Del valore e dell’eccellenza della carità ed unione fraterna

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

TTRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO I. Del valore e dell’eccellenza della carità ed unione fraterna.

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1. La carità fraterna è dolce cosa.
2. Anzi prodigiosa.
3. E il secondo comandamento di Dio.
4. Simile a quello dell’amor di Dio.
5. In che senso è precetto nuovo.
6. E raccomandato dalla Scrittura e nel Sermone dell’ultima Cena.
7. Argomento della verità di nostra fede.
8. E’ segno dell’amore che Dio ci porta.

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   1. «Oh quanto buona e dolce cosa è, dice il profeta Davide, che i fratelli siano insieme uniti!» (Ps. 132, 1) Quanto par buona l’unione e la conformità tra i fratelli! Il glorioso San Girolamo dice, che questo salmo conviene propriamente ai religiosi, che convivono insieme nella religione. Veramente è cosa buona e di grande allegrezza e gusto, dice egli (S. HIER. in Ps. 132), che per un fratello che abbiamo lasciato colà nel mondo, ne abbiamo trovati qui molti nella religione, i quali ci amano e ci vogliono più bene che i nostri fratelli carnali. Il mio fratello carnale, dice il Santo, non ama tanto me, quanto la mia roba; cosa che non raramente avviene tra parenti. Non è amor vero quello, ma interesse proprio; mentre i nostri fratelli spirituali, che hanno abbandonate e sprezzate tutte le cose loro, non vengono qua a cercare le cose altrui; non amano la roba nostra, ma la nostra anima: e questo è vero amore. E così S. Ambrogio dice che è assai più stretta la fratellanza spirituale che la carnale; perché la fratellanza della carne e del sangue ci fa simili nei corpi; ma la spirituale fa che abbiamo tutti un’anima ed un cuore; come si dice negli Atti Apostolici della moltitudine dei credenti (S. AMBR. Serm. 100, n. 1).

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   2. S. Basilio va ponderando molto bene questa sì rara unione dei religiosi. Qual cosa, dice egli, più piacevole, qual cosa più felice e più beata, qual cosa più ammirabile e più meravigliosa si può immaginare? Vedere uomini di tante diverse nazioni e paesi, tanto conformi e simili nei costumi e nel modo di procedere, che non paiono se non un’anima in molti corpi, e che molti corpi siano strumenti di una sola anima (S. BASIL. Const. monach. c. 18, n. 2). Questo è quello che nella vita del nostro Santo P. Ignazio (RIBAD. l. 2, c. 13; l. 3, c. 1; BARTOLI, l. 3, c. 27) si nota per una cosa molto meravigliosa, e come per miracolo operato da Dio nella Compagnia; il vedere unione e conformità tanto grande e tanto stretta fra uomini di tante diverse nazioni, e tanto differenti e disuguali, o per natura, o per stato, o per inclinazione, genio e condizione di ciascuno; che. sebbene differiscono nelle cose naturali, nondimeno la grazia, le virtù e i doni soprannaturali li fanno conformi ed una stessa cosa. «È Dio che fa abitare nella sua casa uomini di un sol modo di procedere» (Ps. 67, 7). È questo che vuoI dire il Profeta: Ed è tanto grande la grazia che il Signore per sua bontà e misericordia ci fa in questo, che non solo lo godiamo noi altri che stiamo qui dentro, ma l’odore di questo stesso si sparge e si stende ancora a quei di fuori, con grande edificazione e profitto loro e con gran gloria di Dio Signor Nostro. Onde vediamo che molti di quelli che entrano nella Compagnia, domandati che cosa li ha mossi e tirati ad essa, dicono che è stata questa unione e fratellanza che vi vedono. Ed è questo molto conforme a quello che dice S. Agostino sopra queste medesime parole: «Oh quanta buona e dolce cosa è che i fratelli siano insieme uniti!». Con questo sì dolce suono, dice egli, e con questa voce tanto soave si eccitarono gli uomini a lasciar i loro parenti e le loro facoltà, e col bel vincolo di carità ad unirsi insieme nella religione (S. AUG. Enarr. in Ps. 132, n. 2). Questo è quel suono di tromba che li convocò e radunò da diverse parti del mondo, parendo loro che fosse vita celeste questa unione e carità degli uni cogli altri. Questo è ciò che ha formato i monasteri e ha riempito di fratelli le religioni, questa è la calamita che tira a sé i cuori. E così di tre cose, che il Savio dice che piacciono grandemente a Dio, la prima è la concordia e unione tra i fratelli (Eccli. 25, 1-2).

   3. Due sono i precetti che abbiamo della carità: l’uno è quel primo e principale, d’amar Dio con tutto il nostro cuore, con tutta l’anima nostra e con tutte le nostre forze: «Questo è il massimo e primo comandamento; il secondo poi è simile a questo: amerai il prossimo tuo come te stesso» (Matth. 23 38-39). Il secondo è, che amiamo il prossimo come noi stessi. Di questo secondo precetto abbiamo da ragionare adesso, perché esso è quello che fa l’unione e la fratellanza, della quale prendiamo a trattare.
   Quest’unione d’animi e di cuori è effetto e proprietà di quella carità e amore, che, come dice S. Dionisio (De divin. nomin. c. 4, § 12), ha forza di unire e di connettere le cose una coll’altra; onde S. Paolo la chiama «vincolo della perfezione» (Coloss. 3, 14), cioè legatura e connessione perfetta, la quale fa di molte volontà una sola. Fa che quello che io voglio per me, lo voglia anche per gli altri; fa che io voglia loro bene quanto a me stesso, e che l’amico mio sia un altro io, e che ambedue siamo come una cosa sola. Onde S. Agostino (S. AUG. Confes l. 4, c. 6) approva il detto di colui che chiamava il suo amico «la metà della sua anima», un’anima divisa in due corpi (HORAT. carm. l. 1, car. 3, v. 8).

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   4. Acciocché possiamo comprendere il valore e l’eccellenza di questa carità e di questo amor del prossimo, e quanto lo stima il Signore, cominciamo dalle riferite parole di Cristo circa il secondo comandamento della legge di Dio. S. Giovanni Crisostomo (S. CHRYS. Hom. 23 in ep. ad Rom. n. 4) pondera come, avendo Cristo Nostro Signore esposto quel primo e gran precetto d’amar Dio, soggiunse subito che il secondo precetto d’amare il prossimo è simile a questo primo. Considera, dice il Santo, la bontà e benignità del Signore, che pur essendo l’uomo infinitamente distante da Dio, con tutto ciò vuole che amiamo il prossimo con un amore che tanto si accosti da esser simile all’amore col quale amiamo lo stesso Dio. E così ci mette la medesima misura nell’amore del prossimo che ci ha messa nell’amor di Dio: perché dice che amiamo Dio di tutto cuore e con tutta l’anima nostra; e dice che amiamo il prossimo come noi stessi. Ma siccome quando di qua vogliamo bene ad uno, e lo vogliamo raccomandare assai ad un altro, costumiamo di dire, se amerai costui, amerai me; così dice S. Giov. Crisostomo che questo appunto volle dire Cristo   nostro Redentore, mentre disse: Se ami il prossimo, amerai Dio. E così egli disse a San Pietro: «Se tu mi ami, pasci le mie pecorelle» (Io. 21, 17), come se avesse detto: Se ami me, tieni cura dei miei, e in questo si conoscerà se ami me.

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   5. Di più vuole il Signore, che amiamo il prossimo collo stesso amore col quale amiamo lui. E questo è il precetto nuovo che ci diede Cristo nostro Redentore. «Un nuovo comandamento vi do, che vi amiate l’un l’altro come io ho amato voi» (Io. 13, 14). Come Cristo ci ha amati puramente per Dio e in ordine a Dio, così ancora vuole che noi altri amiamo il prossimo per Dio e in ordine a Dio. Perciò dice S. Agostino che lo chiama precetto nuovo, non solo perché ci fu nuovamente spiegato e nuovamente inculcato da Cristo   colla voce e coll’esempio, ma ancora perché veramente è amor nuovo quello che ricerca da noi (S. AUG. tract. 65 in Io. n. 1). L’amor naturale, fondato nella carne e nel sangue, in riguardi umani e in interessi propri e particolari, è un amore molto vecchio e molto antico; ed hanno quest’amore non solo i buoni, ma anche i cattivi; e ancora l’hanno non solo gli uomini, ma ancora i bruti. «Ogni animale ama il suo simile» (Eccli. 13, 19), dice il Savio: ma l’amore col quale Cristo vuole che noi altri amiamo i nostri prossimi e i nostri fratelli è amor nuovo, perché ha da essere amore spirituale e soprannaturale, amando il prossimo per Dio e collo stesso amore di carità col quale amiamo Dio.
   E così i teologi e i Santi notano che è una medesima carità e una medesima virtù sì quella colla quale amiamo Dio per Dio, che quella colla quale amiamo il prossimo per lo stesso Dio: e dicono che come quando amiamo Dio è virtù teologale, che vuol dire divina e che riguarda Dio e lo tiene per scopo e per oggetto; così ancora è virtù teologale e divina quando amiamo il prossimo, perché l’amiamo per Dio; e ciò perché l’infinita bontà di Dio è degna d’essere amata per se stessa e che per essa insieme sia amato il prossimo.

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   6. Finalmente non troveremo in tutta la divina Scrittura cosa più encomiata né più spesso inculcata e replicata di questa unione e carità fraterna. Cristo nostro Redentore prima della sua partenza da questo mondo, in quell’ultimo sermone fatto nella cena, ce la tornò ad ingiungere una e due volte. «Il comandamento mio è questo, che vi amiate l’un l’altro, come io ho amato voi». E subito torna a dire: «Questo io vi ingiungo, che vi amiate l’un l’altro» (Io. 15, 12, 17), cioè questo vi lascio come in testamento, questa è la mia ultima volontà; acciocché quindi venissimo a conoscere quanto egli desiderava che questa cosa restasse impressa e radicata nei cuori nostri, come quegli che sapeva quanto c’importava e che da ciò dipendeva tutta la legge e l’adempimento di tutti gli altri comandamenti, come lo disse lo Spirito Santo per mezzo di S. Paolo: «Chi ama il prossimo, ha adempiuto la legge» (Rom. 13, 8).
   E di qui apprese questa dottrina quel suo diletto discepolo S. Giovanni, il quale par che non sappia trattar d’altra cosa nelle sue Epistole, come quegli che l’aveva succhiata dal seno medesimo del suo Maestro. Riferisce di lui S. Girolamo (S. HIER. in com. ad Gal. 6, 10), che essendo già egli molto vecchio, e tanto che appena poteva andare alla chiesa, anzi che era necessario che vi fosse portato a braccia, predicava solamente questa cosa: «Figliuoli miei, amatevi l’un l’altro». Ed essendo stanchi e come annoiati i suoi discepoli dal sentirsi sempre replicare la medesima cosa, gli dissero una volta: Maestro, perché ci dici tu sempre questo? Al che egli rispose con una sentenza, dice il Santo, degna di S. Giovanni: «perché questo è precetto del Signore, e se questo adempirete, questo sol basta». «Poiché, scrive S. Paolo, tutta la legge comprendesi in questa parola: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Gal. 5, 14). Come dicesse: in questo precetto sono compendiati tutti gli altri: se osserverete questo, li osserverete tutti.

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   7. S. Agostino qui aggiunge un’altra bellissima ponderazione dicendo: (S. AUG. De div. Quaest. 83, q. 71, n. 1) Guarda quanto peso e quanta forza pose il Signore in questo precetto, che questo volle che fosse il contrassegno, questa la divisa per conoscerci e tenerci il mondo per suoi discepoli, dicendo appunto S. Giovanni: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore l’uno per l’altro» (Io. 13, 35).
   Non si ferma qui Cristo nostro Redentore, perché in quella orazione ch’egli fece al Padre Eterno, registrata in S. Giovanni, non solo vuole che ci facciamo conoscere in questo per suoi discepoli, ma che sia anche tanta unione e fratellanza fra noi, che sia bastante a convincere il mondo della verità della nostra fede e religione, e di esser Cristo Figliuolo di Dio. «Né io prego solamente per questi, ma anche per coloro i quali per la loro parola crederanno in me: che siano tutti una sola cosa, come tu sei in me, o Padre, e io in te; che siano anch’essi una sola cosa in noi: onde creda il mondo che tu mi hai mandato» (Io. 17, 20.21). Potevasi encomiare di più l’eccellenza di quest’unione e fratellanza? Poiché basta e basterà a fare che il mondo confessi, che è opera della venuta del Figliuolo di Dio al mondo, e che per questo arrendendosi esso abbracci la sua dottrina e religione cristiana.
   Ben si vede la verità e la forza di questa cosa in quello che avvenne a Pacomio, che essendo soldato nell’esercito di Costantino Magno e gentile, e mancando talmente le vettovaglie ai soldati, che si morivano di fame, arrivati ad una città, si unirono i cittadini di essa per favorirli e portarono loro tutto quello di cui avevano di bisogno, tanto abbondantemente e con tanta amorevolezza, che stupito Pacomio dimandò, che gente fosse quella che tanto inclinata si mostrava a far bene. E gli fu risposto che erano cristiani, l’istituto dei quali era di accogliere tutti e aiutarli e far loro del bene. Onde subito egli si sentì tocco interiormente per seguire l’istituto loro e alzate le mani al cielo e invocando Dio per testimonio, risolvè di abbracciare la religione cristiana. Questa cosa gli bastò per convertirsi e per credere, che quella fosse la vera fede e la vera religione.

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   8. Vi aggiunge il Redentore del mondo un’altra cosa di grandissima consolazione: «Affinché conosca il mondo che tu mi hai mandato ed hai amato loro, come hai amato me» (IO. 17, 23). Cioè, ti prego, o eterno mio Padre, che essi siano fra di loro una cosa stessa, acciocché quindi il mondo conosca che tu ami essi come ami me. Uno dei principali contrassegni, nei quali si vede un certo special privilegio dell’amore che Dio porta ad una congregazione, e che l’ama con un amore privilegiato e singolare, ad imitazione e somiglianza dell’amore che porta al suo Figliuolo, è il darle questa grazia d’unione e fratellanza fra di loro, come vediamo che la diede e comunicò nella primitiva Chiesa a quella gente che aveva le primizie dello Spirito. E così S. Giovanni dice: «Se ci amiamo l’un l’altro, Dio abita in noi, e la carità di lui è in noi perfetta» (I Io. 4, 12). Se ci amiamo scambievolmente l’un l’altro, è segno che Dio dimora in noi e ci ama grandemente. Se ove stanno due o tre congregati nel nome del Signore dice egli stesso che ivi sta egli pure nel mezzo di essi: «Dove sono due o tre persone congregate nel nome mio, quivi sono io in mezzo di esse» (Matth. 18, 10), che sarà ove stanno uniti e congregati tanti nel suo nome e per amor suo? Acciocché dunque possiamo godere di tanti beni ed abbiamo questo sì gran pegno del dimorare Dio in noi e dell’amarci egli con particolare amore, procuriamo di conservarci sempre in questa carità e santa unione di figliuoli di Dio.