Egli spiega: “Giuseppe volle
rendere alla vergine la sua libertà, non perché la sospettasse di adulterio,
ma per rispetto verso la sua santità (ob reverentiam sanctitatis): egli
temeva di andare ad abitare conlei”
38. Nel XV secolo
ritroviamo la stessa esegesi in Gerson, il Cancelliere dell’Università di
Parigi (Ü 1428), grande ammiratore di San Giuseppe e fondatore di una branca ristretta
della teologia che viene oggi chiamata “giosefologia”. Egli scrive: “Giuseppe
venne a sapere non soltanto che ella era incinta e che aspettava un bambino, ma che
questo veniva dallo Spirito Santo;
e poiché il vangelo utilizza la parola
“trovo”, questo è un segno che Giuseppe si informo, o che si era
informato, dato che la trovo”; e più avanti: “Sembra che Nostra
Signora rivelo il Mistero dell’Annunciazione -che le fu portata da Gabriele
a san Giuseppe, suo sposo leale, amatissimo e giusto, [e questo], prima ancora
che l’angelo venisse a visitarlo durante il sonno o prima che egli ne avesse conoscenza
in altro modo”
39. Gerson si sforza
ugualmente di ricostruire la cronologia degli avvenimenti, dall’Annunciazione alla
Visitazione. Ma questa costruzione, pur molto plausibile, non è ciò
che fa l’interesse principale della posizione del Cancelliere; questo interesse si
trova nella sua affermazione molto chiara riguardo al fatto che (Giuseppe era al
corrente del “mistero dell’Annunciazione”e che ne aveva avuto conoscenza
da Maria stessa. È per questo che il Cancelliere di Parigi è un testimone
della tradizione.

Rimane da dire ancora una parola per gli inizi dei tempi moderni. L’esegesi di cui
abbiamo tracciato la storia fu ancora difesa vigorosamente nel secolo XVI da A. Salmeron,
teologo pontificio al Concilio di Trento e uno dei principali esegeti cattolici della
Controriforma
40. Poi comincio
l’eclissi. Duro più di tre secoli. E soltanto nella nostra epoca alcuni teologi
hanno fatto rivivere, su una base più critica, quella che è stata chiamata
a giusto titolo “l’interpretazione di S. Bernardo”. Come abbiamo detto,
essa sembra oggi guadagnare progressivamente terreno nell’esegesi contemporanea.



4. Per illustrare più concretamente questa interpretazione della tradizione,
citiamo qui proprio uno dei suoi principali testimoni, S. Bernardo
41. Il testo che presentiamo appartiene a
una delle grandi omelie Super Missus est, che commentano il racconto dell’Annuncio
a Maria in Luca. Nella seconda omelia pero egli interpreta diffusamente il testo
dell’Annuncio a Giuseppe in Matteo, che forma come un dittico con quello di Luca.
Dopo aver richiamato che, secondo Matteo 1, 19, Giuseppe era “giusto”e
aveva deciso di lasciare Maria, Bernardo continua:

Perché
voleva lasciarla? Senti al riguardo non la mia ma la risposta dei Padri. La ragione
per cui Giuseppe voleva lasciare Maria è la stessa per la quale Pietro voleva
allontanare da sé il Signore dicendogli: “Allontanati da me, Signore,
perché sono un uomo peccatore”;
è anche la ragione per cui
il centurione pregava Gesù di non andare a casa sua: “Signore, io
non sono degno che tu entri sotto il mio tetto”
42. Per questo dunque, anche Giuseppe, reputandosi
indegno peccatore, andava pensando di non poter condurre vita comune con una donna
di cui riconosceva con profondo timore la stupenda dignità e superiorità.
Egli vedeva, con sacro stupore, che ella portava il segno certo della divina presenza
43, e poiché
non poteva comprendere questo mistero, voleva lasciare la sua sposa. Pietro ebbe
paura della grandezza della potenza di Cristo, il centurione ebbe timore della maestà
presente in lui; anche Giuseppe, poiché era un uomo, ebbe spavento per la
novità di una meraviglia così grande, per la profondità del
mistero. Per questo decise di lasciare segretamente Maria. Tu ti stupisci che Giuseppe
si giudichi indegno della compagnia di questa vergine incinta, e vedi santa Elisabetta
che non riusciva a sopportare la presenza di lei se non con riverente timore. Perché
ella dice: “In grazia di cosa mi è concesso questo favore, che la
madre del mio Signore si degni di venire a me?”.
Ecco dunque perché
Giuseppe voleva lasciarla
44.

Concludiamo
questo capitolo con due note. La prima è di ordine metodologico. Nelle pagine
precedenti abbiamo combinato due approcci per giungere alla intelligenza del testo.
Da una parte un’analisi filologica ed esegetica precisa (lo studio del vocabolario,
della sintassi, delle strutture letterarie); dall’altra, il ricorso alla tradizione
patristica e medievale. Abbiamo potuto constatare che i due metodi si completano
e si integrano in modo mirabile, permettendo di giungere a una interpretazione veramente
teologica del passo.

L’altra nota è piuttosto una domanda: quale posto occupa questo capitolo sull’Annuncio
a Giuseppe in un’opera che tratta del mistero di Maria? Non è
sufficiente rispondere dicendo che la concezione verginale di Maria è al centro
dell’episodio, perché forma precisamente l’oggetto delle perplessità
di Giuseppe e delle spiegazioni dell’Angelo. C’è qualcosa di più,
almeno nella interpretazione proposta sopra. Il racconto di Matteo ci mostra quale
deve essere il modo autenticamente cristiano di accogliere nella fede questo
mistero della concezione verginale di Maria. In questo senso si può dire –
è permesso usare qui un termine moderno – che Giuseppe, sposo di Maria, ci
fornisce l’esempio della prima “ricezione” di tale mistero, attraverso
il suo atteggiamento di fede, di umiltà, di rispetto. E così il suo
comportamento diventa un modello per tutti i credenti, in particolare oggi.
In un’epoca in cui, troppo spesso, si parla della concezione verginale e della verginità
di Maria soltanto per metterle in dubbio o per discuterne sotto un aspetto unicamente
fisico, l’esempio di Giuseppe ci invita a riconoscere in tale verginità il
mistero dell’azione di Dio in Maria. Cosi questo capitolo anticipa in qualche
modo il capitolo 4, in cui parleremo del senso della concezione verginale,
nell’insieme del mistero dell’Alleanza.






NOTE







*Adattamento del testo tratto da. I.de LA Potterie, Maria nel
mistero dell’alleanza
, Torino: Marietti,1988, pp. 65-92.


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Diamo qui una nostra traduzione letterale. La giustificheremo e la spiegheremo ulteriormente
nel corso del capitolo.

1 Cfr. lo scritto giudaico delle Toledoth Jeshu. Per una documentazione
più ampia sul contesto storico-religioso, cfr. X. PIKAZA, Los origenes
de Jesús. Ensayos de cristologia biblica,
Salamanca 1976, 279-286. Qual
è la posizione di Pikaza? Si veda il capitolo “Concebido por obra del
Espiritu Santo” (pp. 269-307). Egli riconosce che lo sfondo storico non basta
per spiegare tutti i dati dei vangeli. Ma bisogna, dice, evitare qui due estremi:
pretendere (come fa p. es. H. Küng) che il concepimento verginale non può
essere stato un fatto storico, oppure, in senso opposto, affermare che il fatto
storico del concepimento verginale è necessario per la rivelazione
della divina figliolanza di Cristo. Per X. Pikaza, è più probabile
che Gesù sia nato da rapporti conungali normali tra Ginuseppe e Maria e che
i “fratelli”di Gesù siano autentici fratelli (p. 37). La dottrina
tradizionale del “concepimento verginale”sarebbe quindi da valutare semplicemente
come un theologoumenon. Questa opinione è abbastanza diffusa oggi.
Ne riparleremo al cap. 4.

2 Per i problemi che stiamo per discutere si possono consultare i
lavori di sintesi sui vangeli dell’infanzia: R.E. BROWN La nascita del Messia
secondo Matteo e Luca,
Assisi 1981; R. LAURENTIN, I vangeli dell’infauzia
di Cristo,
cit.

3 Per esempio A. Descamps, R.E. Brown.

4 È l’opinione di C. SPICQ, Joseph, son mari, étant
juste… (Mt 1,
19), “Revue Biblique”, 71 (1964), 206-214.

5 AGAQOS O CRHSTOS

6 Boxtel 1981.

7 X, LÉON-DUFOUR, L’annuncio a Giuseppe, in ID., Studi
sul Vangelo,
Milano 1967,(Paris 1965, 65-86; cfr. p. 68). Ma più avanti
(p. 81) egli propone piuttosto, seguendoEusebio (cfr. infra): “di non
divulgare il mistero di Maria”.

8 Eb 6,6: “Crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo
espongono all’infamia”. È significativo che in Matteo 1,19 un
buon numero di manoscritti abbia sostituito DEIGMATISAI con PARADEIGMATISAI cosa
che riflette una interpretazione più malevola dell’atteggiamento di Giuseppe.

9 Quaestiones Evangelicae 1, 3 (PG 22, 884 D).

10 Nel corso di un seminario all’Istituto Biblico abbiamo ricercato
tutti gli usi conosciuti di questo verbo e, in effetti, essi sono per la maggior
parte peggiorativi; cos’ per esempio in Col 2, 15.

11 In Matthaeum (PL 26, 24); Glossa ordinaria (PL
114, 70 D).

12 Si veda p. 54 riguardo i costumi giudaici inerenti al matrimonio.

13 In ebraico si trova qui la parola ‘almah che significa
semplicemente una giovane nubile. In Isaia si tratta, in effetti, di una giovane
in età e in condizione di sposarsi, che normalmente è anche vergine.
Tuttavia -questo è molto importante- i Settanta hanno tradotto ‘almah con
PARQENOS “vergine”. Il testo della Settanta è una versione greca
della Bibbia ebraica realizzata dalla comunità giudaica di Alessandria d’Egitto
nel II o I secolo a.C. Non è soltanto una traduzione, ma anche un’attualizzazione
della Bibbia. Questo testo vuol rendere comprensibile l’antico testo ebraico per
i Giudei di Alessandria. Il testo dei Settanta, molto più messianico dell’ebraico,
si trova incontestabilmente più vicino al Nuovo Testamento. Per questo è
un peccato che, a motivo di una preoccupazione troppo esclusivamente storica, si
ometta spesso questo anello intermedio e si voglia risalire quasi sempre ai testi
più antichi. Ma la rivelazione prosegue, il testo viene precisato interpretato,
alle volte completato. Cosi, per esempio, nel nostro caso: la parola ebraica ‘almah
diventa PARQENOS “vergine”, nella Bibbia greca. ‘Almah può
naturalmente includere che la giovane che si sta per sposare è ancora vergine,
ma non lo suggerisce da sé. PARQENOS al contrario, significa chiaramente “vergine”.
Nella polemica giudaica anti-cristiana (poiché i cristiani applicavano naturalmente
il testo di Isaia a Maria), i Giudei ellenisti, in una nuova versione greca del II
sec. dopo Cristo, hanno scelto un’altra parola che significa semplicemente “una
giovane”(NEANIS), eliminando il termine PARQENOS che i cristiani leggevano,
applicandolo alla madre di Gesù.

14 Interpretare bene significa situare un elemento in modo esatto
nell’insieme al quale appartiene. È un celebre principio della linguistica:
quello del circolo ermeneutico o del rapporto delle parti con il tutto.

15 Nella profezia di Isaia si trova “Emmanuele”e non Gesù.
A prima vista questo sembra fare difficoltà, ma l’evangelista non poteva cambiare
ciò che il profeta aveva detto. Tuttavia il significato del nome Emmanuele,
“Dio-con-noi”, è, in definitiva, lo stesso che quello del nome Gesù:
“JHWH salva”, la presenza divina è una presenza che salva.

16 Torneremo ancora sulla traduzione di questi versetti per mostrare
come la giustifichiamo.

17 Ecco un esempio classico della differenza tra le due costruzioni:
“Cicerone, il console, fece pubblicare un ordine”; “il console”è
qui un’apposizione. Ma nella proposizione: “Cicerone, come console, fece
pubblicare un ordine”, “come console”questa volta è un complemento
predicativo.

18 La parola “fidanzata”qui non è del tutto precisa.
Ciò che il fidanzamento significa nel nostro contesto, era tra i giudei la
prima fase del matrimonio giuridico. Meglio sarebbe usare la parafrasi “era
già sposata a Giuseppe, ma non abitava ancora con lui”.

19 M.-J. LAGRANGE, Evangile selon saint Matthieu, Paris 1923,
10.

20 Il protovangelo di Giacomo – uno dei più antichi scritti
apocrifi (II sec.) – lo presenta in questo modo. Dato che, dopo i vangeli esso è
uno dei racconti più antichi su Gesù, è interessante vedere
come l’episodio è riferito in questi racconti popolari. L’interpretazione
del protovangelo lo presenta come se Giuseppe avesse constatato dopo alcuni mesi
che sua moglie era incinta. Egli si indigna, ma Maria lo supplica di credere che
non gli è stata infedele Ella tuttavia deve apparire davanti al Sommo sacerdote,
al quale ripete la stessa spiegazione: la sua innocenza è confermata in modo
meraviglioso. Qui entriamo del tutto nella leggenda.

21 Ecco alcuni esempi nel Nuovo Testamento: Lc 9, 36; 17,
17; At 5, 39; 8, 40; 2 Cor 5, 3; Gal 2, 17; Ap 20,15.

22 Super evangelium S. Matthaei lectura, Torino 19515, n.
111.

23 Si veda più sopra p. 69; cfr. a questo proposito ciò
che scrive P. JOÜON, L‘Evangile de Notre-Seigneur Jésus Christ,
Paris 1930, 4: “DEIGMATIZW “scoprire qualcuno”, secondo Eusebio
(FANERON POIHSAI), e così comprende la Peshitto (parsi)”; la Peshitto
è la versione siriaca comune del Nuovo Testamento. Nella Volgata il verbo
in Matteo 1, 19, è tradotto con il verbo traducere; ma nella tradizione
latina si trova anche divulgare, propalare, patefacere.

24 Questo dettaglio filologico fu analizzato per la prima volta
da R. THIBAUT, Le sens des paroles du Christ, Bruxelles-Paris 1940, 74 s.
(specialmente p. 75, n. 1; applicazione a Mt 1, 20). Questa spiegazione fu ripresa
e sviluppata da X. Léon-Dufour, in due articoli che l’autore ha in seguito
sintetizzato sotto il titolo L’annuncio a Giuseppe, cit. La sua argomentazione
fu completata poco più tardi da A. PELLETIER, L’Annonce à Joseph,
“Revue de Science Religieuse”, 54 (1966), 67 s. La stessa interpretazione
è stata ripresa recentemente da R. Laurentin (I vangeli dell’infanzia di
Cristo,
cit.), si veda, inoltre, J. MC HUGH, La mère de Jésus
dans le Nouveau Testament,
cit., 213-216.

25 Ecco come A. Pelletier (L’Annonce à Joseph, cit.,
68 s.) descrive il senso di queste formule binarie: “Il tratto comune a tutti
questi casi è il loro carattere dialettico La formula MEN GARÖ DEÖ costituisce
l’articolazione di un ragionamento che intende prevenire una obiezione tratta
da un fatto peraltro incontestato”(corsivo nostro).

26 Vedere, a proposito di Matteo 22, 14, la traduzione e l’eccellente
commento di R THIBAUT, Le sens des paroles du Christ, cit., 74: “”Perché,
certamente, ci sono molti chiamati, ma (tra loro) pochi sono eletti”.
E come se il Cristo dicesse: “Il grande numero di chiamati non impedisce che
ci sia un piccolo numero di eletti””.

27 Il pronome SOI è attestato da testimoni molto antichi,
l’abbiamo messo tra parentesi e l’abbiamo integrato nella nostra traduzione: “Ella
[ti] partorirà un figlio”.

28 Confrontare la traduzione (commentata) di A. PELLETIER, L’Annonce
à Joseph,
cit. 68: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere
con te Maria tua sposa, perché anche se ciò che è stato
generato in lei è l’opera dello Spirito Santo, ella ti partorirà
un figlio al quale tu devi dare il nome di Gesù”(corsivo nostro).

29 Compariamo il testo della LXX e quello di Matteo:

LXX: KAI KALESEIS TO ONOMA AUTOU EMMANOUEL.

Mt: KAI KALESOUSIN TO ONOMA AUTOU EMMANOUHL.

30 Per la storia dell’esegesi di Matteo l, 18-25, oltre alla rassegna
di A. Salmeron (Commentarii in Evangelicam Historiam et in Acta Apostolorum, III,
Tr. 30, Colonia 1602, 233-245), disponiamo oggi solo dei seguenti studi: A. POTTIER,
L’angoisse de saint Joseph d’après saint Bernard, écho de la Tradition,
Paris 1929 (32 pp ); R. BULBECK, The Doubt of St. Joseph, “Catholic
Biblical Quarterly”, 10 (1948), 296 309 (soprattutto pp. 296-298). Ma si trovano
anche utili indicazioni nell’articolo di X. LÉON-DUFOUR, L’annuncio a Giuseppe,
cit. e in J. MC HUGH, La mère de Jésus dans le Nouveau Testament,
cit., 208-216.

In un seminario all’Istituto Biblico (1980-81), abbiamo studiato le diverse questioni
poste dalla pericope ed esaminato tutti gli aspetti del problema, sia dal punto di
vista filologico che dal punto di vista della storia dell’esegesi.

31 X. LÉON-DUFOUR, L’annuncio a Giuseppe, cit., 93.

32 Si veda il titolo del lavoro di A. POTTIER, L’angoisse de
saint Joseph d’après saint Bernard,
cit.

33 Si veda G. MORIN, Les homélies latines sur S. Matthieu
attribuées à Origène, “
Revue Bénédectine”
54 (1942), 3-11 (cfr. 9 s.).

34 Si troveranno i riferimenti dettagliati a questi autori in X.
LÉON-DUFOUR, L’annuncio a Giuseppe, cit., e J. MC HUGH, La mère
de Jésus dans le Nouveau Testament,
cit.

35 Cfr. R. BULBECK, The Doubt of St. Joseph, cit., 197 s.,
che riassume le conclusioni di P. BATTIFOL, Histoire du Bréviaire Romain,
Paris 19113. Su ordine di Carlo Magno, verso il 786, un monaco di Montecassino,
Paolo Diacono, fece una compilazione di testi per un Homiliarius, che doveva
essere diffuso in tutte le province dell’impero. La omelia dello Pseudo-Origene vi
fu incorporata, per essere letta alla vigilia di Natale. Cosi essa conobbe una grande
diffusione in tutto il Medioevo, e fu conosciuta anche da S. Bernardo e da S. Tommaso.

Il testo dell’omelia dello Pseudo-Origene si trova tra le opere di Origene (GCS,
XII 239-245) o nell’Omiliario di Paolo Diacono: Hom. XVII (PL 95, 1162-1167).

36 Rabano Mauro (PL 107, 749 A), Zaccaria Crisopolitano (PL 186,
71 B), la Glossa ordinaria (PL 114, 70 D).

37 Opera XI, 17 (menziona anche le altre interpretazioni).

38 Summa theol., Supplementum, III, q. 62, art. 3,
ad IIum, vedere anche In IV Sent., d. 30, q. 2, art. 2, ad Vum; d. 35; q.
1, art. 3, ad IIum.

39 J. GERSON, Considérations sur Saint Joseph, in
ID., Oeuvres complètes, VII, Oeuvres françaises, Paris
1966, 63-94 (cfr. pp. 85 s.).

40 A. SALMERON, Commentarii in Evangelicam Historiam et in Acta
Apostolorum,
III, Tr. 30, cit., 233-245.

41 Hom. “Super missus est” II, 14 (PL 183, 68).

42 Nella tradizione, con alcune variazioni a seconda degli autori,
si sviluppa sempre lo stesso tema, cioè il parallelismo tra il caso di Giuseppe
e quello di tre personaggi dei vangeli: Elisabetta, che vede entrare in casa la Madre
del Salvatore e che dice: “A che debbo che la Madre del mio Signore venga a
me?”(Lc 1, 43); Pietro, che al momento della pesca miracolosa, grida: “Signore,
allontanati da me che sono un peccatore”(Lc 5, 8); e il centurione che dice
al Signore: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto”(Lc
7, 6). Sono questi – con sfumature differenti tre atteggiamenti analoghi: timore
e rispetto davanti alla santità della persona di Gesù. Anche questo
parallelismo tradizionale risale al testo dello Pseudo-Origene (PL 95, 1164)

43 Qui entriamo già nell’ambito della leggenda. Nella seconda
parte del Medioevo troviamo ancora altri testi dello stesso genere (per esempio nella
Vita Jesu Christi di Ludolfo di Sassonia, detto anche il Certosino): come
Mosè il cui viso irraggiava lo splendore divino mentre scendeva dal Sinai,
così Maria avrebbe sprigionato uno splendore che ispirava timore e rispetto
a Giuseppe (cfr. A. SALMERON, Commentarii in Evangelicam Historiam et in Acta
Apostolorum,
cit. 243 a: “Ex vultu virginis splendido ac glorioso, ut quidam
ex Patribus tradunt”); come il popolo d’Israele non osava guardare Mosè
a motivo dello splendore del suo viso (cfr. 2 Cor 3, 13), così Giuseppe non
avrebbe osato rimanere più a lungo vicino a Maria.

44 Al n. 15 di questa stessa omelia, Bernardo menziona l’altra interpretazione,
secondo la quale Giuseppe avrebbe sospettato la sua sposa di adulterio: lascia intendere
che si può darne anche una spiegazione. Secondo lui, tuttavia, questa esegesi
non rende ragione del testo del vangelo. È chiaro che Bernardo propende per
la prima interpretazione, “quella dei Padri”.



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