Della stima, e del prezzo, in che abbiamo da tenere le cose spirituali

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù

composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TRATTATO PRIMO. Della stima, e desiderio, e affezione, che dobbiamo avere a quel, che concerne il nostro profitto spirituale, e d’alcune cose, che a quest’effetto ci aiuteranno.

CAPO I. Della stima, e del prezzo, in che abbiamo da tenere le cose spirituali.


  1. Nel capo settimo della Sapienza dice il Savio: «Io desiderai l’intelligenza e mi fu con ceduta; invocai lo spirito di sapienza, e venne in me; e questa io preferii ai regni ed ai troni, e i tesori stimai un nulla a paragone di lei: né con essa paragonai le pietre preziose, perché tutto l’oro rispetto a lei è come un poco di arena, e l’argento sarà stimato come fango dinanzi a lei (Sap. 7, 7 segg.). La vera sapienza, nella quale abbiamo da metter l’occhio, è la perfezione; e questa consiste in unirci con Dio per amore, secondo il detto di S. Paolo: «E sopra tutte queste cose abbiate la carità, la quale è il vincolo della perfezione» (Col 3, 14), che ci congiunge con Dio. Ora la stima che dice qui Salomone che egli fece della sapienza, dobbiamo noi farla della perfezione e di tutto quello che serve per essa. In confronto di questa, ogni cosa ci ha da parere un po’ d’arena, un po’ di fango, un po’ di spazzatura; come diceva il medesimo Apostolo: «Tutte le cose io le stimo come spazzatura, per fare acquisto di Cristo» (Philipp, 3, 8).

    2. Questo è un mezzo molto principale per acquistare la perfezione; perché dello stesso passo che camminerà, questa stima nel nostro cuore, camminerà il nostro profitto e quello della casa tutta e di tutta la religione. La ragione è questa; perché qual è la stima che facciamo d’una cosa, tale è il desiderio che di essa abbiamo: essendo la volontà una potenza cieca, che va dietro a quello che le detta e le propone l’intelletto; e corrispondente alla stima e al prezzo, in che questa glielo propone, viene ad essere la brama e il desiderio di conseguirlo. E come la volontà è la regina, e quella che comanda a tutte le altre potenze e forze dell’anima, interiori ed esteriori; così qual è la volontà e il desiderio che abbiamo d’una cosa, tale suol essere lo studio di procurarla, e l’usare i mezzi e fare le debite diligenze per arrivarne al conseguimento. Onde importa grandemente che il prezzo e la stima delle cose spirituali e di quel che appartiene al nostro profitto sia grande, acciocché grande anche sia la volontà e il desiderio di quello; ed altrettanto sia grande la diligenza per procurarlo e conseguirlo; perché tutte queste cose sogliono andare di pari passo.

 

   3. Colui che si diletta di pietre preziose, ha bisogno di conoscere il valor d’esse, sotto pena d’essere ingannato; perché se non le conosce né le sa stimare, cambierà e venderà qualche gioia di gran prezzo per cosa che valga molto poco. Il nostro traffico è di pietre e di perle preziose: «È simile il regno dei cieli a un mercante che cerca buone perle » (Matth. 13, 45). Siamo negozianti e mercanti del regno dei cieli: bisogna che conosciamo e stimiamo il prezzo e valore della mercanzia che traffichiamo, per non essere ingannati, cambiando l’oro col fango e il cielo colla terra; il che sarebbe un perniciosissimo inganno. E però dice Iddio per bocca del profeta Geremia: «Non si glorii il saggio di sua sapienza, e non si glorii il valoroso del suo valore, e non si glorii il ricco di sue ricchezze; ma di questo si glorii, chiunque si gloria, di sapere e conoscere me» (Ierem. 9, 23 segg). Questo è il tesoro maggiore di tutti, conoscere, amare e servir Dio: e questo è il maggior negozio che possiamo avere: anzi non abbiamo altro negozio che questo; poiché per questo siamo stati creati, e per questo siamo venuti alla religione: questo è il nostro fine: quivi ha da terminare la nostra carriera: quivi hanno da essere il nostro riposo e la nostra gloria.

 

   4. Or questo prezzo e questa stima della perfezione e delle cose spirituali appartenenti ad essa vorrei che molto davvero s’imprimesse nei cuori di tutti, e specialmente dei religiosi; e che a ciò l’un l’altro ci aiutassimo ed eccitassimo, non solo colle parole, trattando spesso di questo nei nostri ragionamenti e conversazioni ordinarie; ma molto più con l’esempio delle nostre opere; sicché in esse venga a conoscere il principiante, e il proficiente, ed ognuno, che quelle cose, delle quali sì fa conto nella religione, sono le spirituali; cioè, che uno sia molto umile, molto ubbidiente, molto dato al ritiramento e all’orazione; non che sia molto dotto, né gran predicatore, né dotato d’altri doni naturali ed umani; siccome ce lo dice il nostro S. P. Ignazio nelle Costituzioni: «Dal bel principio bisogna che tutti sappiano questo, e si vadano allevando con questo latte, acciocché subito ciascuno ponga gli occhi ed il cuore, non a riuscire un gran lettore, o un grande predicatore, ma a riuscire molto umile e molto mortificato, vedendo che questo è quello che si stima e di cui si fa molto conto nella religione, e quello a che si applicano coloro che, disingannati già di certe cose, sono oramai rimasti persuasi di quel che conviene; e che questi sono gli amati e stimati da tutti, così superiori, come inferiori» (Const. p. 10, § 2; Summ. reg. 16; Epitome n. 847, § 2). Non voglio dire che ci abbiamo da dare alla virtù per essere amati e stimati, ma sì bene che, vedendo che questo è quel che si stima e di che si fa più conto nella religione, la persona s’accorga e venga a conoscere e a dire: questo senza dubbio è il meglio; questo è quello che mi conviene; per questa via camminerò bene: voglio darmi alla virtù e cercar davvero il mio profitto; ché tutto il rimanente senza questo è vanità.

 

   5. Quindi si conoscerà quanto nocumento possono fare quelli che nei loro ragionamenti e conversazioni non trattano d’altro che d’ingegno, d’abilità e di talenti, e per riguardo a questi vengono a qualificare questo e quello: perché quando i più giovani sentono questo linguaggio nei più vecchi, pensano che questo è quello che occorre e quello che qui si stima, e che per questa via hanno ad avanzarsi e a distinguersi e a farsi stimare per qualche cosa: e così drizzano la mira a questo segno, e va crescendo in essi il prezzo e la stima di quel che concerne lettere, abilità ed ingegno; e va diminuendo il prezzo e la stima di quel che concerne virtù, umiltà e mortificazione. E mentre vanno stimando poco questo, in paragone di quello, si fanno animo di mancare più tosto in questo che in quello; onde vengono molti a rilassarsi nello spirito e a guastarsi affatto, e poi anche a mancare alla religione. Meglio sarebbe discorrer con loro, quanto importante e necessaria sia la virtù e l’umiltà, e quanto poco giovino, senza essa, le lettere e le abilità, o per dir meglio, quanto siano nocive; e non ingenerare in essi, con questi ragionamenti, desiderio d’onore, di campeggiare e d’esser tenuti per uomini di bell’ingegno e di gran talento; il che suol essere il principio della loro rovina.

   Il Surio nella vita di S. Fulgenzio abate apporta un esempio molto buono a questo proposito; dicendo che questo santo prelato, quando vedeva che alcuni dei suoi religiosi erano da un canto assai operosi e faticanti, e non cessavano in tutto il giorno di servire e di aiutare la casa; ma dall’altro canto non erano nelle cose spirituali tanto diligenti, e che nella loro orazione, lezione e raccoglimento spirituale non mettevano tanta cura; non li amava né li stimava tanto, né gli pareva che di ciò fossero meritevoli. Ma quando vedeva alcuno molto affezionato alle cose spirituali e molto sollecito del suo profitto, benché, per altra parte, non potesse faticare, né servire in cosa alcuna la casa, per esser debole ed infermiccio; a questo tale dice che portava particolar amore, e lo stimava molto (SURIUS, in Vita S. Fulg. § 30). E con ragione; perché, a che serve che uno abbia parti e talenti grandi, se non è ubbidiente e rassegnato e se il Superiore non può far di lui quel che vuole? E specialmente, se per sorte piglia da ciò occasione di prendersi qualche libertà e di volere qualche esenzione? Meglio sarebbe stato che mai non avesse avute quelle abilità e quei talenti. Se il Superiore avesse da render conto a Dio, se ha tenuto in casa gente molto attiva e faticante e di grandi abilità, la cosa camminerebbe; ma egli non ha da render conto di questo; lo ha bensì da rendere della cura da lui tenutasi, che i suoi sudditi facessero profitto nello spirito e andassero giornalmente crescendo in virtù; che, secondo le forze e talenti dati dal Signore a ciascuno, s’impiegassero nei ministeri ed uffici loro, non perdendo per ciò punto del loro profitto: e di questo medesimo dimanderà anche Dio conto al suddito. «Certo è, dice il pio Tommaso da Kempis, che venendo il dì del giudizio, non ci sarà domandato che cosa avremo letto, ma che cosa avremo fatto; né quanto bene avremo parlato, ma quanto religiosamente saremo vissuti» (De imit. Christi, l., c. 2, n, 5).

 

   6. Aveva mandati Cristo   nostro Redentore i suoi discepoli a predicare, e dice il sacro Vangelo che ritornarono molto contenti e festosi, dicendo: Signore, abbiamo fatto cose meravigliose e grandi miracoli; mentre perfino i demoni si rendevano soggetti a noi e ci ubbidivano nel vostro Nome. E il Redentore del mondo rispose loro: «Non vogliate rallegrarvi per questo, che siano a voi soggetti gli spiriti: ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nel cielo» (Luc. 10, 20). Nell’acquistarci e guadagnarci il regno dei cieli abbiamo da mettere il nostro gusto e la nostra allegrezza; perché senza di questo, né il far miracoli, né l’operare grandi conversioni a nulla ci gioverà. «Che giova infatti all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima?» (Matth. 16, 26).

 

   7. Or se questo diciamo noi, e lo dice lo stesso Cristo, delle occupazioni e ministeri spirituali di guadagnare e convertir anime, cioè, che non per questo abbiamo da scordarci di noi stessi, perché non ci gioverà niente, ancorché convertiamo tutto il mondo; che sarà delle altre occupazioni? Non è ragionevole che il religioso stia tanto immerso e perduto negli studi, né che si carichi tanto d’occupazioni esteriori, che si dimentichi del suo proprio profitto, della sua orazione, dell’esame della sua coscienza, dell’esercizio della mortificazione e della penitenza, e che le cose spirituali abbiano l’ultimo luogo, e il tempo peggiore si riservi per esse, e se qualche cosa si ha da tralasciare, siano queste; perché ciò sarebbe un vivere senza spirito e non da religioso.

   Si racconta che S. Doroteo aveva fatto infermiere il suo discepolo Dositeo e che questi era molto diligente nel suo ufficio: teneva gran cura degl’infermi, i letti molto rassettati, le stanze molto ben composte ed ogni cosa molto netta e pulita. Ora andando S. Doroteo a visitare l’infermeria, Dositeo gli disse: Padre, mi viene un pensiero di vanagloria, che mi dice: quanto bene tieni ogni cosa! quanto resterà soddisfatto di te il tuo Superiore! Ma S. Doroteo gli rispose una cosa, colla quale gli levò bene la vanagloria di capo: «Molto buon servente, gli disse, sei riuscito, o Dositeo; molto buon infermiere, e molto diligente; ma non sei riuscito buon religioso» (In Vita S. Dosithei, n. 10). Procuri dunque ciascuno, che non si possa dir questo stesso di lui: sei riuscito molto buon infermiere, o molto buon portinaio; ma non sei riuscito buon religioso: sei riuscito un buon studente o un gran lettore, o un grande predicatore; ma non già un buon religioso: ché non siamo venuti qua per questo, ma per farci buoni religiosi: questo è quello che abbiamo da stimare, da procurare e da tener sempre avanti gli occhi; e tutte le altre cose le abbiamo da prendere come accessorie e come per giunta, rispetto al nostro profitto; secondo quelle parole di Cristo: «Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia: e avrete di soprappiù tutte queste cose» (Matth. 6, 33; Luc. 12, 31).

 

   8. Leggiamo di quei Padri dell’eremo, che per non potere star sempre leggendo, meditando ed orando, spendevano il tempo che avanzava loro in fare sporte ed altri lavori manuali, per non stare.in ozio: e che alcuni di essi alla fine dell’anno davano fuoco a tutto quello che avevano fatto; perché non ne avevano bisogno per il loro sostentamento, ma solamente lavoravano per occuparsi e non stare in ozio (CASSIODORUS, de Abb. Paul. De coenob. inst. l. 10, c. 24). Così noi altri abbiamo da metter l’occhio principalmente nel nostro proprio profitto, e gli altri negozi ed occupazioni, benché siano coi prossimi, prenderli nel modo che quei santi Padri prendevano il fare le sporte, non per scordarci ed avere per questo meno cura di noi medesimi, né per perdere mi punto di perfezione. E così abbiamo da fabbricar sempre sopra questo fondamento e tenerlo come primo principio; che gli esercizi spirituali, toccanti il nostro proprio profitto, siano sempre posti da noi nel primo luogo, né mai siano per cosa alcuna tralasciati; perché questo è quello che ci ha da conservare e portare avanti nella virtù; e mancando noi in questo, subito si conoscerà il nostro scapito. E pur troppo l’esperienza ci fa conoscere, che quando non camminiamo come dovremmo, ciò sempre avviene per esserci allentati negli esercizi spirituali. «Il mio cuore si è inaridito, perché mi sono scordato di mangiare il mio pane» (Ps. 101, 5). Se ci manca il cibo e nutrimento dell’anima, chiara cosa è che resteremo deboli e scaduti. Onde il nostro Santo Padre c’ingiunge grandemente questa cosa, e molte volte ce ne avverte nelle sue Costituzioni. Dice in un luogo: «Lo studio che faranno quelli che stanno in probazione, e tutti gli altri, dev’essere intorno a quello che riguarda alla loro abnegazione, e per andar sempre più crescendo in virtù e perfezione». Dice in un altro luogo: «Tutti diano il tempo determinato alle cose spirituali, e procurino devozione, secondo la misura della grazia loro comunicata da Dio Nostro Signore». E in un altro luogo: «Ciascuno dia ogni giorno con ogni diligenza nel Signore ai due esami di coscienza, all’orazione, meditazione e lettura quel tempo che gli sarà ordinato» (Const. p. 3, c. 1, § 27; Summ, 21; Reg. com. 1; Epit, 207, § l; 181, § l; 182, § 1.). E notinsi quelle parole, «con ogni diligenza».

   Da questo potrà vedersi che, siano quante si vogliano le occupazioni che uno abbia dall’ubbidienza e dal suo ufficio, non è mai volontà dei Superiori che tralasci i. suoi ordinari esercizi spirituali per queste: perché non v’è Superiore che voglia che uno trasgredisca le sue regole, e regole tanto principali, quanto sono queste. E così non vi sia chi pretenda di colorire e coprire la sua imperfezione e negligenza negli esercizI spirituali col velo e manto dell’ubbidienza, dicendo: Non ho potuto far orazione, o esame, o lettura spirituale, perché mi ha occupato l’ubbidienza; ché non è l’ubbidienza che mette quest’impedimento, ma la negligenza e trascuraggine della persona particolare, e la poca affezione che ha alle cose spirituali. S. Basilio dice (S. BASIL. Serm. de renunc. saeculi etc. n. 8), che abbiamo da procurare d’essere molto fedeli nel dare a Dio i tempi, che abbiamo assegnati per l’orazione e per i nostri esercizi spirituali: e se alcuna volta, per qualche necessaria occupazione, non abbiamo potuto far l’orazione o l’esame a suo tempo, abbiamo da restare con una certa fame e desiderio di supplire e ristorare il mancamento quanto più presto potremo. In quella guisa che quando ci manca la porzione corporale del cibo, o il sonno necessario, per essere stati tutta la notte confessando infermi e assistendo loro per aiutarli a ben morire, subito procuriamo di supplire; e non ci manca tempo per farlo. Questa è la volontà dei Superiori, quando occupano qualcuno nel tempo assegnato agli esercizi spirituali, per essere alcune volte ciò necessario: non vogliono per questo che li tralasci, ma che li differisca, e supplisca di poi ad essi molto compiutamente, conforme a quello che dice il Savio: «Nessuna cosa ti ritenga dal sempre orare» (Eccli. 18, 22). Non dice, non impedire, ma non sii impedito, non vi sia impedimento né disturbo alcuno che ti tolga il far sempre la tua orazione. E pel buon religioso mai non v’è; perché sempre trova tempo in cui rimetterla e rendersi disoccupato per farla.

 

   9. Raccontasi di S. Doroteo che, avendo la cura della foresteria e andando a dormire molto tardi e levandosi alcune volte di notte, per dar ricapito agli ospiti, non lasciava per questo di levarsi cogli altri a fare la sua orazione; e aveva pregato uno, che lo svegliasse, perché quegli che aveva l’ufficio di svegliatore non lo faceva, per l’occupazione che sapeva aver egli avuta, e perché ancora non era guarito affatto di certa febbre ()18. Questo era buon desiderio di non far mancamento nei suoi esercizi spirituali e di non tralasciarli per qualsivoglia occasione, e poi stare sconcertato tutto il giorno. Ed ivi si nana anche d’un santo vecchio, che vide un angelo, il quale incensava tutti quelli che erano andati con diligenza all’orazione, ed anche i luoghi vacanti di quelli che, impediti pèr ubbidienza, vi mancavano; ma non così i luoghi vacanti di coloro che vi mancavano per loro negligenza. È buona questa cosa, sì per consolazione di quelli che per occupazioni dell’ubbidienza non possono trovarsi a tempo cogli altri agli esercizi spirituali; sì per procurare di non mancare in essi per nostra negligenza e trascuraggine.