Bene e utilità grande della meditazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO IX. D'un bene e utilità grande che abbiamo da cavare dalla meditazione; e come si ha da fare per cavarne gran frutto

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1. Come cavar frutto dalla meditazione.
2. Gran differenza da meditare a meditare.
3. Esempio dell'Emorroissa

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   1. Molto buona cosa è nell'orazione esercitarci in affetti e desideri della volontà; del che in breve tratteremo; bisogna però che questi affetti e desideri vadano ben fondati in ragione; perché l'uomo è ragionevole e vuol essere guidato dalla ragione e per via d'intelletto. Onde una delle principali cose alla quale si ha da ordinare e indirizzare la meditazione ha da essere il restare molto disingannati, molto asso dati nella verità, molto convinti e molto fermi in quello che è espediente per noi. E questo ha da essere uno dei principali frutti che dobbiamo procurar di cavare dall'orazione; e si deve ben riflettere a questo punto, perché è molto principale in questa materia. Specialmente bisogna che nei principi la persona si eserciti più in questo, per poter camminare con miglior fondamento e rimaner ben persuasa della verità. Per potere dunque meglio cavar questo frutto dalla meditazione, acciocché essa ci sia di profitto, bisogna che non si faccia superficialmente, né correndo, e nemmeno lentamente e con languidezza, ma con impegno e con molta attenzione e posatezza.
   Hai da meditare e considerare molto adagio e con molta quiete la brevità della vita e la fragilità e vanità delle cose del mondo, e come colla morte ogni cosa ha da finire; acciocché così tu venga a dispregiare tutte queste cose di qua e a porre tutto il tuo cuore in quello che ha da durare eternamente. Hai da considerare e ponderar molte volte quanto vana cosa sia la stima e l'opinione degli uomini, che tanta guerra ci fa; poiché non ti dà né ti toglie niente; né questa ti può fare migliore né peggiore; acciocché tu venga a dispregiarla è a non fare conto; e così di tutto il resto. In questa maniera la persona si va disingannando e convincendo e risolvendosi in quello che le conviene, e si va facendo uomo spirituale. Si va elevando sopra di sé, come dice il profeta Geremia (Ierem, Thren, 3, 8), e facendo un cuor generoso e disprezzatore di tutte le cose del mondo; e viene a dire con S. Paolo: «Quel che prima tenevo per guadagno, ora lo tengo per perdita e per spazzatura, per guadagnar Cristo» (Philip. 3, 8).

 

   2. V'è gran differenza da meditare a meditare, e da conoscere a conoscere: perché in un modo conosce il savio una cosa e in un altro la conosce il semplice e ignorante. Il savio la conosce come ella è veramente in se stessa, ma il semplice conosce solamente l'apparenza esteriore. Come una pietra preziosa, se la ritrova una persona semplice, la desidera per quel suo grande splendore e bellezza esteriore, e non per altro, perché non conosce il valore di essa; ma il gioielliere che trova la pietra preziosa la desidera assai, non per lo splendore e bellezza esteriore, ma perché conosce bene il valore e la virtù di essa. Or questa medesima differenza è fra quegli che sa meditare e considerare i misteri divini e le cose spirituali, e quegli che non lo sa fare: perché questi riguarda le cose superficialmente, e come per di fuori, e ancora che. gliene paia bene pel lustro e splendore che vede in esse, non si muove però molto a desiderarle; ma quegli che sa meditare e ponderare queste cose, si disinganna e prende sagge risoluzioni. Siccome conosce bene il valore del tesoro nascosto e della perla preziosa che ha trovata, ogni cosa disprezza e stima poco in comparazione di quella, disposto a dar tutto per farne acquisto (Matth, 13, 46).

   3. Cristo nostro Redentore ci dichiara questa differenza nella storia evangelica dell'Emorroissa. Raccontano i sacri Evangelisti che, andando il Redentore del mondo a risanare, o meglio a risuscitare quella figliuola del principe della Sinagoga, l'accompagnava tanta moltitudine di gente che l'affollava. E vedendolo passare una donna, la quale già da dodici anni era inferma ed aveva consumata tutta la roba sua in medici e in medicine, senza che l'avessero potuta guarire, anzi stava peggio che mai, spinta dal desiderio che aveva di conseguire la sanità, investì e ruppe per mezzo a quella gente, con gran fede e fiducia. «Poiché diceva dentro di sé: Soltanto che io tocchi la sua veste sarò guarita» (Matth. 9, 21). S'accostò e toccò, e subito fu guarita. Allora Cristo   nostro Redentore rivoltatosi disse: Chi è che mi ha toccato? E S. Pietro cogli altri discepoli rispose: Maestro, tanta gente ti sta intorno affollata e ti comprime; e dici, chi mi ha toccato? Non dico questo, replicò Cristo: ma che qualcuno mi ha toccato, non come l'altra gente, ma in un altro modo più particolare, perché ho sentito uscire da me una virtù (Luc. 8, 45-46). Qui batte il punto, questo è toccar Cristo, e questo è quello che egli aspetta da noi; ché di quest'altro toccarlo alla grossa, come tocca il volgo e l'altra gente, non occorre farne conto.
   Ora in questo sta tutto il negozio della meditazione; in toccar Cristo è i suoi misteri di maniera, che sentiamo in noi la virtù e il frutto di essi. E per quest'effetto importa grandemente che nella meditazione procediamo con attenzione, ruminando e sminuzzando le cose molto adagio. Quella cosa che non si mastica, non amareggia né dà buon sapore; per questo l'infermo inghiottisce la pillola intiera, acciocché non l'amareggi. Ora per questo al modo stesso né il peccato, né la morte, né il giudizio, né l'inferno amareggiano il peccatore, perché egli non sminuzza queste cose, ma se le inghiottisce intiere, pigliando le all'ingrosso e, come suol dirsi, a mucchio. E per questo né anche dà a te gusto né sapore il mistero dell'Incarnazione, né quelli della Passione, della Risurrezione e degli altri benefici di Dio perché non li sminuzzi, non li rumini, né li ponderi come devi. Mastica tu e sminuzza il granello della senapa, o del pepe, e vedrai come abbrucia e come ti fa schizzare le lagrime fuori degli occhi.