Dimenticarsi del bene passato e metter l’occhio in quello che manca

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO PRIMO. Della stima, e desiderio, e affezione, che dobbiamo avere a quel, che concerne il nostro profitto spirituale, e d’alcune cose, che a quest’effetto ci aiuteranno

CAPO VII. Che aiuta grandemente ad acquistar la perfezione il dimenticarsi l’uomo del bene passato e metter l’occhio in quello che gli manca.
 
1. Sempre più santi!
2. Mezzi: guardare non il già fatto, ma quel che manca.
3. Il primo ci fa superbi e ignavi.
4. Il secondo solleciti.
5, Esempi del viandante, del corridore.
6. Del musicante.
7. Utilità che ne caveremo.
8. L’abate Pambo e S. Francesco Saverio.
 
   1. «Chi è giusto si faccia tuttora più giusto, e chi è santo tuttora si santifichi» (Apoc. 22, 11). S. Girolamo e S. Beda sopra quelle parole del S. Vangelo: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno satollati» (Matth, 5, 6), dicono: «Chiaramente c’insegna Cristo nostro Redentore in queste parole, che non abbiamo mai da pénsare, che ci basti di giustizia quel che abbiamo; ma che ogni giorno abbiamo da procurare di diventar migliori» (S. HIERON. in S. Matth. 5, 6; S. BEDA, Hom, l. 3; Hom. 69). Questo è, quello che c’insegna l’Apostolo ed evangelista S. Giovanni nelle parole proposte.
 
   2. L’Apostolo S. Paolo, scrivendo ai Filippesi, ci dà un mezzo molto a proposito per quest’effetto, del quale dice che egli si valeva: «Io, fratelli, non mi credo di aver toccato la meta. Ma questo solo, che dimentico di quel che ho dietro le spalle, e stendendomi verso le cose che mi stanno davanti, mi avanzo verso il segno, verso il premio della superna vocazione di Dio in Cristo Gesù» (Philipp. 3, 13. 14). Qui l’Apostolo dice, che non si tiene per perfetto; chi dunque si potrà tenere per tale? Io, dice, non mi penso d’aver acquistata la perfezione; procuro però di affrettarmi per acquistarla. E che cosa fate, o santo Apostolo, per arrivarvi? Sai che fo? mi dimentico delle cose passate e mi metto avanti gli occhi quel che mi manca; verso quello mi volgo con ogni sforzo, facendomi animo e procurando di arrivare alla meta del sospirato conseguimento.
   Tutti i Santi commendano grandemente questo mezzo, ed anche per questo stesso che è mezzo dato e praticato dall’Apostolo. Dice S. Girolamo: «Chiunque è santo, ogni giorno si protende verso quello che gli sta innanzi e si dimentica di quello che si lascia dietro». Il che vuoI dire che chiunque vuoI farsi santo deve scordarsi del bene che ha già fatto e farsi coraggio per arrivare a quello che gli manca. «È felice, soggiunge il Santo, colui che ogni giorno va profittando nella virtù». E chi è costui? Sai chi? E colui «che non considera che cosa ha fatto ieri, ma che cosa deve far oggi per fare profitto» e camminare avanti nella virtù (S. HIERON. Sup. Ps. 83).

   3. San Gregorio e San Bernardo dichiarano questo in un modo assai distinto. Due parti molto principali, dicono essi, ha questo mezzo: la prima è, che ci dimentichiamo del bene che sin ora abbiamo fatto e che non stiamo a guardare a questo. E fu necessario che fossimo avvertiti di ciò in particolare, perché è cosa naturale il volgere facilmente gli occhi a quel che più ci diletta e il levarli da quello che ci può cagionare molestia. E siccome il vedere quel tanto che abbiamo profittato e il bene che ci par d’aver fatto ci diletta, e il vedere la nostra povertà spirituale e il molto che ci manca ci attrista; quindi è che gli occhi nostri si avvezzano a riguardare più tosto il bene che abbiamo fatto, che quello che ci resta da fare. Dice S. Gregorio che, come l’infermo va cercando la parte del letto più morbida, più fresca e più gustevole per riposarsi; così è proprio dell’umana infermità, debolezza e imperfezione nostra il compiacerci e il gustare di riguardare e pensare piuttosto al bene che abbiamo fatto, che a quello che ci resta da fare. Di più dice S. Bernardo: «perché se tu riguardi a quello che hai, monti in superbia, mentre ti preponi ad un altro; trascuri di avanzarti, mentre già ti stimi qualche cosa di grande, e cominci a venir meno e a ribassarti» (S. GREG. Mor. l. 22, c. 6, n. 12; S. BERN. Ser. 36, de div. n. 4). Sappiate, ci dice il . Santo, che vi sono in ciò molti pericoli; perché se vi mettete a riguardar quel bene che avete fatto, non vi servirà ad altro che ad insuperbirvi, parendovi di essere qualche cosa; e quindi ve ne passerete subito a paragonarvi ad altri, e a preferirvi loro, ed anche a stimar essi poco, e voi stessi assai. Se non lo credete, vedetelo in quel Fariseo del Vangelo, le cui cose passarono perciò tanto male. Pose egli gli occhi nel bene che era in lui e si fece a rammemorare le virtù sue, dicendo: Vi ringrazio, Signore, ch’io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, né come questo pubblicano che è qui. Digiuno due volte la settimana, pago. puntualmente le decime e primizie. Disse Cristo   nostro Redentore che quel pubblicano, al quale il Fariseo si preferì, uscì di là giustificato; e costui, che si reputava giusto, ne uscì condannato per ingiusto e mal uomo (Luc. 18, 14 segg.).
   Questo è quel che pretende il demonio col metterti dinanzi agli occhi il bene che ti pare che sia in te: pretende con questo, che tu ti tenga da qualche cosa, che t’insuperbisca, che disprezzi gli altri e ne faccia poco conto, acciocché così tu resti condannato per superbo e malvagio. Inoltre, dice S. Bernardo (S. BERN. 1. c.), tu corri un altro pericolo col mettere gli occhi nel bene che hai fatto e nelle fatiche che hai sopportate; ed è, che questo ti servirà a farti trascurato e negligente nel camminare avanti, e lento e tiepido nel procurare il tuo profitto; mentre ti parrà di esserti affaticato assai nella religione e di poterti oramai riposare. Siccome chi sale un monte, quando comincia a stancarsi, rivolge gli occhi indiètro per vedere quanto ha fatto di cammino; così noi altri, quando ci stanchiamo ed entra in noi la tiepidezza, ci mettiamo a guardare quello che abbiamo lasciato addietro; il che fa che ci contentiamo di quello e che ce ne restiamo più posati nella nostra lentezza. Or per fuggire questi inconvenienti e pericoli conviene grandemente che non stiamo a mirare il bene che abbiamo fatto, ma quel che ci manca; perché la prima vista c’invita al riposo, e la seconda alla fatica.
 
   4. E questa è la seconda parte di questo mezzo che ci propone l’Apostolo; che sempre teniamo gli occhi volti a quel che ci manca, affine di farci coraggio e sforzarci per arrivare. Il che dichiarano i Santi con alcuni esempi e similitudini usuali. San Gregorio dice: Come quegli che deve dare mille scudi ad un altro, non resta quieto né libero da ogni pensiero per averne pagati duecento o quattrocento; ma sempre sta cogli occhi fissi in quel che gli rimane a pagare; e fin che non abbia finito di pagar tutto il debito, sempre sta con quell’ansia: così noi altri non dobbiamo considerare che col bene che abbiamo fatto fin ora abbiamo già pagata una parte del debito nostro con Dio; ma dobbiamo considerare il molto che ci resta da pagare; e questo è quello che ci ha da tenere ansiosi, e la spina che abbiamo da portare sempre fitta nel cuore. Di più, soggiunge lo stesso S. Gregorio, siccome i pellegrini e buoni viandanti non guardano quanto hanno camminato, ma quanto resta loro da camminare; e questo tengono sempre dinanzi agli occhi fin a tanto che abbiano finita la giornata; così noi altri, «giacché siamo pellegrini e viandanti che facciamo viaggio verso la nostra patria celeste, non abbiamo da guardare quel che ci pare d’aver camminato, ma quel che ci resta da camminare» (S. GREG. Mor. l. 22, c. 6, n. 12).
 
   5. Guarda, dice S. Gregorio, che a quelli che vanno per viaggio e intendono arrivare a qualche luogo, poco giova loro l’avere già camminato assai, se non finiscono il resto del viaggio; e guarda ancora che il premio della corsa, assegnato per quelli che corrono meglio, non lo guadagna colui che ha corso gran parte di essa molto velocemente, se al fine si stanca; e rifletti che così ancora poco gioverà a te che abbi cominciato a correr bene, se ti stanchi a mezza la corsa. «Correte in guisa da far vostro il premio» (I Cor 9, 24), dice l’Apostolo. Non far conto di quel che fin qua hai corso; ma tieni sempre fissi gli occhi al luogo e termine ove sei inviato, che è la perfezione; e guarda il molto che ti manca; ché in questa maniera camminerai bene. Dice S. Giov. Crisostomo che chi considera che non è arrivato al termine, non lascia mai di correre (S. CHRYS. Hom. 24 in ep. ad Rom. n. 1).
 
   6. S. Bernardo (Ser. 36 de div. n. 3) dice, che abbiamo da essere come i mercanti e negozianti del mondo. Vedrai un mercante ed un uomo di traffico, che usa tanta diligenza e sollecitudine per guadagnare e per aumentare ogni giorno la roba, che non fa conto di quel che ha guadagnato e acquistato sino a quell’ora, né delle fatiche che vi ha spese; ma tutta la sua cura e sollecitudine la mette a far nuovo guadagno e in moltiplicarlo ogni giorno più, come se per l’addietro non avesse fatto né guadagnato niente. Or così, dice il Santo, abbiamo da fare ancor noi. Tutto il nostro pensiero e sollecitudine ha da essere, come abbiamo da aumentare ogni giorno il nostro capitale; come ci abbiamo da avanzare giornalmente in umiltà, in carità, in mortificazione e in tutte le altre virtù, a guisa di buoni mercanti spirituali, non facendo conto di quel tanto che per l’addietro abbiamo faticato, né di quel tanto che abbiamo acquistato; e così Cristo nostro Redentore dice che il regno dei cieli è simile ad un uomo che traffichi, e ci comanda che traffichiamo. «Negoziate fino al mio ritorno» (Luc. 19, 13).
   E per servirci tuttavia della similitudine del mercante, giacché ce la propone il sacro Vangelo, guarda quanta diligenza e sollecitudine usano i mercanti e gli uomini di traffico mondano, che non perdono un punto, né lasciano passar occasione alcuna, nella quale possano aumentare il loro capitale, che non lo facciano; e fa così tu ancora. Non perdere un punto, né lasciar passare alcuna occasione, nella quale tu possa profittare, e non lo faccia. «Studiamoci tutti costantemente di non trascurare parte alcuna di perfezione, che con l’aiuto di Dio possiamo acquistare»: ce lo dice il nostro santo Padre nelle sue Regole (Const. p. 6, c. 1, § 15; Summ. 15; Epit. 171. § 2). Non avete da lasciar passar occasione alcuna, nella quale non procuriate di cavare qualche guadagno spirituale; da, quella paroletta pungente che vi disse colui, dall’ubbidienza che vi fu ordinata contro la vostra volontà, dall’occasione che vi si porse d’umiliarvi. Tutte queste cose sono vostri guadagni, e voi stessi dovreste andar a cercare e a comprare simili occasioni; e in quel giorno nel quale più ve se ne saranno presentate, dovreste andarvene a dormire più contenti ed allegri. Come fa il mercante quel giorno, nel quale se gli sono presentate più occasioni di guadagnare; perché in quel giorno le cose del suo mestiere sono andate bene per lui: e così anche in quel giorno sono andate bene per voi le cose toccanti alla vostra professione di religioso, se avete saputo approfittarvene. E siccome il mercante non sta a guardare se un altro perde, né si piglia collera con lui per questo, ma solamente fa conto del suo guadagno, e di questo si rallegra; così voi non dovete star a guardare se quell’altro ha fatto bene o male a darvi quell’occasione, né se ha avuto ragione o no di farlo; né avete a sdegnarvi contro di lui, ma sì rallegrarvi del vostro guadagno. Quanto lontani saremmo dal turbarci e dal perdere la nostra pace, quando ci si porgono simili occasioni, se camminassimo in questa maniera! Poiché se quella cosa, che ci potrebbe attristare e privare della pace, è quella medesima che noi altri desideriamo e andiamo cercando, che cosa ci potrà inquietare e torci la pace?
   Inoltre considera, come il mercante va tanto ingolfato nei suoi guadagni, che pare che non pensi ad altro, e in tutti gli incontri e le occorrenze che vengono, subito i suoi occhi e il suo cuore si volgono a vedere come ne potrà cavare qualche guadagno. E mentre mangia, sempre sta pensando a quèsto; e con tal pensiero e sollecitudine se ne va a letto, si sveglia la notte, si leva la mattina e passa tutto il giorno. Or così dobbiamo far noi nel negozio delle anime nostre, e procurare che in tutti gli incontri e le occorrenze che avvengono subito gli occhi e il cuore s’avvezzino a guardare come ne potremo cavare qualche guadagno spirituale. Mangiando, abbiamo a stare in questo pensiero, e col medesimo andarcene a letto, levarci e passar tutto il giorno e tutta la vita; perché questo è il nostro negozio e il nostro tesoro, né v’è altra cosa da cercare. Aggiunge S. Bonaventura (S. BONAV. De ext. et int. etc. 1. 3, c. 3, n. 3) che, come il mercante non trova quel che desidera e che gli fa di bisogno tutto insieme in un mercato o in una fiera, ma in diversi; così il religioso ha da cercare il suo profitto e perfezione, non solo nell’orazione e nella consolazione spirituale, ma ancora nella tentazione, nel travaglio, nella fatica, nell’ufficio e in tutte le occasioni che se gli presentano.
 
   7. Oh se procurassimo e cercassimo in questo modo la virtù, quanto presto ci troveremmo ricchi! «Se cercherai di lei come si fa delle ricchezze, e la scaverai come si fa dei tesori, allora tu imparerai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio» (Prov 2, 4-5), dice il Savio. B con questo non ricerca il Signore da noi gran cosa, dice S. Bernardo; poiché per acquistare la vera sapienza e il vero tesoro, che è lo stesso Dio, non si richiede maggior diligenza e sollecitudine di quella che gli uomini del mondo impiegano nell’acquisto delle ricchezze transitorie, che sono soggette alla tignola ed ai ladri, e dimani finiranno. Sebbene di ragione dovrebbe essere tanto maggiore il desiderio e la cupidità dei beni spirituali e la sollecitudine per conseguirli, quanto essi sono maggiori e più preziosi dei temporali. Onde il Santo deplora assai questa cosa. «È nostra gran confusione e vergogna il vedere, che i mondani cerchino con maggior diligenza e sollecitudine le cose temporali, ed anche i vizi e i peccati, che noi altri la virtù; e che con maggior prontezza e più velocemente corrano essi alla morte, che noi altri alla vita» (S. BERN. l. c.).
 
   8. Nella Storia ecclesiastica (De vitis Patrum, l. 3, n. 164 et l. 5, n. 14; CASSIOD. Historia trip. l. 68, c. 1) si racconta dell’abate Pambo, che andando egli alla città d’Alessandria s’incontrò in una donna mondana, e vedendo che andava molto pulita ed ornata, cominciò a piangere e sospirare: Ohimè! misero me! Gli domandarono i suoi discepoli: Padre, perché piangete? Ed egli rispose loro: Non volete ch’io pianga, vedendo che costei usa più diligenza e sollecitudine in comporsi per piacere agli uomini, che non io per piacere a Dio? Vedo che si affatica più essa per cogliere nella rete gli uomini e condurli all’inferno, che non io per condurli al cielo. E del Padre S. Francesco Saverio, uomo apostolico, leggiamo che si vergognava e si doleva di vedere che prima fossero andati al Giappone i mercanti colle loro mercanzie caduche e transitorie, che esso coi tesori e colle ricchezze del Vangelo per dilatare la fede e annunciare il regno dei cieli (P. TURSELL. Vita S. Franc, Xav. l. 3, c. 16). Confondiamoci dunque e vergogniamoci noi altri, perché i figliuoli di questo secolo sono nel loro genere più prudenti dei figliuoli della luce (Luc. 16, 8). E questo ci basti per uscire dalla lentezza e tiepidezza nostra.