Aiuta grandemente ad acquistare la perfezione il metter gli occhi in cose alte e

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO PRIMO. Della stima, e desiderio, e affezione, che dobbiamo avere a quel, che concerne il nostro profitto spirituale, e d’alcune cose, che a quest’effetto ci aiuteranno

CAPO VIII. Che aiuta grandemente ad acquistare la perfezione il metter gli occhi in cose alte ed egregie.
1. Aver la mira ad alte cose.
2. Pericolo del contrario
3. perché l’amor di Dio è il primo comandamento.
4. Ad alte cose mirano i ferventi, a basse i tiepidi.
5. Ma questi quanto sono ignobili.
6. Mezzi: desiderare cose egregie.
7. Eccitarci a questo vicendevolmente.
8. Leggere vite di Santi.
 
   1. Ci aiuterà anche grandemente ad approfittare e ad acquistare la perfezione il porre sempre gli occhi in cose alte e di molta virtù, secondo quello che ci consiglia l’Apostolo S. Paolo, scrivendo a quelli di Corinto: «Aspirate perciò ai doni migliori: anzi vi insegno una via più sublime» (I Cor 12, 31). Date mano a cose e imprese grandi ed eccellenti. Questo mezzo è di grande importanza, perché è necessario che andiamo molto in là coi nostri disegni e desideri, per poter con l’operazione arrivare almeno a quel che è ragionevole e conveniente. S’intenderà bene quel che vogliamo dire e l’importanza e necessità di questo mezzo con una simili tu dine materiale. Quando si tira al bersaglio bisogna, per dar nel centro, pigliar la mira più in su del centro medesimo, perché il proiettile è tirato al basso verso il centro di gravità. E questo tanto più, quando si tirasse con un arco allentato. Ora noi siamo appunto come l’arco, o la balestra lenta: siamo tanto snervati e deboli, che per arrivare a dar nel segno abbiamo bisogno di pigliar la mira molto più alta.
   Diventò l’uomo tanto miserabile per il peccato, che per arrivare ad una mediocrità nella virtù è necessario che coi proponimenti e coi desideri passi molto più oltre. Dice colui: lo non pretendo altro, che non commettere peccato mortale; non voglio maggior perfezione. Ho gran paura che né anche sin là arriverai, perché è lenta la balestra. Se tu prendessi la mira più alta, potrebbe essere che vi arrivassi; ma non pigliandola con vantaggio, temo che andrai a cogliere molto al disotto: stai in gran pericolo di cadere in peccato mortale. Il religioso che intende di osservare non solo i precetti di Dio, ma anche i consigli, e di guardarsi non solo dai peccati mortali, ma anche dai veniali pienamente deliberati e dalle imperfezioni, cammina per la buona strada, per non cadere in peccato mortale; perché ha presa la mira molto più alta: e quando, per sua fragilità e debolezza, non arrivi ove ha proposto di arrivare e venga a coglier più basso, mancherà unicamente in una cosa di consiglio, in una piccola regola, o cadrà in una imperfezione o in qualche peccato veniale. Ma quell’altro, il quale pigliò la mira a non commettere peccato mortale, quando gli fallirà il colpo, per esser l’arco e la balestra lenta, cadrà in qualche peccato mortale. E però vediamo, i mondani cascare e giacere in tanti peccati mortali, e i buoni religiosi, per bontà del Signore, tanto liberi e lontani da essi.
   E questo è uno dei grandi beni, che abbiamo nella religione e per il quale dobbiamo rendere molte grazie al Signore, che ci ha condotti ad essa. E quando non vi fosse nella religione altro bene che questo, basterebbe per vivere con grande consolazione e contentezza, e per riputar grande grazia e beneficio del Signore l’averci tirati ad essa: perché qui confido che passeremo tutta la vita senza cadere in peccato mortale; che se ce ne fossimo restati nel mondo, forse non saremmo stati un anno, né un mese, né per avventura una settimana senza cadervi.

   2. Da questo si comprenderà anche il pericolo del religioso tiepido e rimesso, che non si cura punto del trasgredire le regole, né di trattar cose di perfezione; perché questo tale è molto vicino a cadere in qualche cosa grave. Se dunque tu vuoi fare profitto, drizza gli occhi all’acquisto d’una perfettissima umiltà, e tale che arrivi a ricevere con allegrezza i dispregi e i disonori: e piaccia a Dio che con tutto questo giunga a sopportarli con pazienza. Drizza anche gli occhi all’acquisto di una perfettissima ubbidienza di volontà e d’intelletto; e Dio voglia che anche con questo alle volte non manchi nell’esecuzione dell’ubbidienza e nella puntualità di essa. Procura di rassegnarti e di stabilirti indifferente per cose grandi e difficili che potessero occorrere; e piaccia al Signore che tale sii poi per le cose ordinarie e comuni che ogni giorno accadono.
 
   3. Questo disegno, dice S. Agostino (S. AUG. De perf, iusti hom. c. 8), ebbe Dio quando ci pose per primo dei suoi comandamenti il più alto e più perfetto di tutti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, e con tutto il tuo spirito. Questo è il massimo e primo comandamento», e il fine di tutti essi (Luc. 10, 27; Matth. 22, 38; Deut. 6, 5). «Il fine del precetto è la carità» (I Tim. 1, 5). Ed è tanto grande l’eccellenza di questo comandamento, che i teologi e i Santi dicono, che l’ultima perfezione di esso non si conseguisce in questa ma nell’altra vita. Perché quel non occuparci in altra cosa che in Dio, e quel tener sempre impiegato tutto il nostro cuore, tutta la nostra volontà ed intelletto e tutte le nostre forze in amarlo è proprio dello stato della beatitudine. Non possiamo in questa vita arrivare a tanta perfezione, perché necessariamente abbiamo da soddisfare alle necessità del corpo. E con tutto che questo sia precetto tant’alto e di così gran perfezione, ce lo propone il Signore, e ce lo propone per il primo di tutti, acciocché sappiamo sin dove ci abbiamo da stendere e dove abbiamo a procurar di arrivare. A questo effetto, dice S. Agostino, Iddio subito nel bel principio ci pose avanti gli occhi questo così grande e così alto precetto, acciocché fissandoli in uno scopo tanto alto e in una perfezione tanto sublime, procuriamo di stendere il braccio e di tirar la palla o il sasso più lungi che possiamo: perché quanto più alta piglieremo la mira, tanto più bello riuscirà il nostro tiro.
 
   4. S. Girolamo sopra quelle parole del Profeta: «Beato l’uomo, la fortezza del quale è in te: egli ha disposte in cuor suo le ascensioni» (Ps. 83. 6), commenta: «Il Santo pone nel suo cuore delle ascensioni, il peccatore delle discese» (S. HIER. Sup. Ps. 83). L’uomo giusto e santo sempre volge gli occhi al salire e all’andar innanzi nella perfezione. E questo è quello che porta scolpito nel cuore, conforme al detto del Savio: «I pensieri dell’uomo forte conducono sempre all’abbondanza» (Prov 21, 5). Ma il peccatore e l’imperfetto non tratta di questo; si contenta d’una vita comune, e al più al più ferma gli occhi nella mediocrità, d’onde viene poi a discostarsi assai e a rimanerne al di sotto. E così dice Gersone (GERS. De myst. consid. 4): «È voce di molti: mi basta una vita comune: io non voglio altro che salvarmi: codeste altre grandi ed eccellenti perfezioni. siano per gli Apostoli e per i Santi grandi; ché io non pretendo volar tanto alto, ma camminare per una strada piana e da carri». Questa è voce d’uomini imperfetti, che sono i molti, perché i perfetti sono pochi: «Molti sono chiamati, ma pochi eletti», dice Cristo nostro Redentore, come si legge nel Vangelo (Matth. 20, 6). E in un altro luogo: «Larga è la porta e spaziosa è la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Quanto angusta è la porta e stretta la via che conduce alla vita: e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Matth. 7, 13, 14). La porta e la strada che conduce alla perfezione e alla vita è angusta e stretta, e così sono pochi quelli che entrano per essa; ma la strada comune della tiepidezza è molto larga, e così molti sono. quelli che camminano per essa. Questi, dice S. Agostino (S. AUG. Enarr. in Ps. 8, n. 13), sono quelli che il Profeta chiama animali di campagna (Ps. 8, 8), perché se ne vogliono andare per la campagna, luogo largo e spazioso, e non vogliono mettersi in regola né in strettezza. E così dice Gersone, che con questa sola voce, «mi basta una vita comune; io mi contento di salvarmi; non voglio maggior perfezione», mostra ben uno la sua imperfezione, poiché non pretende entrare per la porta stretta. E questi tali, ai quali per la loro tiepidezza pare che basti loro salvarsi coi mediocri, hanno, dice, da temer grandemente d’essere condannati colle vergini stolte, che si trascurarono e addormentarono; e col servo pigro, che si contentò di conservare e sotterrare il talento che gli fu dato, e non volle trafficare con esso e farlo fruttare; onde gli fu levato il talento che aveva, ed egli gettato nelle tenebre esteriori (Matth. 25. 22. 30). Non si legge nel Vangelo altro reato per la condanna di quel pigro, che il non aver voluto aumentare il talento datogli.
 
   5. E perché possiamo meglio ancora vedere quanto brutto e vergognoso sia lo stato di costoro, apporta Gersone questa comparazione. Immaginati, dice, che un padre di famiglia, ricco e amante di gloria, abbia molti figliuoli, e tutti molto atti a portar avanti la casa e a far onore al lignaggio loro con l’industria e colle buone qualità che hanno; e che tutti essi lo facciano, eccettuatone uno solo. Di maniera che, facendo tutti gli altri quel che si conviene a figliuoli di tal padre, egli solo, per mera pigrizia e poltroneria, se ne voglia stare a sedere ed a spasso in casa, senza voler far cosa alcuna degna del suo talento e della paterna nobiltà per avanzamento della sua casa, potendolo far così bene come tutti gli altri, se volesse. Ma dica che gli basta quello che ha per passarsela mediocremente, e che non vuole maggior onore né maggiore accrescimento, né affaticarsi più che tanto per quest’effetto. Supponi che il padre a sé lo chiami, lo preghi e lo persuada ad aver più alti pensieri, gli rappresenti la sua attitudine, il suo ingegno, le sue buone qualità, la nobiltà del suo sangue, l’esempio dei suoi antenati e dei suoi fratelli presenti; e che con tutto ciò egli non si voglia levare, come suol dirsi, d’appresso ai tizzoni, né procurare di farsi uomo di maggior valore: chiara cosa è che ecciterà grande sdegno nel padre. Ora allo stesso modo, essendo noi altri figliuoli di Dio e fratelli di Gesù Cristo, il nostro Padre celeste, dice Gersone, ci sta esortando e animando alla perfezione. Figliuoli miei, dice, non vi contentate d’una vita comune: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli». Riguardate l’eccellenza e perfezione del vostro Padre, e portatevi da veri figliuoli suoi: «Affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Matth. 5, 48).
   Guardate l’esempio dei vostri fratelli. Se volete metter gli occhi nel vostro fratello maggiore, che è Gesù Cristo, egli è quegli che ha onorato tutto il vostro lignaggio: e sebbene questo gli è costato il sangue e la vita, tuttavia li ha riputati l’uno e l’altra per questa impresa bene impiegati. E se vi abbarbaglia la vista di così alto esempio, volgete gli occhi negli altri vostri minori fratelli, così deboli come voi, nati in peccato come voi, pieni di passioni, di tentazioni e di male inclinazioni, come voi; ché per quest’effetto la Chiesa nostra madre ci propone l’esempio dei Santi e celebra le loro feste. E se volete pigliar la cosa più da vicino, guardate gli esempi dei vostri fratelli, figli di una stessa madre, membri di una stessa religione e Compagnia: mettete gli occhi in un Padre Ignazio, in un Francesco Saverio, in un Francesco Borgia, in un Edmondo Campion, e in altri simili, dei quali avete contezza. Procurate d’imitarli: non siate voi il disonore del vostro lignaggio e della vostra religione. Chi con tutto ciò non si fa animo ad intraprendere cose di valore, ma si contenta d’una vita ordinaria e comune, non è egli cosa chiara che, quanto è dal canto suo, cagionerà disgusto e sdegno allo stesso Dio, che è nostro Padre, e darà mal esempio ai suoi fratelli, e meriterà che il Padre celeste non lo riconosca per figliuolo, né che i fratelli suoi lo riconoscano per fratello?
 
   6. Or questo è quello che andiamo dicendo, che abbiamo cioè pensieri alti e generosi e che teniamo sempre gli occhi e il cuore volti a cose grandi ed egregie, affinché non potendo per la nostra debolezza arrivare tant’oltre, non restiamo almeno tanto addietro. Facciamo in questo come fanno quei che vendono le mercanzie, i quali al principio sogliono dimandare più di quel che è giusto, acciocché venga poi dato loro il giusto prezzo di esse; e come quelli che trattano accordi, i quali pur sogliono al principio dimandar oltre il ragionevole, per far poi in questo modo arrivar le parti a quel che la ragione vuole. Il che è conforme a quello che dice il proverbio: «Chiedi l’ingiusto per ottenere il giusto». Cioè domanda quel che è ingiusto, ovvero più di quel che è giusto, acciocché per questa via ti si venga a dare quel che è giusto. Or così qui; non dico io che domandiate quel che è ingiusto, ma quel che è giustissimo. Mettete gli occhi in quello che è molto giusto, acciocché così facendo arriviate almeno a quel che è giusto. Domandate e desiderate le cose più preziose per arrivare alle mediocri; perché se ponete gli occhi solamente nelle mediocri, e non vi stendete più oltre, né anche ad esse arriverete, ma ve ne resterete molto indietro.
 
   7. Da questo si conoscerà quanto importi, nelle esortazioni e nei ragionamenti spirituali che facciamo tra noi, il trattar cose di grande perfezione, esortando ci ad una profondissima umiltà, che arrivi sino all’ultimo grado, ad una perfetta mortificazione di tutte le nostre passioni ed appetiti e ad una intiera conformità alla volontà di Dio; sicché non sia in noi altro volere né altro non volere che quello che Dio vuole o non vuole; e che questo sia ogni nostra contentezza e festa, e così in tutte le altre virtù. Potrebbe dire alcuno: a che serve il ragionare e predicare cose tanto alte a gente debole é alle volte a principianti? Se ci fossero dette cose proporzionate alla nostra debolezza, cose piane e facili, potrebbe essere che le apprendessimo; ma quando ci vengono proposte queste perfezioni, che arrivano, per così dire, sino al terzo cielo, ci pare che non si ragioni, né si parli con noi altri, ma con un Apostolo S. Paolo e con altri simili. Non hai ragione. A voi altri si propongono queste perfezioni e con voi altri si parla quando si tratta di esse. Anzi, per questa stessa ragione che allegate, perché non ve le abbiamo a proporre, dobbiamo proporvele. Tu dici, che per esser tu debole, non ti diciamo cose tanto alte; ed io dico, che per esser tu debole, bisogna dirtele e proporti queste cose alte e di grande perfezione, acciocché, ponendo tu gli occhi in esse, arrivi almeno a quel che è ragionevole, e non te ne resti tanto basso e indietro nella virtù.
 
   8. A questo effetto è anche di grande aiuto il leggere ed ascoltare le vite e gli esempi dei Santi, e il considerare le loro eccellenti ed eroiche virtù. E perciò la santa Chiesa ce le propone, acciocché non’ arrivando noi a quanto arrivarono essi, almeno ci facciamo animo per uscire dalla nostra tiepidezza. Il che reca seco un’altra utilità, che almeno ci confonderemo ed umilieremo, considerando la purità di vita comune a tutti i Santi, e vedendo quanto lontani siamo noi da arrivare ove essi arrivarono. Lo dice molto bene S. Gregorio sopra quelle parole di Giobbe: «E rivolto agli uomini dirà egli: ho peccato» (Iob, 33, 27). Riguarderà gli uomini giusti e santi e si riputerà peccatore, s’umilierà e si confonderà, vedendo i loro grandi esempi. Come i poveri conoscono più chiaramente la povertà loro quando vedono i tesori dei ricchi e potenti; così, dice S. Gregorio; l’anima s’umilia e conosce più la povertà sua quando considera gli esempi illustri e le vite memorabili dei Santi (S. GREG. Mor. l. 24, c. 9, n. 22). Racconta S. Girolamo (S. HIER. Vita S. Pauli primi erem. n. 13) di S. Antonio abate, che ritornando egli dalla visita di S. Paolo, primo eremita, e avendo veduto la sua santità sì grande, gli uscirono incontro i suoi discepoli e gli domandarono: Ove sei tu stato, Padre? Al che rispose il Santo piangendo: O misero me peccatore; che falsamente porto il nome di religioso! Ho veduto Elia e ho veduto il Battista nel deserto, poiché ho veduto Paolo dall’eremo andarsene in paradiso. E del gran Macario si legge un’altra cosa simile, che, avendo visitato certi monaci e veduta la loro perfezione, piangeva dipoi coi suoi discepoli, dicendo: «Ho veduto dei monaci: quelli sì sono monaci, ma io non sono monaco. Misero me, che falsamente ho il nome di monaco!» (De vitis patrum, l. 6. lib. 3, n. 4). Or quello che questi Santi dicevano per la loro grande umiltà, dobbiamo dir noi con maggior verità, se consideriamo l’esempio dei Santi e le loro eroiche virtù. Di maniera che abbiamo a procurar d’imitare la loro perfezione, o almeno abbiamo da supplire con umiltà e confusione a quel che ci manca per arrivarci: e così per ogni banda ci aiuterà grandemente questo mezzo.