Dipende solo da noi far bene l’orazione ordinaria

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

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CAPO XVIII. Si mostra praticamente come sta in man nostra il far sempre buona orazione e il cavar frutto da essa

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1. E in mano nostra il far bene l'orazione ordinaria.
2. Non è che l'esercizio delle tre potenze.
3. Nei cui atti sta la sostanza dell'orazione.
4. Si prova dal contrario.
5. Dobbiamo migliorarci coll'orazione.
6. Questa supplisce a tutto il resto.

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1. L'orazione specialissima e straordinaria, della quale abbiamo parlato di sopra, è un dono particolarissimo di Dio, il quale non lo dà a tutti, ma a chi piace a lui; ma l'orazione mentale ordinaria e semplice, della quale adesso andiamo trattando, il Signore non la nega a nessuno. Ed è errore quello di alcuni, ai quali, perché non arrivano a quella alta orazione e contemplazione, pare che non possano far orazione, o che non siano atti per essa; essendo quest'altra molto buona e molto utile orazione, e potendo noi con essa essere perfetti. E di più essendo questa molto buona e molto propria disposizione per quell'altra più elevata e sublime orazione, se Dio ce la vorrà concedere. Ora di questa orazione andremo dichiarando adesso come, colla grazia del Signore, sta in man nostra il farla sempre bene e il cavar frutto da essa; il che è cosa di grande consolazione. Per due vie possiamo raccogliere questo molto bene da quello che si è detto.

2. La prima è, perché il modo d'orazione che c'insegna il nostro Santo Padre è l'esercitar ivi le tre potenze dell'anima nostra, proponendo colla memoria agli occhi dell'intelletto il punto o mistero, sopra del quale vogliamo far orazione, e subito entrare coll'intelletto a discorrere, meditare, considerare quelle cose che più ci aiuteranno a muovere la volontà nostra; e poi subito hanno da seguitare gli affetti e desideri della volontà. E questa terza cosa abbiamo detto che è la principale e il frutto che abbiamo da cavare dall'orazione: di maniera che non consiste l'orazione nelle dolcezze e nei gusti sensibili, che sentiamo e sperimentiamo alcune volte; ma negli atti che facciamo colle potenze dell'anima nostra. Ora il far questo sta sempre in man nostra, ancorché ci troviamo molto aridi e mesti. Perché quantunque io mi trovi più secco che un legno e più duro che un sasso, sta in mia mano il fare, col favore del Signore, un atto di odio, di aborrimento e di dolore dei miei peccati; un atto di amor di Dio, un atto di pazienza e un atto di umiltà e di desiderio di esser disprezzato e vilipeso, per imitar Cristo disprezzato e vilipeso per me.

3. Bisogna però qui avvertire che il far buona orazione e il frutto di essa non sta nel far uno di questi atti con gusto e consolazione sensibile, né in sentire assai quel che si fa; né sta in questo la bontà e la perfezione degli stessi atti, né il merito di essi. E si deve questo notar bene, perché suole essere inganno assai comune di molti, i quali si attristano, parendo loro che non facciano niente nell'orazione, perché non sentono tanto dolore delle loro colpe, o tanta affezione e desiderio della virtù quanto vorrebbero. Questi sono sentimenti dell'appetito sensitivo, e la volontà è potenza spirituale e non dipende da questo; onde non è di bisogno che uno senta in questo modo i suoi atti, ma basta che voglia quella cosa colla volontà.

E così i teologi e i Santi, trattando della contrizione e del dolore dei peccati, consolando con questo i penitenti, i quali, accorgendosi della gravezza del peccato mortale, si contristano per non potersi disfare in lagrime, né sentire in sé quel dolore sensibile; perché vorrebbero essi che si spezzassero loro le viscere per dolore: e dicono: Avvertite che la vera contrizione e il dolore dei peccati non sta nell'appetito sensitivo, ma nella volontà. Dispiacciati di aver peccato per essere il peccato offesa d'un Dio degno di esser amato sopra ogni cosa, ché questa è la vera contrizione; e cotesto altro è un movimento sensibile dell'appetito, il quale, quando ti venga dato dal Signore ricevilo con rendimènto di grazie; e quando no, non ti dia fastidio; ché Dio non ricerca questo da te. perché è cosa chiara che non ricercherebbe egli da noi quello che non è in poter nostro: e cotesto sentimento, che tu vorresti avere, e cotesto gusto e devozione sensibile non stanno in poter nostro. E così non li ricerca Dio da noi, ma ricerca solamente quello che sta in mano nostra, che è il dolore della volontà; il quale non dipende da alcuna di queste cose. E lo stesso è negli atti dell'amor di Dio. Amalo tu colla tua volontà sopra tutte le cose, ché cotesto è amore forte e appreziativo, e quello che Dio ricerca da noi; cotest'altro è amor tenero, il quale non sta in poter nostro. Il medesimo è negli atti delle altre virtù e in tutti i buoni propositi che concepiamo.

4. La verità di questo meglio ancora si scorgerà dal contrario; perché è certo che se uno colla volontà vuole e consente in un peccato mortale, ancorché non v'abbia alcun altro sentimento né gusto, pecca mortalmente, e perciò merita l'inferno. Dunque volendo quello che è buono, benché non abbia altro gusto né altro sentimento, piacerà a Dio e meriterà il cielo, specialmente essendo Dio più pronto a premiare che a castigare. Anzi molte volte questi atti sono più meritori e più grati a Dio, quando si fanno con un cuor così secco, senza gusto né consolazione sensibile; perché sono più puri, più forti e più durevoli, e più vi mette uno allora del suo in essi, che quando è portato dalla devozione. E così è segno di virtù più soda e di volontà più ferma nel servizio di Dio, perché uno il quale senza questi aiuti di costa, di gusti e consolazioni spirituali, fa tali atti, che farebbe se avesse di più tali aiuti?

Dice molto bene il padre B. Giovanni d'Avila: Quegli che ha questi gusti sensibili è portato nelle braccia come bambino; ma quest'altro che non gli ha, cammina coi suoi piedi come grande. Il Blosio dice che questi sono come quelli che servono qualche padrone a spese loro (Blos. Monil. spir. c. 3, n. 4). Ed importa grandemente che ci andiamo assuefacendo a far l'orazione in questo modo; perché in molti la parte più ordinaria dell'orazione suole esser aridità, in codesti altri sono carezze straordinarie. Come quei che navigavano un tempo in alto mare con galere, quando mancava loro il vento, facevano viaggio a forza di remi; così quelli che trattano d'esercitarsi nell'orazione, quando manchi loro il vento prospero delle illuminazioni e carezze del Signore, hanno da procurare di navigare coi remi delle loro potenze, aiutate dal favore dello Spirito Santo, benché non sia tanto copioso e sovrabbondante.

5. Secondariamente possiamo dimostrar questo stesso prendendo la cosa per un'altra strada. Ed è che l'orazione, come abbiamo detto, non è fine, ma mezzo che pigliamo per nostro profitto e per riportar vittoria delle nostre passioni e male inclinazioni; acciocché spianata la strada e levati via i disturbi e gli impedimenti, ci diamo totalmente a Dio e ci mettiamo nelle sue mani. Quando caddero a S. Paolo le cataratte dagli occhi dell'anima in virtù di quel lume celeste e di quella voce divina, «Io sono Gesù, che tu perseguiti» (Act. 9, 5-6), quanto restò cambiato, quanto convinto, quanto risoluto, quanto pronto per far la volontà di Dio! «Signore, che cosa vuoi che io faccia!» Questo è il frutto della buona orazione.

E di più dicevamo che non ci abbiamo da contentare di ricavare dall'orazione proponimenti e desideri generali; ma che dobbiamo discendere in particolare a quella cosa della quale abbiamo maggiore necessità, e prepararci a sopportar bene le occasioni che fra giorno ci si possono e sogliono presentare, e a procedere in ogni cosa con edificazione. Ora applicando la data dottrina al nostro proposito, il fare tutto questo, colla grazia del Signore, sempre sta in nostra mano; perché sempre possiamo dar di piglio a quella cosa della quale abbiamo maggior bisogno. Dia uno di piglio all'umiltà, un altro alla pazienza, un altro all'ubbidienza, un altro alla mortificazione e rassegnazione, e procuri d'uscir dall'orazione molto umile, molto rassegnato e indifferente, molto desideroso di mortificarsi e conformarsi in .ogni cosa alla volontà di Dio, e sopra tutto procuri ciascuno di cavar sempre dall'orazione questo frutto, di vivere bene quel giorno e di portarsi con edificazione, secondo che il suo stato rispettivamente domanda; e in questo modo avrà fatta molto buona orazione e migliore che se avesse avute molte lagrime e molte consolazioni.

6. Ciò supposto, non accade nemmeno pigliarsi fastidio per provare che nell'orazione non ci vogliono molti discorsi e considerazioni, né alti sentimenti e devozioni; perché l'orazione non sta in queste cose, ma nell'altra, che già abbiamo detto. Nemmeno occorre fare molto conto delle distrazioni e pensieri che ci sogliono inquietare nell'orazione, senza che noi li vogliamo; di cui siamo soliti lamentarci molto ordinariamente. Procura tu, quando te ne accorgi e ritorni in te, di rimetterti di nuovo su quella cosa della quale hai necessità, e su quel frutto che pretendi cavare dall'orazione; ché con questo supplirai e rimedierai al tempo che è andato nella distrazione e ti vendicherai del demonio, che ha procurato di tenerti tanto distratto con pensieri importuni.

Questo è un avvertimento molto utile per l'orazione. Come facendo uno viaggio in compagnia d'altri, mentre s'addormentò, i compagni passarono innanzi: ma egli di poi svegliato affrettò tanto il passo che li raggiunse; così tu, quando t'accorgi della distrazione e torni in te, hai da usar tale industria, che nell'ultimo quarto che ti resta dell'ora faccia quanto avresti avuto a fare in tutta l'ora, se fossi stato bene attento. Fa il conto con te stesso e di' così: Che cosa era quella ch'io pretendevo cavare dall'orazione? qual era il frutto ch'io andavo preparato a cavarne? Umiltà? Indifferenza? Rassegnazione? conformità alla volontà di Dio? al certo che l'ho da cavare in ogni modo da questa orazione, a dispetto del demonio. E quando ti parrà, che in tutta l'orazione le cose siano andate male e che non ne abbia cavato il frutto che desideravi; avrai da far questo nell'esame dell'orazione, del quale ragioneremo appresso; e con ciò supplirai ai mancamenti fatti nell'orazione, e ad ogni modo caverai frutto da essa.